16 aprile 2011

SCANDINAVIA 1 murmanskaya

 
Si può giungere ai confini estremi dell’Europa, seguendo una via alternativa a quella più logica, usuale e frequentata? La risposta è affermativa: spingersi al nord transitando dalla Carelia, in Russia, percorrendo quasi 13000 km, attraversando 13 Stati, in un fantastico viaggio di 5 settimane rincorrendo “il sole di mezzanotte”.

              



                      
“Siete già sulla Murmanskaya!” L’uomo alla fermata del tram con un gesto di una perentorietà staliniana, ci da finalmente una certezza.
All’ennesimo tentativo ci siamo!
Il fatto di essere sulla strada giusta ci lascia uno strano senso d’euforia. Tentare di attraversare San Pietroburgo dopo la visita alla stupenda reggia di Peterhoff, non rappresenta niente d’impossibile, avventuroso, o tanto meno pericoloso, ma sicuramente preparatevi a perdere tempo, tanto tempo. La segnaletica, naturalmente in cirillico, è praticamente inesistente, ed in una città di circa 5 milioni di abitanti, con un sistema viario in pessimo stato, vi trasformerà inevitabilmente in degli esploratori in una giungla di cemento degradato. Eppure, 3 giorni prima eravamo stati molto più fortunati, ma solo perché arrivando da Novogorod, davvero altra cosa con i suoi blandi ritmi da provincia e lo splendido Cremlino adagiato sulla sponda dx del fiume Volhov, ci eravamo trovati, senza volerlo, già sulla direzione giusta, ed anche perché i Prospekt, questi immensi vialoni che costituiscono le arterie principali del traffico della ex capitale dell’immenso, ex impero sovietico, confluiscono quasi tutti verso il suo cuore. San Pietroburgo, Pietrogrado, Leningrado, per poi ridiventare nuovamente San Pietroburgo. Necessità storiche e volontà politiche hanno fatto sì che la più giovane metropoli europea (appena 300 anni) cambiasse 4 volte il suo nome.
“ Città astratta e premeditata” come la definì Dostoevskij, sicuramente anche lo stesso suo ideatore, lo zar Pietro I° il Grande, non poteva immaginare di riuscire a creare in una zona di paludi quella che viene riconosciuta come la Venezia del nord. Un fascino consolidato, nonostante problemi sociali ed economici, da ben 8 cattedrali, architetture a cui tanto hanno contribuito lo stile e l’ingegno italiano, palazzi reali, e l’Ermitage, gigantesco nella sua spettacolarità, che già da solo varrebbe il viaggio, od una semplice visita. Percorriamo gli ultimi km cittadini attraversando la solita (per la realtà russa) periferia impersonale fatta di palazzi formicaio in quartieri dormitorio e, dopo l’ennesimo posto di blocco della polizia, un cartello con la fatidica scritta Murmansk km 1387, ci fa capire che sarà un lungo trasferimento, sebbene la luce a disposizione sia di fatto perpetua anche già a questa latitudine.
Fino a Petrozavosdk, adagiata su un lago dal nome impronunciabile, che dovrebbe suonare all’incirca come Oneoga, ma con temperature invernali da far impallidire anche le celle frigorifere per la congelazione delle carni, il traffico è intensissimo, con la strada che continua a mantenersi seriamente disastrata. Gli orologi c’informano che è tardi, le condizioni ambientali accendono di riflessi irreali il lago. Decidiamo di dare un’occhiata al centro. La città appare tranquilla con una bella gioventù per le vie del centro che diradano verso la sponda del lago. Siamo fermi ad un semaforo, quando veniamo affiancati da una coppia a bordo di una vecchia Diniepr, che della struttura originale ha mantenuto solo il motore: Lion, il proprietario ha sostituito tutto nel tentativo di rendere il mezzo una specie di cruiser. Solite discussioni motociclistiche su destinazioni, km, mezzi usati, e la fatidica domanda viene pronunciata: “dove pensate di fermarvi per la notte?”
E’ un invito indiretto poiché hanno un amico, Edward, motociclista con la solita, immancabile, diffusissima Diniepr, ma stavolta trasformata in una sorta di GS, che potrebbe metterci a disposizione un suo appartamento in cui non vive più da tempo.
Lo osservo: “Ma come fa a saperlo?”
“Lo informo adesso!” Detto, fatto.
