25 aprile 2012

Inseguendo l'eroica

19-22 maggio
km 590
34 partecipanti
28 moto
Che dire, la stagione è iniziata ed il primo appuntamento è terminato. Tutti mi dicono che si sono divertiti, ma la cosa sorprendente è che, nonostante un gruppo extra large, formato da 34 persone con 28 moto, è piaciuto molto anche a me. Ho rivisto e con grande piacere gli amici di Felice venuti in Patagonia un anno fa, il gruppo di Massa D'Albe, Ferdinand che continua a portare amici medici, tanto da avere ormai una vera  e propria equipe medica al seguito, una specie di assistenza veloce super professionale e pronta a qualsiasi esperienza gastronomica, ma anche alcuni amici di Termoli e Pescara che ormai partecipano assiduamente e gli altri, Marzio ed Eleonora, Ettore, Tommaso, Lorenzo, Alessandro, Vito, che sono più assidui! Grazie a tutti.
Cliccate su una qualunque delle foto per vedere lo slideshow.
CIAO!
Tiziano
Ferdinand
Enzo e Franco

Alessandro e Lorenzo

Ferdinand, Ettore e Vito

degustazione nel castello di Monsanto

Enrico e Tiziano

Enrico e Tiziano

Riccardo

foto di gruppo a Bagno Vignoni

Gabriella, Umberto, Franco, Monica, Enzo, Emilano, Ferdinand

sulla vetta del Monte Amiata

Felice supportato da Enrico e Tina

Gabriella, Umberto, Feliciano, Carla

Marzio ed Eleonora

Lorenzo, Marzio ed Eleonora
Ferdinand, Riccardo, Edoardo, Sergio, Vito

18 aprile 2012

Le comunità albanesi e la carrese

Il Molise, regione dalla lunga tradizione agricola, conserva ancora profondamente radicate celebrazioni e manifestazioni che traggono le loro origini, talune molto remote, nel mondo contadino e nei cicli lavorativi senza dimenticare l’influenza delle numerose comunità albanesi; non di rado, e nelle manifestazioni più imponenti, protagonisti di tali celebrazioni sono il carro agricolo e gli animali il cui ruolo nel mondo agricolo è essenziale: buoi e cavalli.
ITINERARIO- Chieuti, Serracapriola, Campomarino, Portocannone, S. Martino in Pensilis, Ururi, Larino, Guglionesi, Montecilfone, Palata, Castelmauro, Civitacampomarano, Lucito, Petrella Trifernina, S. Maria della Strada, Matrice, San Giovanni in Galdo, Jelsi.
LUNGHEZZA- KM 203
Tra la fine di aprile e gli inizi di maggio come ormai è tradizione plurisecolare, nella parte meridionale del Molise, si svolgono le carresi, corse dei carri trainati dai buoi. Diversi sono i riferimenti storici da cui se ne fa discendere l’origine, ma forse non moltissimi sanno che esiste una leggenda che associa la corsa alla venuta delle  popolazioni dall’Albania. Secondo questa versione, gli albanesi appena raggiunta le sponde opposte dell’Adriatico, non sapevano dove andare né quale direzione seguire. Decisero così di affidare la scelta ai buoi che trainavano i carri sopra i quali avevano messo poche cose in fretta ed in furia, prima che gli Ottomani arrivassero. Dove i buoi si sarebbero fermati, proprio lì sarebbero sorte le città in cui le popolazioni avrebbero ricominciato a vivere. A questo punto come spesso succede, leggenda e storia si intrecciano fino ad arrivare ai giorni nostri. Seduto comodamente a  tavola nel ristorante “da Nicolino” in quel di Termoli ne sto parlando con amici di vecchia data. Il mio interlocutore principale è Tonino, sanmartinese puro sangue dei “giovanotti”. Naturalmente la sua versione è alquanto diversa.
 “ Gli albanesi non c’entrano niente. La storia dice (quindi passiamo a versioni più autorevoli e motivate) che un gruppo di nobili durante una battuta di caccia scoprì in modo del tutto casuale e fortuito, le spoglie di San Leo. Avevano lasciato i cavalli ed trovandoli al loro ritorno stranamente inginocchiati. Al che spostarono una grande pietra rinvenendo le spoglie del santo. Decisero così di trasportare la salma con un carro trainato dai buoi che dopo vari pellegrinaggi nei vari paesi della zona, cedettero allo sforzo proprio a San Martino che ancora oggi ospita i resti del beato.”
