Cavalcata in solitario in una delle parti più suggestive e fotogeniche del mondo, il sud ovest degli Stati Uniti percorrendo i deserti di California e Nevada per arrivare in una delle zone con la più alta concentrazione di parchi nazionali del mondo.
ITINERARIO- Los Angeles,
Bakersfield, Lake Isabella, Sequoia National Park, Kings Canyon National Park,
Yosemite N.P., Mono Lake, June Lake loop, Monitor pass, Gold Country, Lake
Tahoe,Carson City, highway 50, Fallon, Ghost Town di Ione, Austin,
highway 376, Tonopah, Warm Spring,
Extraterrestrial highway, Rachel, Pioche, Sacramento Pass, Baker, Great Basin
National Park, Hurricane,
Zion N.P., Kanab, Fredonia, Jakob Lake, North Rim Grand Canyon, Jakob
Lake,Marble Canyon, Page, Lake Powell, Pahraeh ghost town, Kanab, Bryce Canyon
N.P., Kodacrome Basin State Park, Capitol Reef N.P., Hnaksville, Natural
Bridges National Monument, Gooseneck State Park, Mexican Hut, Valley of the
Gods, Monument Valley, Kayenta, Mexican Water, Bluff, Blanding, Monticello,
Newspaper Rock State Historic Monument, Moab, Canyonlands N.P., Dead Horse
State Park, Arches N.P.
LUNGHEZZA km 5370
“Are you muslim?” stento
a credere alle mie orecchie. E’ il degno epilogo di oltre 1 ora e mezza fra
controlli ed interrogatori all’aeroporto di Los Angeles.Tutto era cominciato con il primo funzionario, una simpatica donnina di
circa 50 anni, che terrorizzata dall’indegno e spropositato numero di visti
riportati sul mio passaporto, di cui alcuni alquanto compromettenti (Siria, Libia ed Egitto!), mi aveva
scortato in quello che doveva essere una sorta di filtro tra il purgatorio
dell’attesa, e l’agognata città degli angeli.“Are you jouking?” è la mia divertita risposta. Sorrido riappropriandomi del
documento, osservando che sia sempre un passaporto italiano. Certamente l’11
settembre, e siamo appena a 2 settimane dall’attentato di New York, ha reso
sicuramente più consapevole dei propri limiti un popolo che fino ad ora aveva
ritenuto di poter essere considerato padrone del mondo. Il che si tramuta in
domande alquanto idiote, sullo stampo dei questionari che vengono forniti al
momento dell’ingresso sul suolo americano. E così il sogno continua. La odiata
e amata Los Angeles a fare da base per questa ennesima abbuffata di km. I
deserti californiani, le sierras, l’attraversamento del Nevada, per arrivare in
quello che sono definiti, a ragione aggiungerei, un vero e proprio paradiso
fotografico, il nirvana dello scatto: i parchi del Sud-Ovest. Tutti, ma proprio
tutti, mi avevano magnificato di questa parte del nord America.“Perché?”Anche semplici
viaggiatori europei incontrati un po’ dappertutto, durante il mio
pellegrinaggio nord americano, erano stati concordi: “Because it’s so
different!!”
“E che cazzo sarà mai?” Posso ritenermi un fortunato per aver potuto
ammirare ed assistere a diversi spettacoli della natura, soprattutto negli
ultimi anni, ma per rifarmi ad una famosissima pubblicità televisiva rivolta a
chi stupidamente vive nella convinzione di aver visto già tutto o quasi, la
sorpresa è dietro l’angolo, giusto per farti fare l’ennesima figura da
stupidone.
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L’idilio continua anche allo Yosemite N.P., il più importante degli Stati
Uniti, e riconosciuto dai più come il più bello ed affascinante degli Stati
Uniti, non sono dello stesso parere, ma svilupperemo il discorso più avanti. Numeri da capogiro: 4.100.000 di visitatori
all’anno, secondo solo al Grand Canyon. La vista migliore si gode da Glacier
Point, un balcone naturale posto a quasi 1000 metri, che si affaccia sulla
valle del parco, dove sono concentrate la maggior parte delle strutture
turistiche, per accedere alle quali è obbligatoria la prenotazione in qualsiasi
periodo dell’anno.
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“Altro che deserto,
vedrai, d’inverno si arriva anche a 40 sotto lo zero!”