Alle 2 del mattino stiamo ancora discutendo e bevendo birre, e la cosa andrebbe ancora avanti per ore se non fosse la moglie di Lion, Natalia, come da buona tradizione russa, a rivestirsi di personalità e a mandare tutti a letto preoccupata del fatto che l’indomani ci attenda una vera e propria abbuffata di km. Naturalmente i postumi della serata si ripercuotono sull’orario di partenza, ma una volta imboccata la M18 direzione nord, appare subito chiaro che le cose sono cambiate, il traffico è diminuito, qualche camion e pochissime macchine, con questo nastro d’asfalto (appare anche in condizioni migliori) che si srotola in una foresta di pini per centinaia di km. Persino i distributori di benzina, nonostante le scarsissime informazioni a disposizione, si susseguono con una certa frequenza. Spuntino nei pressi di Letha, a base d’insalata russa di pesce e tartine al salmone, per ripartire sotto un tiepido sole. Dopo pochissimo, incontriamo l’ennesima pompa di benzina. Abbiamo mezzo serbatoio, ci osserviamo in una tacita, silenziosa constatazione, di quanto fossero inesatte le informazioni che avevamo in merito alla capillarità dei rifornimenti in Carelia e ripartiamo. 60 km, ed arriviamo al bivio di Kem.
Il paese e la benzina distano 25 km.
La deviazione non ci attira, guidiamo per qualche km e chiediamo informazioni all’autista di un autobus fermo per un guasto.
Mario fa sfoggio del suo incredibile vocabolario russo di ben 20 parole.
“dice che non ricorda bene ma ce ne dovrebbe essere uno fra circa 50 km”
40, 50, 60 km!!!!
all’ennesimo cantiere stradale ci fermiamo  e scopriamo che non solo non ci sono distributori, ma che il prossimo è a ben 100 km!!!
Fregati! In mezzo al niente con il cantiere che utilizza solo motori diesel, ed un traffico di 1 o 2 macchine ogni mezz’ora.
Tanica, tubo, messi gentilmente a disposizione dagli operai e cominciamo l’attesa di qualche volenteroso distributore ambulante di benzina. Al terzo tentativo possiamo provare la nostra bioscopia benzinesca su di una Opel Kadett, apparentemente in buono stato di salute. I nuovi serbatoi hanno però una specie di retino che impedisce questo tipo di chirurgia diagnostica. Ci serve una Zigulì, non le caramelle, ma le Lada che fortunatamente rappresentano un buon 70-80% del parco circolante russo. Altre 5 macchine e troviamo i primi 5 litri, ma il nostro benefattore non può darcene di più poiché gliene restano solo 7. Risate, scambio di battute, un Euro per ricordo e riinizia l’attesa. Mezz’ora e siamo nuovamente in viaggio. L’attraversamento del Circolo Polare Artico avviene con un fantastico sole di mezzanotte. La monotonia della strada, assume i connotati e le luci da grandi latitudini. Inspiegabilmente dopo gli asfalti voragine nel sud, la qualità va migliorando man mano che si procede verso nord. Certo siamo lontani da standard occidentali, ma ci si può distrarre più facilmente. Anche i controlli della polizia con i loro radar diventano più rari.
Dovremmo fermarci, ma proseguiamo, suggestionati dalla “luce eterna”, fino a quando Mario non nota del fumo, mi fermo e….sono completamente imbrattato di liquido refrigerante, un sasso deve aver bucato il radiatore dell’acqua. Che fare? È ormai tardissimo, e di arrivare a Murmansk, 450.000 abitanti, nessuna informazione in merito, non se ne parla neanche. Decido, nonostante Mario non sia d’accordo, di bivaccare per strada.
Domani si vedrà!
Dopo neanche 4 ore di sonno, delle voci mi svegliano. Anatholy e Vladimyr stanno andando in città per lavoro, con un camioncino. A gesti spiego la mia situazione. Loro mi confermano che l’unica possibilità per la riparazione, è assolutamente Murmansk. Naturalmente si offrono di aiutarmi caricando me e la moto sul furgone e conducendoci dapprima al primo bar per offrirci la colazione e poi al concessionario Volvo, dove, dopo aver smontato il pezzo infortunato, ed averlo lavato, un meccanico dell’officina si offre di effettuare la riparazione con la pasta saldante a freddo che abbiamo trovato in città. Io probabilmente sarei stato meno preciso distribuendo la pasta sulla parte lesionata, lui effettua un lavoro di fino incidendo la parte e schiacciandola con una pinza prima di saldarla. Un’ora di attesa, rimontiamo il tutto sempre sotto lo sguardo vigile dei meccanici dell’officina che a turno, ogni tanto, escono a controllare che il lavoro sia fatto a regola d’arte e nel primo pomeriggio siamo nuovamente in grado di riprendere il viaggio, la riparazione tiene.
Sono tutti lì ad osservarci, chiediamo quanto dobbiamo per il lavoro, il proprietario guarda il meccanico e lui a gesti mi fa capire che abbiamo fatto tutto noi.
 “Buon viaggio!!” e ci regala anche 2 litri di liquido refrigerante, per le emergenze.
Mentalmente tocco ferro, ringraziamo ed andiamo a cercare l’albergo della catena Siemens. Stasera picnic sul fiordo davanti alla ex base missilistica nucleare di Severomorsk.

