“La bellissima” era il nome che gli antichi greci avevano dato alla Corsica, ma il tempo sembra non essere passato e l’appellativo è tutt’ora più che valido. Non ci sono molti angoli del Mediterraneo nei quali trovare un’acqua così trasparente, sabbia soffice e bianca, vertiginose scogliere ed allo stesso tempo paesaggi suggestivi, valli, foreste e montagne ammantate di neve anche in piena estate.
Si dice che la Corsica sia pericolosa, infestata
da ladri, con un sistema viario spesso in cattivo stato, diventata cara con
l’avvento dell’Euro, con abitanti animati da un fiero isolazionismo che spesso
non mantengono un comportamento ospitale. Si potrebbe discutere per ore su
giudizi spesso stereotipati, ma una cosa è certa: questo gioiello del
Mediterraneo regala una fitta, un crampo alla bocca dello stomaco ogni volta
che la si visita. Certo come tutte le isole, immense o sperdute che siano,
necessita di tempo e curiosità tenendo presente che anche lei deve abituarsi a
noi, affinché non si diventi i soliti turisti da cartolina. Gli itinerari sono
spesso costellati di imprevisti ed ostacoli, ma a volte anche di immagini, una
più sconvolgente dell’altra. Se la Corsica fosse un luogo mitologico, gli dei
sicuramente l’avrebbero scelta come luogo dove trascorrere molto del loro
tempo. Nella mia seconda esperienza alla scoperta di quest’isola, avvenuta
qualche anno fa, in un bar nella regione della Balagna, uno degli avventori mi
raccontò questa leggenda: “Si narra che Dio, un giorno, decidendo di creare un
angolo idilliaco dove riposare in pace, prese una parte degli altopiani
desertici della Spagna, i fiumi della Germania, le montagne dell’Italia, le
foreste della Francia e li piazzò con un colpo deciso nel cuore del
Mediterraneo, creando la Corsica.” Il tempo a volte è crudele ed ingiusto con i
ricordi: avevo dimenticato quanto potesse essere fantasticamente coinvolgente
questa splendida roccia conficcata nell’angolo più azzurro Mediterraneo!!!!
La prima volta arrivai in Corsica nel 1993 per concedermi qualche settimana
alla scoperta di questa vera e propria perla del Mediterraneo e da solo la
girai in lungo e largo. Allora rimasi strabiliato dalla straordinarietà del
paesaggio, questa miscela tra maestose montagne e coste incontaminate. Allora
(quasi 15 anni fa, porca miseria come corre il tempo), al rientro mi risultò
molto difficile descrivere la straordinarietà del paesaggio corso: ogni
tentativo risultava, sempre, irrimediabilmente ma soprattutto immeritatamente
limitato. Oggi dopo 3 tentativi mi trovo ancora nella stessa identica
situazione! Tentiamo per l’ennesima volta, ma non garantisco il risultato.
L’isola è letteralmente attraversata da veri e propri massicci di granito,
con cime ben oltre i 2000 metri di altitudine (e con il monte Cito che svetta
con i suoi ben 2707 m.!!!), distribuiti lungo una dorsale che percorre l’isola
trasversalmente, da nord ovest a sud est e che divide la Corsica in due
settori, dei quali il più interessante, a tratti selvaggio, è sicuramente
quello di occidente. L’itinerario proposto, si sofferma su questa parte
dell’isola, includendo anche il fantastico capo Corse, nell’estremo nord. Arrivando dalla Sardegna, si comprende ancora meglio la straordinaria posizione
di Bonifacio. Il centro storico occupa gran parte della penisola che protegge
un fiordo che ne fa uno dei migliori approdi di tutto il Mare Nostrum e sul
quale i genovesi costruirono una fortezza, cinta da 3 km di mura. La prima
parte dell’itinerario si svolge sulla N196 per permetterci la visita di
Sartène, “la più corsa delle città corse” come ricorda anche un cartello al suo
ingresso. Si continua sulla principale fino alle porte di Propriano dove
deviamo verso l’interno per la secondaria D19: la meta è l’Alta Rocca, zona
montuosa che raggiungeremo percorrendo la D69 fino ad Aullène che insieme a
Zonza divide il primato come più bel villaggio della zona. Se fin qui la strada
vi è piaciuta preparatevi alla meraviglia. La D420 che piega verso ovest è un
intarsio nella roccia costellata da sorprendenti punti panoramici. Ad onor del
vero va detto che tutta la strada fino a Corte è drammaticamente spettacolare,
includendo anche la deviazione di Bastelica. Corte, capitale storica e morale
dell’isola, è appollaiata pericolosamente su di uno sperone roccioso e
rappresenta il cuore geografico della Corsica, amata da Pasquale Poli che per
14 anni vi stabilì la sede del governo e vi fondo un’università. Da qui, via
verso il mare che rivedremo solo a Porto attraversando il Niolo, che Maupassant
definì: “Patria della Corsica libera, una zona inespugnabile da dove gli
invasori non riuscirono mai a cacciare i montanari. Un angolo selvaggio di una
bellezza inimmaginabile. Non un filo d’erba, non una pianta: granito, solo
granito”.
