L’usanza di seppellire il
formaggio viene tramandata nei secoli quale parte integrante di antiche tradizioni
contadine. L’origine di tale pratica è ignota, anche se documenti risalenti al
XV secolo testimoniano in modo tangibile che esisteva anche a quei tempi.
Ogni anno e per tre settimane, a cavallo dei
mesi di novembre e dicembre, a Sogliano sul Rubicone, si svolge la fiera del
formaggio di fossa e noi siamo andati a curiosare e…..ovviamente a degustare.
QUANDO- La caratteristica
Fiera del
Formaggio di Fossa ha luogo ogni anno nelle ultime due domeniche di
novembre e nella prima domenica di dicembre
DOVE- Sogliano al Rubicone in provincia di Forlì
LA ZONA- Il formaggio di fossa viene prodotto nella zona
attraversata dai fiumi Rubicone e Marecchia, a cavallo tra Romagna e Marche
ITINERARIO- Sogliano al Rubicone, San Leo, Montecopiolo,
Macerata Feltria, Lunano, Belforte all’Isauro, San Sisto, Carpegna, Pennabilli,
Maciano, Novafeltria, Perticara, Barbotto, Montegelli, Sogliano al Rubicone.
PERIODO CONSIGLIATO- sicuramente la fine dell’anno non è il massimo per gustare le belle
strade dell’itinerario.
FONDO STRADALE-
le strade sono belle, spesso panoramiche e poco trafficate. Percorse nel
periodo della sagra di Sogliano sono risultate spesso sporche ed a volte
interrotte per smottamenti dovuti al mal tempo.
Secondo la leggenda, l’usanza di deporre il formaggio nelle
fosse nacque dalla necessità per i contadini soglianesi di difendersi dalle
razzie delle truppe aragonesi che, nel XV secolo, infestavano le campagne. Una
volta riaperte le fosse, i contadini si accorsero che il formaggio depostovi
aveva acquistato un nuovo ed ottimo sapore.
Certo l’odore non è dei più invitanti, la forma non è delle più accattivanti, ma il prodotto in sé merita ampliamente
l’approfondimento e la menzione tra gli eventi di enogastronomia a cui
partecipare in questa stagione mototuristica. Certo il periodo non è dei più
incoraggianti, parliamo degli ultimi 2 mesi dell’anno ma la zona è davvero
ricca di strade panoramiche poco trafficate e zone di richiamo turistico
culturali, senza dimenticare la gettonatissima San Marino, che volutamente
viene lasciata al di fuori del percorso segnalato.
Ma per non lasciare l’amaro in bocca, la prima tappa
sarà la fortezza più piccola ma non meno affascinante di San Leo.
Paola in redazione era stata categorica, nel ricordarmi di
non menzionare assolutamente le condizioni meteorologiche, come se chi va in
moto non debba essere condizionato da condizioni di tempo avverso.
Ed è proprio a questo che penso mentre faccio il mio
ingresso dalla porta di San Leo.
Sta nevicando! Lo scrivo o non lo scrivo?
Decido per una fugace menzione, ma certamente questo non agevola il mio
progetto di dormire all’interno del piccolo borgo arroccato su alte pareti a
strapiombo che dominano il corso inferiore del Marecchia.
La gentile signora che mi accoglie all’ufficio informazioni
ed alla quale manifesto i miei propositi, nel fornirmi l’elenco delle strutture
ricettive, si stampa sul viso una specie di ghigno come per dirmi “hai proprio
ragione, se continua così, sono cazzi tuoi ripartire!!”
In effetti l’accesso al paese non è dei più semplici, con
questa stradina in salita che si infila in salita per una porta con l’asfalto
che diventa un infido ciottolato!!
Alla fine per non rischiare uno spiacevole blocco, pregiudicando
la trasferta, ripiegherò in un tranquillo alberghetto a Rimini, nonostante il
giorno dopo un bel sole illumini il teatro d’azione di questo itinerario che a
parte la base di partenza si svolge interamente nelle Marche.
Quindi di nuovo San Leo. La scenografia del luogo è
assoluta, peccato per i lavori e la vertiginosa impalcatura che praticamente
corre su tutto il fianco dello sperone roccioso che ospita la fortezza dalla
quale la vista spazia a 360°, nonostante sia soli 600m di altitudine.
La giornata è radiosa, niente a che fare con il grigiore del
giorno precedente.
Un vento forte ed asciutto permette ad un cielo azzurrissimo
di spingere la vista fino ad un lontanissimo orizzonte.
Riaggredisco i 2 valichi di La Serra e S. Marco. La neve è
ancora sui bordi della strada ma la strada è pulita ed il percorso
entusiasmante.