                       SLIDESHOW                            TESTO 

 

13 aprile 2011

SVIZZERA il parco giochi


Si può andare con la famiglia a Mirabilandia, Gardaland, qualche parco divertimenti della Disney sparso per l’Europa, ma se si è a cavallo delle proprie moto e si hanno a disposizione una manciata di giorni, ci sono delle aree geografiche che sembrano appositamente studiate per dare il massimo della soddisfazione di guida, con  strade quasi sempre perfette, con buon asfalto, paesaggi e panorami da togliere il fiato. Quello dell’itinerario proposto è uno di questi.

ITINERARIO- Confine svizzero, passo del Malora, Selvaplana, Julierpass, Thusis, Via Mala, Splugen, Passo del S. Bernardino, Bellinzona, Blasca, Passo del Lucomagno, Oberalppas, Andermatt, Furkapass, Gletsch, Neufenenpass, Airolo, Passo del S. Gottardo, Andermatt, Sustenpass, Grimselpass, Gletsch, Furkapass, Andermatt, Atdorf, Fuelen, Klausenpass, Nafels, Molis, Walensee, Bad Ragaz, Davos, Albulapass, Pontresina, Passo del Bernina, Livigno.
LUNGHEZZA- km 864


Chi visita la Svizzera, scoprirà presto che non c’è itinerario che non preveda il passaggio di più valichi. Noi siamo andati alla ricerca di alcuni di essi fra i più caratteristici e suggestivi. La Confederazione Svizzera è, per auto definizione, uno “Stato dei passi”. I colli sono gli sbocchi indispensabili per il flusso vitale del paese. Il confine tra i cantoni è spesso definito da uno o più valichi. Quando le alpi, dall’800 in poi furono concepite come una frontiera divisoria tra più nazioni, la Svizzera fu considerata come una regione di transito da un versante all’altro della catena alpina. La Svizzera, quindi, è divenuta, per la fortuna di noi moto-turisti o semplici amanti delle belle strade, uno dei nodi imprescindibili della civiltà europea in virtù della rete di passi che in essa variamente si intrecciano e si snodano. Tutto inizia nel XIX secolo quando le prime vie di transito furono costruite d’intesa con le grandi città mercantili d’Europa interessate a garantire ed agevolare il traffico per e dalle grandi fiere europee. Là dove spesso si incontrava una “Via Mala”, tra gole rocciose e dirupi ghiacciati, ora passano comode strade, a volte  a più carreggiate. Ma chi, come noi in questa esperienza, desidera ripercorrere gli antichi tracciati, può conoscere e respirare un po’ di quello “spirito di passo” che ispirò i viaggiatori nei secoli scorsi. 