La mia curiosità è ormai allertata e dopo un’altra serie di incontri a San Martino decido di preparare questo articolo e pianificare un itinerario che tocchi tutte le comunità sotto l’influenza albanese e che ospitano feste popolari che riconducono alle storie sopra citate.
Tra queste manifestazioni di antica tradizione, le cui modalità variano da luogo a luogo, ma che si conservano compatte nelle motivazioni, nelle finalità e nei tempi (fine di aprile-luglio, con folta concentrazione tra aprile e maggio), risaltano per importanza e per profondo coinvolgimento delle comunità le corse dei carri di S. Martino in Pensilis, Ururi e Portocannone, della pugliese Chieuti; a queste sono da aggiungere le sfilate dei carri, un tempo numerosissime, di Larino, Jelsi, Montecilfone, Lupara. L’itinerario scelto toccherà tutte le località sopraelencate offrendo la possibilità di godere un percorso affascinante per bellezza dei panorami ma soprattutto l’opportunità di conoscere ed apprezzare le tradizioni popolari di questa zona etnicamente assai distinta dalle altre realtà del nostro paese. Per le strade purtroppo stendiamo un velo triste e pietoso: l’ultimo inverno, alquanto inclemente, le ha messe a dura prova e nell’ultima ricognizione avvenuta qualche giorno fa erano, nella maggior parte dei casi, davvero una schifezza. Pazienza! Il giro avrà inizio da Chieuti che nonostante sia in Puglia, divide con gli altri centri molisani origini albanesi e tradizioni assai simili. Prima di essere popolata dagli esuli d’oltre Adriatico nel XV secolo, era sorta presso le rovine di un antico centro della Daunia che si vuole identificare in Cliternia. Una volta visitata la parrocchiale di San Giorgio, seguiremo la Costa di Roncio, una dorsale che ci condurrà in Molise attraversando la valle del Bisento. Cominciano i patemi stradali: scendendo da Serracapriola la strada è assai dissestata ma a Cliternia nuova, la strada è interrotta ed una deviazione vi porterà sulla ss16. Da San Tommaso della viabilità ho scoperto che effettivamente un piccolo ponte è crollato, a testimonianza che anche un piccolo torrentello può combinare disastri e, volendo potete percorrere la stradina di campagna che parte sulla dx 500m prima dell’interruzione: arriverete direttamente a Campomarino lido. 
Qui se non vogliamo approfittare della tentazione rappresentata dalle spiagge e dai ristoranti di Termoli, piegheremo a sx verso l’interno. Probabilmente questo è anche il tratto d’asfalto migliore insieme agli ultimi 20km di tutto il percorso. Portocannone, situato a pochi chilometri dalla costa, è uno dei quattro comuni molisani (Campomarino, Montecilfone ed Ururi) in cui, nella seconda metà del XV secolo, furono inviati i coloni albanesi.
Di tale popolo il centro molisano conserva cultura, tradizioni e linguaggio. Da visitare la chiesa dei S. S. Pietro e Paolo, in cui si trova una tela raffigurante Santa Maria di Costantinopoli. A S. Martino in Pensilis, altro centro di origine albanese sono interessanti da visitare il Palazzo rinascimentale dominante la piazza del paese e la chiesa di S. Pietro Apostolo.
Si continua verso l’interno ed in pochi km la strada, sempre sopraelevata sulle pianure circostanti conduce a Ururi (vedi box). Il paese fu originato da un monastero benedettino.