Penso che mi stiano prendendo un po’ in giro, ho scavalcato passi di 3000
metri, viaggiato in Alaska e nello Yukon, cosa mai mi potrà fare un altipiano
desertico? Comunque la notte, ed è la prima da quando ho lasciato Los Angeles,
patisco sinceramente il freddo, nonostante le diverse birre ingurgitate, la
temperatura scende sotto lo 0. La mattina presto, dopo un’abbondante colazione,
il Loop è ancora più entusiasmante del giorno prima. Le luci sono stupende e
ripercorro all’inverso il giro panoramico. La prossima tappa è la Gold Country,
situata sulle pendici occidentali della Sierra. Ci sono 2 strade per ritornare
verso l’Oceano, opto per il Monitor Pass, e la scelta si rivela felicissima. Un
po’ meno la decisione di visitare questa zona, che si estende per quasi 300
miglia lungo la Hwy 49, disseminata di vecchie cittadine minerarie,
completamente restaurate, perfettamente conservate, e assolutamente donate ad
un turismo di massa tipicamente americano. Mi limito a visitare Volcano che la
mia guida definisce come la cittadina mineraria meglio conservata dell’intera
regione ed a percorrere il tratto da Jackson ad Auburn. Circa un centinaio di km, ma più che
sufficienti per il sottoscritto. Sicuramente le città dello Yukon, ma la stessa
Skagway in Alaska, sono tutta un’altra cosa! Ma il peggio deve ancora venire:
Lake Tahoe, magnificato per un’intera settimana da tutti quelli che avevo
incontrato per strada, si rivela un’autentica delusione, affollato
all’inverosimile. Un’autostrada lo avvolge quasi interamente, soffocandolo in
un nastro d’asfalto, e che traffico! Tante macchine da far impallidire le ore
di punta sulle terribili freeway di Los Angeles. Mi limito a percorrerne la
metà occidentale e, come oltrepasso il confine col Nevada, prendo a dx per la
207 scendendo verso Carson City. La hyghway 50 mi attende. A Carson City,
nonostante sia la capitale dello stato, mi concedo solo una sosta per del buon
cibo messicano prima di rimettermi in viaggio su questa highway 50, definita
“la strada più desolata d’America”.
Le parole di Terry, la ranger del June lake, mi tornano in mente non appena
la sonnolenta cittadina scompare dagli specchietti retrovisori. La zona è
sicuramente sufficiente a definire il concetto di “desolato”, ma la deviazione
per la città fantasma di Ione, niente a che vedere con la Gold Country, può
senza dubbio rafforzare il concetto nel viaggiatore solitario o semplicemente
distratto. Il tempo si è messo al brutto, con qualche spruzzatina di gelida
pioggia che mi accoglie all’arrivo nella ghost town. Poche case, quasi tutte in
abbandono, distribuite sui 2 lati della strada, con un emporio bar
irrimediabilmente chiuso. In lontananza vedo arrivare Fly, la mosca, età
indefinita, barba lunga, capelli di più, cappello da cow boy, orecchino, che
m’informa che a Iona sono rimasti in 11. Lui gestisce il bar, (meno male!) con
orari da dopo lavoro ferroviario, apre alle 15.00 se gli va, e nei week end
cerca di fare meglio, ma naturalmente senza esagerare.
Ovviamente ci “eccezioniamo” una birra al bancone. Nell’orto tiene 13
bufali, 2 in più degli abitanti del villaggio, e mi informa che la città fu
fondata nel 1895 grazie alla scoperta di giacimenti di mercurio, che spesso si
abbinano, come anche in questo caso, a filoni d’oro. Agli inizi del 900 ci fu
un primo esaurimento, che fu poi definitivo nel 1911. Qui rischio per la prima
volta di rimanere senza benzina, e non perché non mi accorgo di pompe di
benzina, ma semplicemente perché non ci sono. Ritorno sulla “sperduta” 50, che
in passato faceva parte della Lincoln hwy, e procede lungo il percorso che
seguiva l’Overland Stagecoach, il Pony Express e la prima linea telegrafica
intercontinentale, che nel 1861, con la sua inaugurazione, dopo soli 19 mesi di
attività, sancì la fine del servizio postale federale a cavallo. Non so se
leggete fumetti, ma spesso Tex Willer menziona Austin, che spero non sia Austin
nel Nevada. Comincio a credere che Jess e la moglie non stessero scherzando: un
freddo della Madonna!!! Controllo la cartina e constato che alla faccia del
deserto sono a quasi 2400 metri di altezza. Lo scenario è notevolmente
cambiato: le montagne con i laghi e le foreste di sequoie sembrano appartenere