Ebbene sì, mi sono proprio divertito. 4 giorni a spasso per passi fra le alpi svizzere in compagnia di una ventina di amici con cui ho condiviso pieghe, strade, passi e serate goliardiche oltre che gastronomiche.
Va detto che il risultato è pienamente riuscito grazie a, oltre che alla compagnia piacevole e divertente, alla qualità dell’itinerario ed alla spettacolarità delle strade affrontate nel corso di questo week-end lungo. Parte centrale e focale del tragitto è stata la zona chiamata e conosciuta comunemente come quella dei 4 passi. Grimsell, Nufena, Furka e San Gottardo rappresentano i gioielli della corona di strade che incornicia una parte assai spettacolare delle Alpi svizzere, tra il bernese ed il Canton Ticino e rappresentano un appuntamento ed una meta per la maggior parte dei moto turisti continentali.
Ma per arrivare in “zona operazioni”, un riscaldamento, per usare un termine ciclistico, è d’obbligo: quindi passo S. Marco, per poi entrare in territorio svizzero dal Maloja, valicare il Julier Pass e la via Mala per eccellenza che segue il corso del Reno per poi dirigersi verso il San Bernardino dopo aver attraversato la ridente Splugen. L’arrivo avviene in serata a Bellinzona, dominata dai suoi splendidi castelli dichiarati patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, con già alle spalle una buona dose di chilometri e pieghe. La serata sarà altrettanto piacevole, ma le attenzioni sono tutte rivolte all’indomani. Ed il giorno dopo siamo in un attimo a Biasca da dove cominciamo il pirotecnico avvicinamento al cuore dell’itinerario: passo di Lucomagno, Oberalppass per piombare su Andermatt. I 4passi formano un specie di 8 viario e noi, a questo punto, siamo proprio nel mezzo.
Poche regole, anzi nessuna, a parte quelle ovvie e scontate su sicurezza e velocità: senso orario, antiorario, poco importa, meglio se si ha tempo di poterlo fare in entrambe le direzioni o addirittura percorrendo il circuito più volte. Uno sballo. Ed anche gli scenari, le sensazioni, le situazioni cambiano!! La prima volta che transitai qui, di ritorno da un viaggio nelle isole britanniche mi aveva impressionato l’attacco del Furkapass, ma qualche anno dopo ero rimasto letteralmente strabiliato dal ghiacciaio sul Neufenenpass. Anche stavolta però il parco giochi ha lasciato un segno nei miei ricordi: l’arrivo al Grimsell da nord è letteralmente strabiliante, assai più di quanto potessi ricordare. Una serie di dighe e laghi glaciali di un colore verde smeraldo, cercano di interrompere in più punti la strada che tortuosamente ed in maniera strabiliantemente panoramica, riesce ad evitare tutti gli ostacoli.
Uno spettacolo!
E quasi in cima, un rifugio su uno sperone di roccia immerso in uno dei laghi, raggiungibile transitando su una delle dighe. L’anno prossimo, ancora 4 passi, ma dormiamo quassù. Chi viene?