Se decidete di assistere ad una delle Carresi  la vostra scelta dovrà cadere su uno di questi centri. Io per conoscenza personale, amicizie di vecchia data ho assistito e con grande divertimento a quelle di San Martino e Portocannone. Mentre riflettete continuiamo verso Larino, dato che la strada da percorrere è ancora lunga. Edificata sul bordo meridionale della valle del Biferno ha una storia assai antica che risale alla seconda guerra punica con notevoli  resti della sua area archeologica, primo fra tutti l’anfiteatro, ottimamente conservato. Una volta visitato il centro storico seguire le indicazioni per fondovalle Biferno, un specie di trampolino che si tuffa con una vista mozzafiato sul lago artificiale di Guardalfiera ben visibile sulla sx e le campagne circostanti. Naturalmente attenzione alle buche ed ai profondi avvallamenti, nella speranza che voi siate più fortunati del sottoscritto. Una volta atterrati in pianura seguire le indicazioni per Guglionesi. Se potete voltatevi perché la vista è davvero notevole: campi sterminati a perdita d’occhio! Arrivati sulla ss 483, piegate a sx per Palata. La strada corre alta anche se la vista è meno avvolgente. Transiteremo da  Montecilfone, proprio all’entrata del paese, un cartello in una strana, incomprensibile, lingua ci accoglie. Il piccolo centro di qualche migliaio di anime, fu anch’esso nfondato nel 1461, al pari di Ururi, Portocannone e Campomarino, da albanesi seguaci del principe Giorgio Castriota Skanderberg, ed ancora oggi vi si parla la lingua d’origine, un albanese arcaico. Dopo Palata cambiamo statale, ci tocca in sorte la 151 anche se le qualità del manto stradale cambiano veramente di poco. La strada corre sullo spartiacque tra la valle del Trigno e quella del Biferno e tocca prima Castelmauro, paese di origini medioevali e poi, sempre correndo in cresta Civitacampomarano, che conserva all’interno del suo bellissimo centro storico un castello del ‘300 , con 2 torri cilindriche. Per Lucito mancano meno di 8km e ci sarebbero la bellezza di 2 strade ma, la prima, è ormai chiusa perché definitivamente crollata sotto l’incessante lavoro di smottamenti e frane, mentre la seconda si tuffa letteralmente seguendo la distanza più breve verso la Valle Grande per poi risalire in uno stato alquanto disdicevole.
 Stanchi? Adesso sta per iniziare il tratto dei tornanti, infatti serpeggeremo in un’infinità di curve verso il fondovalle per attraversare il fiume Biferno, ancora lui, sul ponte Morgia Schiavone che ho diligentemente appuntato, in quanto miracolosamente scampato a questo inverno d’impronta balcanica. Dopo Petrella Trifernina, la strada diventa stranamente rettilinea ma non distraetevi perché al piccolo bivio dopo qualche km bisogna deviare sulla sx per la chiesa abbaziale di S. Maria della Strada, severa ed isolata su di una piccola altura ed ultima sosta della giornata. Risalente all’XII secolo è giunta ai nostri giorni senza subire rovine o alterazioni con la sua possente torre campanaria, tutta a masselli di pietra. E adesso cosa c’è di meglio di una strada dissestata se non la difficoltà di trovare la suddetta? Arrivati a Matrice la strada da seguire è nascosta  alle vostre spalle se uscite sulla principale avete sbagliato, tornate indietro  noterete il cartello per S. Giovanni in Gualdo: consolatevi perché rispetto alle informazioni riportate sulla carta del TCI che la indicano come sterrata, è stata recentemente asfaltata. L’arrivo a Jelsi avverrà su buon asfalto, finalmente, entrando dalla parte più antica di questo grosso paese per poi percorrere una larga strada in salita. La festa di s. Anna vi si svolge il 26 di Luglio  e parlando con alcuni jelsesi ho potuto capire che oltre ad esserne particolarmente fieri, l’evento di questo anno, in cui  ricorre il bicentenario è particolarmente sentito. La caratteristica di questa tradizione popolare è la consapevolezza da parte dei suoi abitanti di essere nello stesso tempo autori, attori e registi di questa importante rappresentazione di vita e cultura. Ogni gruppo, famiglia, contrada che vuole sfilare con il suo carico di grano si impegna nella sua realizzazione curandone l’addobbo. In fondo all’articolo trovate tutte le date per poter partecipare alle varie manifestazioni popolari. Buon divertimento, sperando che abbiano dato una sistemate alle strade.
per saperne di più:

INFORMAZIONI SULLE CARRESI
Profondamente radicata nella popolazione, la Carrese ha origini antichissime, collegata alle feste di primavera, celebrate in varie forme tra marzo-aprile-maggio-giugno: “la trasformazione della natura procurava stupore e sgomento, specialmente l’inverno che causava la morte della natura stessa. Da qui la necessità di una celebrazione per resuscitarla (feste di maggio-giugno) o l’opportunità di altri riti (marzo-aprile) per sollecitare le forze cosmiche a ritrovare il loro vigore” (Cavallaro).
Chieuti
Il 22-23 aprile, in occasione dei festeggiamenti in onore di S. Giorgio, si corre la Corsa dei buoi. Durante la corsa un carro molto pesante, carico di rami di lauro, viene trainato da quattro coppie di buoi. I preparativi per la corsa sono lunghissimi: durante l'anno si allenano i buoi, mentre il 21 sera gli animali vengono fatti entrare in paese simulando la gara. I buoi vengono poi portati nelle stalle dei Partiti (le contrade del carro), dove vengono attentamente sorvegliati per evitare che subiscano scherzi da parte degli avversari. Il mattino del 22 i buoi vengono invece lavati e addobbati e, dopo che il Sindaco ha estratto l'ordine di partenza, carri e carrieri si dirigono verso la chiesa per ricevere la benedizione. A questo punto ci si dirige in aperta campagna, da dove ha inizio la gara: al segnale convenuto i carri si girano su sé stessi ed i buoi iniziano a galoppare, trascinando il carro addobbato,  verso il paese.  Il percorso è lungo 4 Km e mezzo. La folla corre insieme ai carri, incitando i propri campioni, mentre un gruppo di uomini a cavallo pungola i buoi con lunghi bastoni. La corsa ha fine nel viale principale, dove i carri scorrono incolonnati.
 Lo scopo della corsa è quello di consegnare un cappellino colorato che i vincitori indosseranno il giorno seguente quando porteranno in processione il simulacro del Santo. Ai vincitori viene inoltre  consegnato il Tarallo, una treccia di caciocavallo di circa 80 chili con le gesta di S. Giorgio che verrà portata in processione insieme al simulacro del Santo. E' evidente che la corsa rappresenti una forte fonte di stress per buoi e cavalli, incitati da una folla urlante.
Portocannone
La corsa dei carri, si svolge ogni anno il lunedì seguente la Pentecoste. E' una gara, su un percorso di tre chilometri, fra due carri rappresentanti le due fazioni del paese, che si contendono l'onore di portare in processione la Madonna di Costantinopoli. Per motivi di interesse turistico la corsa viene ripetuta nel mese di agosto. È una competizione che vede in campo due carri (talora anche tre) trainati da buoi: quello dei giovani (colore bianco-celeste), quello dei giovanotti (colore giallo-rosso) e talvolta quello dello Skanderbeg (colore nero-verde). I carri con i rispettivi cavalieri si portano a circa 3 km. dall’abitato e si dispongono secondo l’ordine di arrivo dell’anno precedente. Su ogni carro prendono posto tre conducenti; un cavaliere si pone davanti ai buoi con il compito di guidare il carro, altri accompagnano incitando i buoi con lunghe aste di legno. L’arrivo è fissato sul sagrato della chiesa. Al carro vincitore tocca l’onore di portare in processione, il giorno successivo, la statua della Madonna di Costantinopoli alla cui festa è collegata la Carrese. La peculiarità è qui rappresentata dal fatto che ogni carro è trainato da quattro buoi.
San Martino in Pensilis
Di grande rilievo, sul piano storico-culturale, la corsa dei carri in onore del patrono San Leo che si effettua annualmente il 30 aprile, e vede contrapposte due fazioni. Accanto ai due carri scendono in campo cavalieri che stimolano, con pungoli, la corsa dei buoi. Per motivi turistici la corsa viene ripetuta nel mese di agosto. Come presso altri comuni della fascia costiera molisana e pugliese, la Carrese ha come protagonisti i cavalieri, i buoi, i carri e due (talvolta tre) partiti contrassegnati dai rispettivi colori: il bianco-celeste per i Giovani, il giallo-rosso per i Giovanotti e, quando presente, il bianco-verde per la Cittadella. Nel pomeriggio del giorno 29 c’è la “misura”: vengono cioè segnate le posizioni di partenza dei carri; la serata dello stesso giorno è dedicata allo “sparo”; gli aderenti ai rispettivi carri, a turno, escono dalle loro sedi e con fuochi pirotecnici esplosi a mano, si portano davanti alla chiesa dove viene intonata La Carrese (vedi box curiosità). La corsa si svolge su un percorso di 9 Km e prende avvio dal tratturo; il primo posto viene lasciato al carro vincitore nell’anno precedente. A metà percorso avviene il cambio dei buoi, caratteristica unica nelle manifestazioni di questo genere. La gara termina davanti alla chiesa. Il carro vincitore ha l'onore di trasportare in processione il busto di S. Leo il successivo due maggio.
Ururi
La corsa dei carri in onore del Legno della Croce, si svolge il 3 maggio di ogni anno. Diversamente da quanto avviene negli altri comuni di origine albanese, la corsa prevede la partecipazione di quattro carri e modalità particolari durante il percorso. Anche qui la corsa si ripete nel mese di Agosto. La carrese è collegata alla celebrazione religiosa del Legno della Croce. La manifestazione prende inizio nel pomeriggio del 2 maggio, quando avviene la benedizione dei carri e dei buoi. Il giorno successivo nella mattinata, si svolge una corsa di carretti trainati da vitelli e che vede come protagonisti i ragazzi; successivamente si ripete la benedizione dei carri grandi. Anche qui, come altrove, essi sono contrassegnati dai rispettivi colori e sono accompagnati dai cavalieri. La corsa prende inizio a circa 4 Km dal paese, avendo come traguardo lo spazio antistante la chiesa di S. Maria delle Grazie. All’entrata del paese il percorso si divide per ricongiungersi in prossimità dell’arrivo. La regola obbliga il carro che arriva per primo alla biforcazione a seguire il percorso finale più lungo. Il successivo 4 maggio il carro vincente porta in processione la reliquia del Legno della Croce.    
CURIOSITA’
Ad alcune di queste celebrazioni, che esaltano il risorgere della natura produttiva in primavera e il raccolto, sono legati dei canti popolari, le carresi, (o laudate) intonati in momenti precisi delle manifestazioni. Due sono le carresi pervenute fino ad oggi: quella di S. Martino in Pensilis e quella di Larino. A S. Martino in Pensilis la carrese, in onore di S. Leo, viene intonata in tre momenti diversi della festa del Santo: la sera del 29 aprile, davanti alla porta chiusa della chiesa di Santa Maria, intonata dai rappresentanti dei carri accompagnati dalla chitarra, mentre in concomitanza si accendono potenti fuochi artificiali nella vicina piazzetta; il primo maggio, dopo la corsa dei carri, dagli amici e sostenitori del carro vincitore il giorno precedente, mentre quest’ultimo percorre le strade del paese; il 2 maggio, giorno della festa di S. Leo, prima della solenne processione, come ringraziamento al Santo.
La carrese di S. Martino è un canto monodico; la sua esecuzione è affidata a coppie di cantanti, di cui il primo esegue a solo il primo distico e il secondo entra sulla conclusione del primo, intonando, sempre a solo, il secondo distico, e così via.