ai labili ricordi di un altro viaggio, anche se sono trascorsi solo un paio di
giorni, e mi sono spostato cardinalmente di appena qualche centinaio di km
verso est. La deviazione sulla 376, direzione sud, non migliora molto la
situazione. 110 miglia nel nulla assoluto fino all’intersezione con la hwy 6. Persino
rispetto ad alcune zone dello Yukon, qui la situazione sembra addirittura
peggiore. Dopo altri 80 km, arrivo all’intersezione con l’Extraterrestrial
highway. Di solito nei punti più sperduti, soprattutto dove 2 strade si
intersecano, è possibile trovare una stazione di servizio per rifornimenti
vari. Questo anche in Alaska!! Qui qualcosa c’è, ma versa in uno stato di
completo abbandono da disastro post atomico. Decido di arrivare a Rachel non
avendo altre alternative, non ho viveri con me e ho una fame bestia; altri 100
km di completa, assoluta, inebriante solitudine. L’unico problema è che non
riesco a regolarmi con gli orari. Rispetto al nord, fa notte molto prima, e
sono costretto ad insultarmi per una buona mezz’ora, dato che il paesaggio è
davvero straordinario, anche se i colori del tramonto, un giallo che tende
all’arancione, compensano marginalmente i miei errori di calcolo. Alla fine
giungo, popolazione 98, dice il cartello, ma credo barino, non siamo ai livelli
di Ione ma poco ci manca. Il “Lille A-le Inn”, solito gioco di parole su
presenze aliene, è l’unico bar disponibile. Chiedo per una cena e, nonostante
abbiano camere, il permesso di piazzare la tenda. Pat la proprietaria mi
risponde: “Dove vuoi, hai visto quanto spazio c’è fuori?”
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Conoscono Craxi, sanno che i Talebani
non sono afgani, che Bush è un idiota e di quanto siano potenti Agnelli e
Kissinger. Non solo, discutono ed analizzano con intelligenza e serenità
sull’attentato alle torri gemelle, non approvando un’eventuale reazione del
loro governo su popolazioni di fatto inermi e soprattutto innocenti.
Stupefacente! Il locale comunque è una specie di museo che raccoglie tutte le
testimonianze, anche fotografiche, di contatti ed avvistamenti con entità
aliene. Certo, la zona si addice allo sviluppo ed alla diffusione di simili
storie, una delle quali racconta della prigionia nell’Area 51, la base top
secret dell’aeronautica degli U.S.A., di alcuni extraterrestri catturati. Ma la
fantomatica Area 51, che occupa uno spazio aereo riservato di 7629 km quadrati,
cui vanno aggiunti i 16000 del poligono nucleare, parliamo quindi di un’estensione
pari a quella del Benelux, altro non è l’area che fu destinata nell’immediato
dopo guerra agli esperimenti atomici. Si parla di circa 700 esplosioni nucleari
in poco più di 10 anni!!!! Altro che
incontri ravvicinati del 3° tipo! Per anni la base è rimasta sconosciuta ai
contribuenti, la sua stessa esistenza era negata dalle agenzie governative e
dai settori dell’esercito che la dirigeva.
Persino l’origine del
nome è segreta.
Ci sono 2 ipotesi:
1. 51 starebbe per 51° stato dell’Unione, fondato per
scherzo dai burberi agenti dei servizi segreti, in uno dei loro rarissimi
momenti di humour
2. il 51 è l’inverso di Area 15, nome con cui è stato
battezzato il Nevada Test Site, riservato agli esperimenti nucleari.
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“No, ma quando scendi dal Sacramento Pass, segui la highway 6, il
rifornimento è lì, lo vedi nella valle, e poi vai verso Baker, che è ad un tiro
di schioppo. Il tiro di schioppo: 11.2 km per il rifornimento, 12 km per il
campeggio di Baker. Gli spazi mettono in difficoltà la percezione visiva delle
distanze. E che freddo!
In compenso il Great Basin N.P. è un parco magnifico,
pochissimo visitato, anche in Estate, che ospita il Wheeler Peak una splendida montagna
di quasi 4000 metri che spacca in 2 i deserti dell’Arizona e dello Utha e ne
segna il confine naturale. Il parco è così poco frequentato che l’accesso è
gratuito ma non la visita alle Lehman Cave, grotte ricche di formazioni
calcaree, scoperte nel 1885 e che rappresentano uno degli esempi di caverne più
decorate dell’intera regione. E’ proprio al Great Basin che mi torna alla mente
un libro di Chatwin che negli ultimi tempi della sua malattia soleva
domandarsi: “Che ci faccio qui?”
Già, che ci faccio qui?
