04 marzo 2010

LIBIA la strada nel deserto




Aprile 2006, durante i disordini a Bengasi, in Cirenaica. Un viaggio in solitario, un itinerario affascinante, un nastro d’asfalto che taglia come una lama una delle parti più belle del Sahara, per raggiungere le 2 città più lontane nel deserto libico, includendo escursioni fuoristradistiche con guide e jeep del posto. Come assaporare il gusto del deserto.
ITINERARIO- Gadhames, Derj, Garhiat, Hun, Sabha, Ubari, Al Awaynat, Ghat.
LUNGHEZZA- 2.000km circa

FONDO STRADALE- è asfaltato e, tutto sommato, forse un po’ ottimisticamente, in buono stato ed è già tanto. Il tratto peggiore è probabilmente quello tra Hun e Sabha, ma anche quello prima di arrivare ad Al Awajnat non scherza, con numerose crepe che lo rendono più simile ad un toule ondulè.
PERIODO CONSIGLIATO- niente estate, calcolate che già ad aprile le temperature nell’Akakus possono superare i 50°!!! In inverno le giornate sono chiare e limpide ma molto più corte e le notti possono essere assai fredde.




Già lasciando Nalut ci si accorge che ci si sta spingendo verso l’ignoto. Anche la strada riduce la carreggiata quasi timorosa di invadere spazi a lei non concessi. Lo spettacolo è affascinante. Darwin, parlando del deserto, definiva le sue”qualità negative”, irresistibili. Perché? La sua risposta era che simili terre lasciano libero sfogo all’immaginazione. Come contraddirlo? L’importante sono le sensazioni: rallentare spesso, guardarsi intorno, immergersi completamente in questo niente assoluto. Come trasformare il monotono in qualcosa di suggestivo, quasi ipnotico. Andando il paesaggio è in trasformazione, le aride colline cedono il passo all’immensità sconfinata del deserto: il Sahara! Dopo Derj si piega decisamente ad ovest e dopo un centinaio di km ecco apparire nel nulla l’oasi di Gadhames, “la perla” come viene spesso definita. Giungerci al tramonto con le luci che si allungano nel deserto già vale il viaggio che di fatto non è ancora iniziato. Città millenaria, punto di transito presso che ininterrotto per carovane provenienti da ogni parte del continente africano. Giustamente dichiarata patrimonio dell’umanità è sicuramente la città antica più grande e meglio conservata del paese, una tappa obbligatoria a cui è impossibile rinunciare. La parte antica e praticamente disabitata, nonostante nel 1984 vi vivessero quasi 7000 persone, tutte trasferite nel giro di 4 anni in alloggi più moderni. Camminare nel dedalo di viuzze, un labirinto di strade coperte che fanno affidamento sulla luce naturale, per mezzo di lucernai, suggestivi, spesso equidistanti tra loro ed alti persino 10 metri, non può che lasciare esterrefatti. Di solito il pacchetto turistico include la visita ad un lago salato, un castello e, conclusione della giornata tramonto dall’alto di una delle dune che si affacciano verso il vicinissimo confine algerino, ma non stupitevi troppo, visto quello che vi attenderà a sud. 

Il giorno dopo sarà strada, tanta strada, la meta è Hun, circa 800km, nel mezzo, il solito, fantastico niente, qualche distributore di benzina, pochi in verità. Nel tratto più desolato quello da Darj a Ghariat, circa 300km incrocerò un convoglio di 4 camion (ebbene sì in queste zone non si viaggia mai da soli!!!), un pulmino di turisti fermo per problemi meccanici ed un paio di macchine. In compenso me la caverò con 7 dinari di benzina, circa €4!!!! Arrivo al posto di blocco prima di Hun e dalla guardiola alcuni militari in borghese a cenni mi invitano ad avvicinarmi. Entro e mi offrono dell’acqua. Prendo la bottiglia e la riempiamo. Uno dei ragazzi compare con un pacco pieno di datteri, saranno almeno 3kg, me li offre. Ne arriva un altro con delle lattine di gassosa, offerte anche queste. Mi chiedono se ho bisogno di benzina, ma rispondo che con questa moto non ho problemi di autonomia. Mi domandano quanti litri contenga il serbatoio: “24” rispondo, naturalmente a gesti. Sono allibiti, non credono che possa percorrere 400km e più senza fare rifornimento. Hun, volutamente inserita nell’itinerario, merita 2 righe a parte. 6 anni fa vi ero arrivato cercando una persona ed avevo conosciuto 2 amici. Abubaker ed Abdul Fatah, conosciuti poche ore prima, mi avevano ospitato nella casa del primo, dato che, come al solito, ero senza soldi e senza la possibilità di poter cambiare in nero. Ricordo ancora adesso quando i 2 confabulando in arabo, mi avevano poi comunicato:” ok, secondo noi c’è solo una possibilità per te: resti a dormire a casa di Abubaker, stasera sei nostro ospite a cena, e domani cambi il denaro a Misurata”. Ho con me le foto delle loro bambine, scattate nel 1999, che avevo provato ad inviargli appena rientrato in Italia ma che non hanno mai ricevuto. Rintraccio facilmente Abubaker, è al suo negozio ed insieme andiamo da Abdul Fatah. Trascorreremo tutto il pomeriggio insieme, visitando questa sonnolenta cittadina del deserto libico. 
“stavolta ho più soldi dell’altra volta”. Ma non c’è niente da fare, dormirò nella stessa stanza, nello stesso angolo e mangiando alla maniera araba insieme ai 2 miei amici.