Testo della carrese di S. Martino in Pensilis
Me vuoglie fa la Croce, Patr’e Figlie,
Percuò che lamia ménte nen ze sbaglie.
A Ppremmavére ce rennov’u munne,
De sciure ce revèste la cambagne;
L’àrbere ce recrop’’a stéssa fronne,
L’avecièlle tra lor gran fèsta fanne!
Cchiès’adorat’ e scala triumbante
D’avolie sonne fatte li tò mure;
Nguésta Cchièse ce stà ‘nu Corpe Sante
E pe nnome ce chiame Sante Lione!
Anne, Madonna mi’ de lu Saccione,
E Sande Léie de Sande Martine,
E Sant’Adame ch’è lu compagnone
E sande Vàsel’ accant’ a la Marine!
Me vuoglie fa’ ‘na vèsta pellegrine
E vuoglie ì addo’ sponte lu sole;
A llà ce staie ‘na conca marine
Addò ce battezzaie nostro Segnore,
E la Madonne lu tenéve nzine
E San Geuanne che lu battezzave!
E nu’ laudam’ a tté, Matra Mariie
Tu sol’ a pù pertà ‘a palm’ a mmane;
E nuie Lu pregame tutte quante
Ddì ce ne scambe da tembèst e llampe;
E nuie Lu pregame ndenucchiune
Scàmbece da tembèste e terramute;
E nuie Lu pregame e nzéme dégne
Purta’ la palm e la ndurata nzégne!
A ndò ce v’ a scarcà lui vérde làure?
 A Ssante Piètre le Cchièse de Rome!
Nu’ veléme laudà quistu gran Sante
Fa menì ‘n zalvamènt’ a tutte quante!
Tòcca, carrier’ e ttòcche’ssu temone
Tocca lu carre de Sande Lione! 