La picchiata verso il mare è vertiginosa: la strada si contorce prolungando
un piacere che pare non finire mai. Le montagne, divenute rosse, precipitano
letteralmente in mare, insieme alla D84 ed alle nostre moto!! La costa, il
mare, le baie, il mare azzurro, ma non aspettate od implorate una tregua.
La strada che da Porto conduce a Calvi, è
davvero straordinaria, costantemente in bilico, sospesa in uno scenografico
vuoto, con le montagne che precipitano
in un mare che varia dal turchese all’azzurro più profondo, segnate solo dalla
cicatrice della statale che corre a mezza costa. La D81b termina, interrompendo
la nostra trans agonistica, di fronte alle splendida cittadella di Calvi. Bastia è ormai vicina ma, a parte l’attraversamento del deserto degli Agriates,
con la salita sulla Bocca di Vezzu, il Capo Corso rappresenta una tentazione
troppo forte per poter resistere: con la sua costa orientale relativamente
dolce e costellata di pittoresche località e quella occidentale, alta e
frastagliata, con villaggi e strade arroccati a mezza costa. I Romani lo
battezzarono “il promontorio sacro” ed i corsi la chiamano comunemente “l’isula
de l’isula” e difatti, può essere considerata un’isola nell’isola, una specie
di Corsica in miniatura. Un mondo a parte, chiuso, che si è ricollegato al
resto dell’isola solo nel XIX secolo: infatti la strada panoramica, con un
asfalto a tratti realmente entusiasmante, fu voluta da napoleone Bonaparte.
L’asfalto del dito verrà ingoiato in qualche ora, comprese soste e foto.
Accidenti il tempo è scaduto, si torna sul continente.
Colpo d’occhio
Le Calanche traggono il loro nome
dalla parola corsa che, come in italiano, significa “cale” o “insenature”,
iniziano 7km a sud di Porto e sicuramente rappresentano una delle 7 meraviglie
della Corsica. Maupassant, nel 1880 le descrisse così: “una foresta di granito
color porpora, rocce dalle sagome strane, monaci, diavoli cornuti, uccelli
smisurati, tutto un popolo mostruoso, un serraglio da incubo pietrificato dalla
volontà di un dio stravagante”. Secondo una leggenda locale, queste forme
fantastiche sono opera del diavolo, che le creò in un impeto di rabbia dopo che
una pastorella aveva rifiutato le sue advances.
IL BANDITO D’ONORE
Il più popolare di tutti gli eroi corsi è il bandit d’honneur, appunto il bandito d’onore. Coniato durante il XIX secolo, il termine era usato per distinguere i comuni ladri di strada dagli uomini che si erano dati alla macchia dopo aver commesso un omicidio per vendetta. Protetti dagli arbusti impenetrabili o dal granito, questi fuggitivi potevano sopravvivere per anni nelle grotte, tra le rovine o nei rifugi di fortuna accessibili solo attraverso un labirinto di sentieri da caccia. Il vero bandit d’honneur non derubava o assassinava nessuno, eccetto i suoi acerrimi nemici, potendo anche contare sul sostegno dei suoi compaesani, mitizzato spesso come il simbolo dello spirito corso, perché incarnava quel miscuglio di sfida, orgoglio ed indipendenza col quale gli isolani avevano sempre trattato i dominatori. In quanto tali, i bandits erano rispettati, spesso riveriti. Flaubert scrisse di loro: “un cuore grande e coraggioso che batte da solo in libertà nei boschi….più puro e nobile, senza dubbio, della maggior parte delle persone di Francia.” Col passare del tempo però una parte dei bandit d’honneur si diede al bere, al furto, allo stupro ed all’assassinio, nella certezza di essere al di là del raggio d’azione dei gendarmi, facendo emergere una nuova generazione di fuorilegge che iniziò a taglieggiare uomini d’affari e proprietari terrieri. Soprannominati bandits percepteurs, banditi esattori, più che essere dei Robin Hood, sono oggi considerati i precursori della mafia moderna.
A cavallo tra il XIX ed XX secolo, alcune atrocità commesse spinsero la
polizia a prendere severi provvedimenti anche se la loro immagine eroica e
l’influenza sulla popolazione sono ancora vive.
L’implicita diffidenza nei confronti della legge fece si che un giornalista
di una televisione chiedendo ad un contadino: “Che cos’è la giustizia per lei?”
ebbe in risposta: “La giustizia? Quello che è giusto…. per me e per i miei.”