Freddo, freddo, un freddo notturno da togliere il respiro, da far perdere
il sonno, raggomitolato nel sacco a pelo con indosso tutto quello che ho. 20° farenight,
ovvero -10°! Certo la mattina, dopo poche ore, tutto è passato, come, anzi no,
esattamente come al risveglio di un sonno agitato, ma queste notti, cominciano
a sommarsi con troppa frequenza.
“Che ci faccio qui?”
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Il tramonto mi vedrà percorrere 2 volte la hwy 67 da Point Imperial a Cape
Royal nel vano tentativo di riportare in foto quello che pesino l’occhio umano
fatica ad accettare. Assisto congelato al tramonto, già diversi gradi sotto 0,
ma la fortuna, sotto le apparenze di 2 simpatici ragazzi di Biella, mi
permetterà di rinunciare all’ennesima ibernazione notturna, dividendo con loro,
a prezzi per me ragionevoli, una stanza di un motel a Kanab. Grazie Franco e
Riccardo. Il giorno dopo mi vede ancora per strada. Mi attende il lake Powell,
l’ennesima meraviglia di questa parte degli states, anche se qui la natura poco
c’entra. Il lago è artificiale, creato in circa 30 anni da un’immensa diga, ma
lo spettacolo che ne risulta è davvero eccezionale. Il tramonto come al solito
mi vede col solito sguardo ebete da uno dei punti panoramici della zona. Anni
fa avevo visto, anzi no, ammirato una fantastica foto di uno strano budello
colorato di suggestive tonalità di rosa. Dopo indagini avevo scoperto il nome:
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“eehhee?” è quasi un
gemito di dolore più che una risposta, anzi sembra quasi offeso.
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Stavolta sono io ad osservarlo, deve essere una particolare forma di
umorismo della zona! Abbozzo un sorriso, saluto. Cerchiamo almeno di non
rimanere senza benzina. A Mexican Hut la sosta è obbligata, poiché sono tra la
valle degli dei e la Monument Valley. C’è un trading post con campeggio gestito
da Richard: “motel 30, camerata 20, campeggio 10”. Naturalmente, puntualmente e
decisamente chiedo il solito sconto, accampando le solite scuse. Un macigno,
più duro di un diamante. Si limita a sorridere sotto il suo cappellaccio da cow
boy ed i suoi no, mentre continua a sorseggiare la sua coca, sono perentori.
Niente da fare, non cede di un cent e tanto per cambiare, mi tocca accamparmi.
La sera la cena è indecente: 18$ buttati, probabilmente una delle peggiori in
assoluto. Ma la giornata successiva mi ripaga ampliamente, alla faccia di
Richard e del suo trading post, anche se devo ringraziare il faccia di cazzo
per avermi consigliato di prendere la Valley of Gods da ovest, gustandomi la
parte migliore col sole alle spalle. Sicuramente la preferisco anche alla
Monument Valley. Entrambe le strade sono sterrate, circa 15 miglia l’una,
abbastanza facili tranne alcuni tratti di sabbia, poca roba non preoccupatevi.
Da non perdere anche il Goosenecks, un altro parco statale nelle immediate
vicinanze, da cui è possibile ammirare un meraviglioso panorama del fiume San
Juan, che scorre attorcinandosi su se stesso 340 metri più in basso. Altra
menzione sulle strade: Moki Dugway, un tratto sterrato di circa 3 miglia che
scende a valle, verso Mexican Hut, con tornanti strettissimi e coprendo un dislivello
di 500metri. Ma la caccia ai parchi nazionali non è ancora finita. Moab, credo,
offre 2 dei parchi più affascinanti meno sfruttati dell’intero Utah:
Canyonlands, in assoluto il più bello, suggestivo e desolato e Arches.
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E’ solo nel Sud Ovest che veramente si afferra il senso dell’immensità
delle distanze negli Stati Uniti ed allo stesso tempo l’inesorabile potenza
della Natura. In questi sconfinati spazi d’immense voragini, d’infinite
distese, di grandiosi monumenti di pietra, dove scorrono fiumi impetuosi si
capisce il senso di quel territorio unico, al limite tra la barbarie e la
civiltà che è il Grande West americano e quel che ha comportato nella creazione
dello spirito di una nazione così contraddittoria come gli Stati Uniti.
Minchia, foto stupende! Mi manca girare in moto con te.... CAZZO!
RispondiEliminacazzo...anche a me, ho riletto l'articolo della basilicata!!! ti ho inviato una mail!!!
RispondiEliminaCIAO!