11 luglio 2012

SICILIA la punta estrema della trinacria




Questa è la parte meno visitata di questa splendida terra che risponde al nome di Sicilia. Ma anche negli angoli più reconditi, la Trinacria, questa splendida isola, offre sensazione forti al visitatore curioso che non lascia impressionarsi dalle distanze.


ITINERARIO- Avola, Rosolini, Ispica, Scicli, Modica, Ragusa, Marina di Ragusa, Donnalucata, Pozzallo, Pachino, Portopalo di Capopassero, Marzamemi.
LUNGHEZZA- KM 189



FONDO STRADALE- consoliamoci con lo splendido pescato di Marzamemi, i pomodori di Pachino e alcune ottime cantine vinicole, purtroppo questa è la nota dolente del percorso, quasi sempre molto scivoloso, anche se spesso panoramico e divertente.
PERIODO CONSIGLIATO- qui può fare molto caldo anche se le brezze mediterranee possono aiutare il vacanziere estivo. Circa 6 anni fa sono capitato in zona, naturalmente in moto, per trascorrere un fine d’anno diverso insieme ad un gruppo di amici, ed il risultato è stato esaltante. Probabilmente la stagione meno indicata è forse proprio quella estiva.



Molti conoscono questo angolo di Sicilia per alcune degli esempi più affascinanti del barocco, molti ignorano che Gabriele Salvatores scelse il piccolo porticciolo di Marzamemi per ambientarvi il suo “Sud”.
Fabio Briatore ha comprato in blocco la struttura della tonnara, davvero splendida, di Potopalo di Capopassero, per scopi ancora da specificare, ma investendo una cifra di oltre 6 milioni di €, e parliamo solo della residenza, più simile ad un castello che ad una dimora.
Qui siamo davvero alla fine della geografia nazionale, lo si avverte, si respira, anche senza controllare la cartina geografica. Un posto unico ed affascinante che tanto ha sicuramente da offrire al visitatore.
Come al solito, il turismo straniero se ne sta accorgendo prima di noi, a parte forse il patron della scuderia campione di formula 1, che lo ha proclamato come una delle nuove mete di un turismo ecologico ed intelligente: quello in bicicletta. Nei 3 splendidi giorni trascorsi in questo estremo triangolo della Trinacria, ne incontrerò decine, in gruppo e solitari, di preferenza tedeschi, ma anche alcuni americani e francesi.
E la primavera è sicuramente il periodo più bello anche per chi, amante delle 2 ruote, al posto dei pedali può approfittare di un motore.
Il cielo è limpido, spesso è possibile vedere a distanza la vetta dell’Etna ancora ammantata dalle nevi invernali, la temperatura è gradevolissima e tutto è in fiore.
Gialli, verdi, l’azzurro dei cieli, un mare limpidissimo spesso a vista, cosa pretendere di più?
La prima parte dell’itinerario parte da Avola per spingersi all’interno alla ricerca di antichi insediamenti e città d’arte.
La nota lieta è sicuramente rappresentata dalle strade, belle, poco trafficate, immerse in una campagna solitaria che permettono di raggiungere le massime espressioni del barocco siciliano in tutta rilassatezza. Noto, Modica, Ragusa, Scicli, sono sicuramente le più rappresentative, famose in tutto il mondo per le loro architetture. Probabilmente la più impressionante è proprio quest’ultima, sebbene sia forse la meno conosciuta dalle masse turistiche: un groviglio di case in pietra che degrada verso il mare da 2 gole che sono sormontate da chiese e monasteri. Orientarsi è assai difficile, anche con il supporto dei locali, ma la vista dall’alto è davvero impressionante!
E le soste possono essere influenzate anche dalla gastronomia locale: gelati, cioccolato, formaggi, ogni centro offre un prodotto da assaggiare e perché no, occasione di regali per amici e conoscenti.
Il mare rimasto sempre a vista diventa ora il protagonista. Tante spiagge, sabbia, mare che va dal verde al turchese, anche se un’urbanizzazione selvaggia ha in parte irrimediabilmente compromesso la bellezza dei litorali.