05 aprile 2012

AL-MAGHREB AL-AQSA

Un mini continente nel continente africano: il Marocco rappresenta un viaggio per diversi aspetti. Il primo, la non semplice facilità di raggiungerlo nonostante si trovi nella parte settentrionale dell’Africa; il secondo per le molteplici situazioni, condizioni geografiche, etniche. Ultimo aspetto, ma non certamente da sottovalutare, una varietà viaria talmente affascinante da soddisfare anche il moto turista più esigente. 

ITINERARIO- Tangeri, Rabat, Marakesh, Tizi-n-Tichka, Aìt-Benhaddou, Quarzazate, Gole del Dades, Gole del Todra, Merzouga, Gole del Ziz, Fes, Letama, Chefchaouen, Ceuta.
LUNGHEZZA- circa km 2500
DURATA- 2 settimane

 
Il Marocco è sempre stato considerato un paese estremo. Nei primi secoli della civiltà arabo-islamica era conosciuto come Al-Maghreb al-Aqsa, tradotto letteralmente “la terra più lontana dove tramonta il sole”, in riferimento alla sua posizione all’estremità occidentale dell’Africa settentrionale. Antichi navigatori, conquistatori medioevali e moderni colonizzatori hanno tentato per lunghi secoli di assoggettare questa terra lontana, ma il territorio aspro e le sue orgogliose genti radunate in tribù resistono. Pur avendo assorbito le influenze di alcune culture europee, africane ed arabe, il Marocco rimane un paese assolutamente unico. Ed è sicuramente la cosa che più impressiona il visitatore l’enorme varietà di situazioni che si possono incontrare anche in un  viaggio breve, mettendo in risalto le differenze tra le maestose città imperiali  e le zone di campagna dove la vita scorre a ritmi più naturali e blandi, tra le imponenti catene montuose che tagliano trasversalmente la parte settentrionale del paese creando delle differenziazioni climatiche e culturali davvero straordinarie e l’area desertica  che domina la parte meridionale ed orientale del paese.

 “Allahu akbar, Allahu akbar….Ashhadu an la Ilah illa Allah….. Ashhadu an Mohammedan rasul Allah....Haya ala as-sala.... Haya ala as-sala.... “