Purtroppo il tempo è stato davvero inclemente e sono
costretto alla prima deviazione. Per arrivare a Macerata Feltria nelle mie
intenzioni la strada da seguire era quella che transitava da Monte Cerignone.
Una frana, mi obbliga a deviare per la via più diretta per poi proseguire dopo
una breve visita di questo interessante borgo alla volta di Sassocorvaro, che
domina dall’alto la diga del fiume Foglia e dalla quale si transita per salire
alla rocca Ubaldina, a detta delle guide un capolavoro dell’architettura
militare con la sua singolare forma a vascello, tutta serrata da torrioni e da
singolari torri cilindriche. Ma l’itinerario mi riserva un’altra sgradita
sorpresa: il tentativo di salire sul monte s. Leo è impedito da un altro blocco
stradale. La deviazione per il corso del fiume Foglia è quindi obbligatoria e
rappresenta sicuramente la parte più monotona dell’intero percorso.
Fortunatamente a Belforte sull’Isonzo si inizia nuovamente a salire tra dolci
colline per transitare, dopo Carpegna, alla cantoniera e scendere ripidamente,
con una bella veduta sulla valle sottostante e con un asfalto davvero
eccellente, verso Pennabilli.
La strada dei 9 colli è una vera classica, assai famosa tra
i ciclisti locali e che ogni anno coinvolge oltre 10.000 cicloturisti. Oltre
alle difficoltà insite nel percorso, permette di godere di una vista davvero
apprezzabile, spesso su di un costone panoramico che permette di spaziare dal
mare sulla dx, sulle valli sottostanti ed alle montagne dell’Appennino sulla
sx.
Non ce ne vogliano i puri del pedale ma dopo averla percorsa
ho deciso di copiare una parte del tracciato inserendolo nella tratto finale dell’itinerario,
ma ne vale davvero la pena.
“Piccolo grandemente amato paese di Romagna” così il Pascoli
definì Sogliano.
Va detto che, se avete
intenzione di approfittare dell’occasione per partecipare alla sagra del
formaggio, sarà meglio approfittarne in tempi relativamente brevi.
Pare che, ormai sia
opinione comune che la manifestazione durerà ancora qualche anno prima di
terminare. O per lo meno così la pensano alcuni abitanti dei questo piccolo
paese appollaiato su una bassa collina al confine tra Romagna e Marche con una
splendida veduta sul vicino mare senza trascurare uno sguardo alle montagne
“7.000.000€, questo è diventato ormai il giro d’affari che
questo tipo di formaggio riesce a generare!!!”
Alessandro gestore,
cuoco del ristorante albergo “Il Parco”, sembra assai convinto di quello che
dice.
” Prima c’erano solo
tre produttori e poche fosse” continua “, devi considerare che le fosse sono
diventate una cinquantina! E poi, Dio Bon, ora il formaggio si trova persino a Napoli o a Roma, si sfossa 3 volte
all’anno e la gente senza mantenere la stessa qualità di un tempo può guadagnare
anche 500.000€ in un sol colpo.”
Non che guadagnare
del proprio lavoro sia deprecabile, ma senza dubbio fermo, restando così le
cose, i presupposti della sagra vengono a cadere. L’eccesso di successo del
prodotto probabilmente segnerà anche la fine della manifestazione che in
passato tanto notorietà ha riscosso.
Ed infatti anche i
numeri delle presenze, sembra che confermino quanto detto.
In fin dei conti il
prodotto è ormai famoso in tutto il mondo, è possibile reperirlo su tutto il
territorio nazionale, e questo val bene qualche presenza in meno.
Siamo d’accordo? In
fin dei conti le tradizioni cambiano, le abitudini mutano.
Sarà!! Ma il vecchio
gusto di partecipare a quello che era un avvenimento per tutta la zona, con
l’odore fortissimo, acre che si sprigionava nel periodo della sfossatura e che copriva
tutti gli aromi nel raggio di diversi km, aggiunta all’attesa che rendeva l’evento
una festa per tutti, sinceramente sarebbe un bel peccato perderla.
Il formaggio di fossa
Viene prodotto nella zona attraversata dai fiumi Rubicone e
Marecchia, a cavallo tra Romagna e Marche.
Le fosse sono ambienti sotterranei, di origine medievale, scavate nel tufo
dell’abitato soglianese ed un tempo adibite a deposito del grano.
Sono di varia forma e misura; in genere a forma di fiasco con una base di circa
2 metri di circonferenza ed un’altezza di circa 3 metri compreso il collo.