E sarà vagando per le vie di Ragusa Marina che conoscerò Giorgio che mi fermerà per strada invitandomi al bar, essendo anche lui motociclista.
Un gelato, due chiacchiere su viaggi futuri ed un invito a casa sua, in caso di sosta nelle vicinanze.
Sì, la Sicilia è anche questo: ospitalità, sincera e spontanea.
Ma Marzamemi mi attende e devo declinare a malincuore l’invito. Scoperta per caso nel capodanno del 1998, ci sono tornato già diverse volte. Arrivo al tramonto con un sole arancione che accende luci impressionanti, ombre lunghissime sulla piccola baia.
I pescatori rientrano dalla giornata di pesca, il porto si anima, ma prima di concedermi alle gioie della tavola, cerco di distruggere gli automatismi della mia reflex.
La sera sarò nel mio ristorante preferito, “L’Acquario”, una tonnara ristrutturata con 3 vasche da un lato e dove gli avventori possono controllare e scegliere il pesce che mangeranno.
Farò le ore piccole con Bartolo, gestore del locale, motociclista, uno dei 180 di Marzamemi che però ha avuto un lungo interludio di circa 20 anni a Torino.
“Qui il tempo è migliore” mi dirà nel corso della serata, ma il giudizio non è solo rivolto alle condizioni climatiche. Il tempo migliora le condizione della vita, la possibilità di poterlo gestire, di potersi concedere piccole gioie della vita grazie ad un rapporto con il luogo e le persone, che consentono dei ritmi tipicamente mediterranei.
Si vive meglio perché si ha un tempo migliore a disposizione. Come dargli torto?
L’indomani sarà il giorno di chiusura dell’itinerario.
Portopalo di Capopassero è davvero la fine, qui ci si è spinti più a sud della stessa Tunisia e non si può far altro che salire verso nord.
Ancora un bravo a chi ha acquistato la splendida tonnara e la principesca dimora, 2 capolavori.
Mi avvicinerò a Pachino con una campagna soffocata da serre che rappresentano l’attività principale della zona. Le ciliegine di Pachino, questi pomodori piccoli, rossi, gustosissimi, vengono raccolte diverse volte all’anno e sono rinomate per la loro qualità in tutto il mondo, dove vengono esportate. Una sequenza praticamente inarrestabile, fatta di 12.000 aziende e 24.100 ettari di serre che come giganteschi lombrichi scivolano verso il mare.
Arriverò in piazza di questa attivissima cittadina di circa 20.000 abitanti giusto in tempo per incontrarmi con Bartolo e concedermi l’immancabile cannolo alla ricotta che è condizione imprescindibile per tutti i miei inizi di giornata in terra siciliana.



La cioccolata a Modica

La storia della cioccolata modicana inizia da luoghi e tempi lontani, dall’incontro “mancato” tra Cortez e Montezuma, nel 1519. Si narra che il condottiero azteco, in segno di amicizia, abbia offerto una bevanda composta da semi di cacao tritati grossolanamente, con l’aggiunta di acqua, farina di mais, chili, cannella e semi di anice. Bevanda poco gradita perché amara. Infatti la prima innovazione degli Spagnoli fu quella di aggiungervi lo zucchero di canna.
Gli Spagnoli riportarono in patria i semi di cacao e la ricetta della “cioccolata” che ben presto poi si diffuse in tutta Europa dove nelle corti veniva considerata bevanda elitaria, trasgressiva salutare e dietetica.
Ed è con gli Spagnoli che la cioccolata arriva anche in Sicilia ed in particolare nella potente e florida Contea di Modica. I semi di cacao venivano macinati su uno strumento chiamato Aztechi “metatl”, una pietra ricurva poggiata su due basamenti trasversali, usando uno  speciale mattarello di pietra. Un esemplare di questo strumento è perfettamente conservato e “funzionante” nel Museo Etnografico della Contea di Modica.
La pasta di cacao, amarissima, così ottenuta veniva mischiata a zucchero di canna e spezie, in special modo cannella o vaniglia, oltre ad altre essenze più o meno segrete. Tale lavorazione è sopravvissuta a Modica fino ai nostri giorni.
La cioccolata modicana si presenta oggi nella sua caratteristica forma rettangolare ed incartata prevalentemente a mano. La tecnica di preparazione è il risultato di una tradizione secolare che continua ad adottare i sistemi manuali usati fin dal 1700, epoca in cui cominciarono a fiorire le prime cioccolaterie.
La valata ra ciucculatta, costruita interamente in pietra lavica, è uno spianatoio a mezzaluna, poggiante su una base quadrangolare, anch'essa in pietra lavica. La base è munita di due cavità, dove viene sistemata a lanna co crauni (contenitore per il carbone) che serve a riscaldare gradatamente il nero asse a mezza luna, su cui viene travagghiata, passata e stricata (lett. lavorata, amalgamata e ragginata) la pasta amara di cacao insieme con lo zucchero semolato e gli aromi, quali la cannella e la vaniglia. In molti laboratori oggi questa fase di lavorazione  è stata sostituita con l’ingresso della moderne temperatrici.
Nel passato, anche la pasta di cacao, che oggi è acquistata già pronta per l'uso, veniva preparata il loco. I dolcieri, infatti, usavano i semi di cacao, detti localmente caracca che venivano tostati, frantumati e amalgamati mediante una manuzza ri ferru, paletta di ferro, in un apposito contenitore di legno, per ottenere la pasta di cacao. Miscela composta di pasta amara, di zucchero semolato e di cannella o di vaniglia, veniva deposta sullo spianatoio a mezzaluna già riscaldato e veniva amalgamata con il pistuni, speciale mattarello cilindrico di pietra, di diverso peso e spessore in rapporto alle fasi di lavorazione e cioè la prima, la seconda e la terza passata, fino alla raffinazione che prende, come già detto, il nome di stricata.
La pasta così lavorata conserva i cristalli di zucchero, poiché la cioccolata modicana, nonostante l'alimentazione del fuoco a carbone, che riscalda la pietra lavica, rimane cruda, né subisce il processo di concaggio, comune a tutte le cioccolate; il fuoco serve solo a sciogliere il burro di cacao che facilita la miscela e l'amalgama degli ingredienti. Successivamente tale prodotto, ancora pastoso, viene sistemato in apposite lanni (formelle di latta a forma rettangolare) che vengono battute per consentire al panetto di cioccolato di assumere la forma del suo contenitore. In queste lanni pa ciucculatti il panetto viene viene lasciato a riposare fino a quando non si raffredda. Una volta estratta, a lenza (tavoletta di cioccolata) si presenta lucida con delle scanalature, dette localmente sinnu ri ciucculatti.