Dio è grande, Dio è grande…..non vi è altro Dio all’infuori di Allah……Maometto è il suo profeta….venite a pregare… venite a pregare…..
La chiamata alla preghiera è probabilmente di tutti i suoni che assalgono le orecchie del turista, quello che colpisce maggiormente, per frequenza e suggestione. Cinque volte al giorno, giorno e notte, i mussulmani sono chiamati, se non ad entrare in una moschea, almeno a fermarsi ed a pregare ovunque si trovino. La preghiera collettiva del venerdì è considerata la più importante della settimana. L’Islam condivide le sue radici con le grandi religioni monoteistiche sorte in Medio Oriente, l’ebraismo ed il cristianesimo, anche se più giovane delle altre due. Il libro sacro dell’Islam è il Corano. Nelle sue pagine sono molto frequenti riferimenti a personaggi che compaiono nei sacri testi di entrambe le religioni più antiche, come ad esempio Abramo, Noè, Gesù, Adamo, Mosè, tutti considerati profeti, dei quali l’ultimo è Maometto, in arabo Muhammad, “sigillo dei profeti”. Per i mussulmani quindi, l’Islam rappresenta il culmine delle religioni monoteiste. Tradizionalmente,  i mussulmani nutrono grande rispetto verso cristiani ed ebrei, chiamati ahl al-kitab, “popolo del libro”. Il Corano ammette che la Bibbia (quindi anche la Torà degli ebrei ed il vangelo dei cristiani) sia una precedente rivelazione di Dio. L’Islam con il Corano, rappresenterebbe dunque la successiva evoluzione logica e la rivelazione definitiva.

 Ebbene sì, lo ammetto, non ero stato mai in Marocco, grave mancanza, una specie di buco nero in una tabella viaggi per certi aspetti invidiabile, ma sicuramente migliorabile, che ormai annovera nell’elenco diverse località, stati, paesi, addirittura continenti: “una mancanza da colmare rapidamente” decido al rientro dalla Patagonia. Un rapido programma, una veloce consultazione e documentazione in merito al luogo, un incastro di date ed ecco che il viaggio è lì, pronto, come sempre, tutto stradale, con la Varadero pronta all’ennesima sgroppata chilometrica per raggiungere il continente africano.

Alla fine sarà un’esperienza soft, aggregato ad un gruppo di americani, ma con assoluta libertà di azione e decisione. Esperienza positiva, forse un po’ veloce, ma sicuramente da approfondire in un prossimo futuro.
Va detto che, anche per chi conosce bene il paese, il Marocco sta cambiando rapidamente, continuamente rivolto al turismo che rappresenta una delle voci più importanti  per l’economia di questo stato nord africano. Grandi e belle strade asfaltate permettono di raggiungere rapidamente e panoramicamente le località più belle ed affascinanti, accorciando e semplificando spostamenti e permettendo a quasi tutti i tipi di mezzi di poter raggiungere le principali località turistiche, dalle spettacolari gole dell’Atlante, alle oasi nelle prime propaggini del deserto. Certo i puristi rimpiangeranno le ore di sterrato a cavallo delle proprie moto per attraversare le gole du Dades, ma se  consideriamo che l’asfalto sta conquistando “pezzi di Mondo” ben più solitari e desolati, diciamo che la cosa ci può anche stare. E’ indubbio che, adesso è davvero semplice poter ammirare e conoscere anche in sole 2 settimane un paese straordinario che sicuramente fa della varietà e delle differenze la sua arma principale. Le città imperiali sono di rara bellezza, affascinanti, coinvolgenti, con Fes che svetta sulle altre, unica Medina dove il traffico è consentito esclusivamente a pedoni ed animali. Ma è probabilmente la varietà di clima, di altitudine,  di flora, di fauna e di popolazioni a sorprendere maggiormente il viaggiatore: a me è capitato spesso nel corso del viaggio di stupirmi dei repentini e spettacolari mutamenti del paesaggio e degli incredibile panorami che fanno del Marocco il paese con gli scenari più vari dell’intera Africa settentrionale e sicuramente uno dei più stimolanti in assoluto.

 
Colpo d’occhio                                           
Assolutamente le Gole du Dades viste dall’alto sono uno dei paesaggi più spettacolari, conosciuti, pubblicizzati e fotografati di tutto il paese. La valle omonima si snoda attraverso campi di mandorli e fichi, alcune fantastiche formazioni rocciose e diverse imponenti casbah e ksar. Il punto più spettacolare è dove la gola si stringe ed il fiume scorre accanto alla strada. Un paio di km più avanti, la strada si addentra nel canyon principale con una serie di tornanti in salita per poi ritornare pianeggiante, all’altezza di un balcone naturale dove è sorto un ristorantino. Siamo nel punto panoramico più affascinante e fotogenico dell’intero tragitto, il più pubblicizzato dell’intero paese.