Si distinguono quattro fasi necessarie per la produzione del formaggio di
fossa:
- pulitura e preparazione della fossa
- infossatura
- Stagionatura
- sfossatura
La
prima consiste nel bruciare paglia
all’interno della fossa per togliere l’umidità accumulata; in tal modo si ha
una sorta di sterilizzazione contro germi che potrebbero nuocere ad una normale
fermentazione. Si passa poi al rivestimento delle pareti per isolare il tufo
con uno strato di circa 10 centimetri di paglia sostenuta da un’impalcatura di
canne verticali legate orizzontalmente da cerchi di legno; sul fondo vengono
sistemate delle tavole di legno.
A questo punto segue l’
infossatura del formaggio chiuso in
sacchetti di panno, preferibilmente bianco, ove i proprietari delle fosse
appongono, con olio cotto e nero, due numeri: il primo corrisponde al
proprietario, il secondo al peso espresso tradizionalmente in libbre.
Questa operazione consiste nell’accatastare i sacchetti di formaggio fino
all’imboccatura della fossa. Una volta riempita, la bocca, coperta con teli
atti ad evitare al massimo la traspirazione, viene chiusa tramite l’apposizione
di un coperchio di legno sigillato con gesso e ricoperto con sassi, sabbia e/o
tavole.
Il periodo di infossatura tradizionale è compreso tra agosto e l’inizio di
settembre con sfossatura nel mese di novembre.
Il disciplinare di produzione del formaggio di fossa prevede due ulteriori
periodi di infossatura da effettuarsi nel corso dello stesso anno solare:
infossatura primaverile ed infossatura estiva.
La prima decorre dal 1 marzo fino al 20 giugno, mentre la seconda dal 21 giugno
fino al 21 settembre rispettando, all’interno della stessa fossa, un periodo di
dieci giorni di riposo in modo da permettere le operazioni di pulitura ed
asciugatura.
Terminate le operazioni di infossatura decorre la
stagionatura
con una durata che varia da ottanta a cento giorni.
All’interno della fossa avviene un processo di fermentazione che altera il
sapore del formaggio, dandogli quel gusto così particolare. La stagionatura
inoltre causa una perdita di siero e di grasso, mentre la compressione dovuta
al peso fa perdere a gran parte dei formaggi la loro forma rotonda.
Decorso il periodo di stagionatura, avviene la
sfossatura, che
consiste nel rimuovere i materiali posti a copertura della fossa e nel
prelevare dall’interno i sacchetti di formaggio.
L’apertura tradizionale delle fosse si svolge il 25 novembre, giorno di S.
Caterina d’Alessandria, martirizzata secondo la leggenda all’inizio del IV
secolo. Anticamente era questa una ricorrenza molto sentita dalla popolazione
soglianese appartenente, in prevalenza, al ceto contadino. Terminata la
raccolta dei frutti autunnali e la semina, conclusi i riti della vinificazione
e della spremitura delle olive, gli agricoltori si preparavano alla sospensione
invernale del lavoro campestre. Nel giorno di S. Caterina i contadini, ogni
anno, venivano in paese a ritirare il poco formaggio affidato alle fosse
durante l’estate ed in tal
modo potevano far fronte alle ristrettezze dell’inverno.
Una volta concluse le operazioni di sfossatura, le fosse devono osservare un
periodo di riposo invernale della durata di tre mesi.
Il formaggio di fossa viene
prodotto con le seguenti tipologie di latte:
- latte ovino intero (pecorino)
- latte vaccino intero (vaccino)
- latte caprino intero (caprino)
- miscela di latte intero vaccino, ovino e caprino
(misto)
La parte esterna del prodotto finito può variare dal colore
bianco avorio al giallo ambrato. Alla fine della stagionatura i formaggi si
presentano distorti, con forme irregolari, caratterizzate da arrotondamenti e
depressioni. La superficie si presenta prevalentemente umida e grassa, e in
alcuni casi può essere ricoperta di grasso condensato e muffe facilmente
asportabili con leggera raschiatura. La buccia inoltre è assente o appena
accennata e la pasta interna è di consistenza semi-dura, di colore bianco
ambrato o leggermente paglierino.
Il sapore varia a seconda della composizione del formaggio stagionato:
- il
pecorino presenta un gusto aromatico, leggermente piccante
- il
vaccino è fine e delicato, con una punta di amaro
- il misto
presenta caratteristiche intermedie tra i due.
Recenti studi condotti sul prodotto hanno messo in luce sia
la sanità del formaggio per l’assenza di germi patogeni nocivi alla salute, sia
la maggiore digeribilità determinata dall’azione di particolari batteri.
Il formaggio di fossa è ottimo da gustare da solo, oppure
per la preparazione di primi e secondi piatti, come ad esempio i passatelli,
gli gnocchi, il carpaccio o la costata di manzo, ed anche come dessert servito
col miele.