 

Oltre il crinale delle alpi ticinesi, si entra nelle terre del Reno. D’improvviso la solarità meridionale lascia il passo ad un’atmosfera misteriosa. Miti pagani, leggende popolari, storie sapienziali affollano la vita di questo piccolo mondo alpino, dove senza una chiara distinzione geografica si parlano diverse lingue e si professano 2 religioni. Che sia la presenza del grande fiume che qui inizia il suo percorso di oltre 1300km a suscitare tale aura di separatezza? Ma parlando di strade è proprio dopo Thusis che la valle dà il meglio di se stessa, proprio dove sembra interrompersi e le pareti si compattano in un sipario minerale apparentemente senza soluzione di continuità.
Ma in realtà una crepa c’è ed è proprio lì che il fiume, spumeggiando, si insinua. Qui l’ingegno e la perseveranza dell’uomo hanno costruito un miracolo ingegneristico, tracciando una strada impossibile, detta Via Mala, per l’infinita serie di disgrazie, valanghe, frane, inondazioni che l’hanno colpita fin dal suo nascere nel 1473. Oggi non è più frequentata se non per scopi ed emozioni  turistiche, sostituita da un nastro di moderni tunnel che perforano la montagna e che ne salvaguardano bellezza e spettacolarità. Fin all’altro ieri dire Via Mala evocava un mito della viabilità europea: i suoi 3 ponti letteralmente lanciati da una parta all’altra di una forra spettrale larga una trentina di metri ma alta qualche centinaio, costruiti tra il 1738 ed il 1834, con le sue cronache di morte segnarono profondamente l’immaginario dei secoli passati. E dire che non appena si esce dalla gola il panorama torna a farsi amabile, abbracciato da monti non troppo severi e disseminato di villaggi ameni.


La Svizzera è uno dei più grandi produttori di formaggio al mondo. La qualità dei suoi prodotti appartiene al gotha dell’arte casearia, con una tradizione che dura da oltre 700 anni. Uno dei piatti principale per le degustazione di alcuni formaggi è senza dubbio la raclette: il nome di questa specialità deriva dal verbo francese racler, che significa, raschiare, grattare. Anche se oggi si utilizzano le apposite vaschette da inserire nel forno per ottenere le porzioni individuali, un tempo la cosa più laboriosa ma anche, assicurano i virutosi della tradizione che ancora la fanno a mano, di grande soddisfazione e sicuro godimento. La forma di formaggio, che deve essere di gusto vigoroso, aromatico e piccante, va dimezzata e la superficie appena tagliata va posta davanti al fuoco fin quando comincia a fondere. A questo punto con un coltello si raschia il formaggio ammorbidito e lo si pone sul piatto riscaldato sopra le patate bollite con la buccia assieme a cipolline e cetriolini sottoaceto. L’operazione procede di piatto in piatto fin quando si arriva alla crosta della forma, chiamata “religieuse”: arrostita e croccante, è un boccone prelibato. Oltre al profumo invitante ad all’inimitabile sapore di pane intriso nella crema fumante, poco si sa di quello che bolle nel “caquelon”, il pentolino della “fondue”, se non che si tratta di formaggio fuso. Le ricette naturalmente variano da valle a valle ed ogni cuoca la prepara a casa, secondo in consigli di mamme e nonne. La più classica? Nel pentolino, sfregato con l’aglio, si mettono a fondere tre parti di Gruyere ed una di Emmental, con l’aggiunta di un cucchiaio di fecola od amido, 3 decilitri di vino bianco, succo di limone, pepe e noce moscata.



Colpo d’occhio                                
Sicuramente non esiste un altro paese al mondo, in proporzione agli abitanti, con una rete ferroviaria così vasta e ben strutturata. Fin dall’800, gli svizzeri hanno puntato sul sistema dei trasporti su rotaie, nonostante avessero decisamente un territorio poco adatto. Uno dei viaggi ferroviari più belli al mondo è quello che attraversa tutte le alpi dal fondovalle di Tirano, al confine italo-svizzero, fino al ghiacciaio del Gornergrat, ai piedi del Monte Rosa. Il percorso completo richiede 3 cambi di treno ed almeno 2 giorni di viaggio, ma il panorama  e le arditezze tecniche lasciano con il fiato sospeso in ogni stagione.