COLORI E SAPORI
I marocchini sono orgogliosi della loro cucina, che investono di tutti i significati mistici, religiosi e rituali impliciti in una ricca tradizione gastronomica. Ogni piatto richiama ad una storia o ad una festa, ed il pranzare insieme è considerato uno dei più importanti fondamenti di una società che ha alla base un forte senso della famiglia e della comunità. In Marocco la preparazione del cibo è un affare che riguarda principalmente le donne ed anche nelle cucine dei grandi alberghi e dei ristoranti più prestigiosi la presenza femminile e preponderante. La maggior parte delle donne conosce l’arte culinaria fin dall’infanzia ma le ricette scritte non sono d’uso comune. Ogni donna dà a ciascuna pietanza un tocco particolare, in base a sottili differenze regionali, alle differenze sociali o semplicemente dalla reperibilità di alcuni ingredienti tipici, ciò rende spesso un piatto diverso dagli altri. D’altro canto ogni uomo è perfettamente in grado di riconoscere un piatto ben cucinato, distinguendone le differenze. In Marocco il cibo è sinonimo di famiglia e di festa, ma soprattutto uno dei modi più importanti di esprimere una tradizione culturale che è ricca e varia come i banchetti che periodicamente si tengono per celebrare ogni aspetto dell’esistenza umana. Dal semplicissimo couscous alla elaborata tajine (davvero deliziosa), dove gli ingredienti vengono disposti a strati quasi in preda ad un’ispirazione poetica, la cucina marocchina riesce sempre a stupire, risultando continuamente originale ma anche deliziosa.
Di norma i pasti del giorni sono 3 e quello principale è il pranzo.

 
La lavorazione delle pelli

Le concerie forniscono uno dei migliori esempi di come alcune parti del Marocco siano ancora legate a pratiche di origini medioevali. Il cuoio marocchino ed in particolare quello prodotto a Fes, è stato per secoli apprezzato e considerato fra i migliori del mondo. Non a caso oggi c’è un tipo di cuoio, una morbida pelle di capra utilizzata soprattutto per le copertine dei libri, che viene semplicemente chiamata “morocco”. Nel corso dei secoli nelle concerie non è cambiato quasi nulla. Le pelli vengono sempre trasportate con i muli fino al souq delle concerie, le vasche di tintura sono sempre costruite con mattoni crudi e piastrelle, gli artigiani tintori e gli apprendisti, tutti di sesso maschile, sono tuttora organizzati in associazioni di stampo tipicamente medioevale, ma anche le procedure di sicurezza e le condizioni igienico sanitarie sono ancora decisamente antiquate. La produzione del cuoio, la cui storia è iniziata circa 7000 anni fa,  è una delle più antiche arti del mondo.
Le strade                                                     
Spesso in ottimo stato e quasi tutte asfaltate. E’ possibile arrivare con qualsiasi moto fino alle dune giganti di Merzouga, o alle gole du Dades e del Todra, ed oltre fino all’imbocco delle piste per il medio ed alto Atlante. Per il resto, grandi panorami ed ottimo asfalto in quasi tutte le situazioni.


 Quando partire                                          

La stagione più indicata per visitare il paese è senza dubbio la primavera, quando la campagna è verde e rigogliosa. Segue a ruota l’autunno, periodo particolarmente piacevole dopo il caldo torrido dell’estate. Nelle regioni meridionali, l’inverno è spesso idilliaco, ma a volte la notte le temperature diventano piuttosto rigide. Comunque non sottovalutare le punte estreme di caldo in estate e di freddo in inverno, in particolare sull’Alto Atlante, dove alcune cime possono essere innevate da novembre a luglio. Di ritorno verso la costa ho attraversato le Montagne del Rif, le più settentrionali del paese, sotto una davvero poco incoraggiante e poco primaverile nevicata.