L’indomani, il tratto per arrivare a Sabha, seguendo la strada più meridionale è anche quello peggiore per quanto riguarda la qualità dell’asfalto, una specie di crosta piena di crepe che non lascia scampo ad ammortizzatori e schiene. Traffico? Quasi inesistente!
Arriverò nel tardo pomeriggio e la sera conoscerò in un caffè Alì. Parla inglese e, durante la discussione chiedo della Cirenaica e dei problemi di Bengasi. Mi conferma come avevo notizie, che quella è sicuramente la zona di tutto il paese dove Gheddafi ha meno consensi popolari e ritiene che gli scontri, sfociati in una carneficina con 15 morti e decine di feriti, siano stati generati da un malcontento radicato e diffuso verso l’establishment governativo più che verso consolati e rappresentanze straniere, in questo caso la nostra, fra l’altro l’unica presente in quella città. Parliamo anche dell’idiota con la maglietta, ormai ex ministro, ma probabilmente sono risentito nei confronti di tanta stupidità più del mio interlocutore. Secondo Alì un altro grave problema del suo paese è la diffusa povertà di alcune aree, specialmente nel sud, anche se ritiene che il governo stia cambiando strategia, interessandosi maggiormente a queste zone depresse. 
Sabha è comunque un importante centro turistico, che non ha particolari punti di interesse ma una discreta vivacità. Da qui si parte per tutte le escursioni alle maggiori attrattive della zona: le dune di Ubari, il deserto dell’Akakus e quello del Murzuq.
Ma si può fare diversamente ed andare per strada, partendo direttamente da Ghat o da Al Awynat per l’Akakus e dalla zona di Ubari per i suoi laghi. In una sola parola? Fantastici! La prima è un’escursione che dura tra i 2 ed i 4 giorni,la seconda può essere affrontata in giornata. Ma di cosa parliamo esattamente? 
Perché tanta fatica, tanto calore e conseguente sudore per arrivare in un posto dove anche d’inverno ci sono temperature che sfiorano i 30°?
Queste sono
probabilmente le maggiori attrattive del Sahara libico e presentano alcuni dei paesaggi desertici più spettacolari del mondo. Il mare di sabbia di Ubari si estende per migliaia di km quadrati e nasconde tra le sue gigantesche dune di sabbia rossa una serie di laghetti che hanno qualcosa di fiabesco e fantastico, orlati da decine di palme.
Il Jebel Akakus è forse ancora più affascinante ed inquietante. Immaginate una catena montuosa di roccia vulcanica, nera e sotto un mare di sabbia arancione, a volte rossa, a seconda delle condizioni di luce e del periodo dell’anno che lo si visita. Un contrasto cromatico da lasciare allibiti!
A questo va aggiunto che molte delle formazioni rocciose sono abbellite da incisioni e dipinti rupestri, alcune splendidamente conservate e risalenti fino a 12.000 anni fa. C’è poco da fare, bisogna andarci almeno una volta. E così ancora strada. La temperatura ed i colori avvertono che si sta per entrare in una zona climatica diversa. Anche la temperatura, fino ad ora tutto sommato piacevole ha un’improvvisa impennata, superando i 30°. In aprile 7 anni fa nell’Akakus trovammo 55° all’ombra!!! Sono con un mese di anticipo, per fortuna. Ad Ubari le ultime case, un distributore di benzina e qualche negozio di generi alimentari prima di altri 280km di pace assoluta: traffico inesistente, vento, sabbia. Arrivo ad Al Awaynat e sono ai confini del mondo, anche gli stanchi abitanti che si riparano dal sole e dal vento nelle zone in ombra delle loro case osservano questo uomo nero chiedendosi dove vada. Ghat, vado a Ghat, la porta d’ingresso dell’Akakus! E le montagne nere cominciano ad apparire dopo circa 60km, sulla sx, alte, imponenti, mi scortano nelle ultime decine di km fino all’ingresso di questa piccola, vivace cittadina di circa 16.000 abitanti.
Questo è praticamente uno dei pochi insediamenti tuareg permanenti nel Sahara con una ben conservata Medina dominata da un castello iniziato dai turchi ma terminato solo con l’arrivo degli italiani che lo trasformarono in una caserma. Mi sistemo in una specie di ostello senza insegne, dove sono l’unico turista tra lavoratori che provengono da paesi confinanti, in cerca di condizioni sociali migliori o semplicemente sostando temporaneamente in attesa di spingersi più a nord. Tutti parlano francese al contrario mio, ma i sorrisi e la cordialità la fanno da padrone anche in mezza a tanta incomprensione linguistica. La sera sono seduto in uno dei 2 ristorantini sulla via principale dove un corpulento cuoco disossa polli e cuoce kebab con perizia certosina proprio in mezzo alla strada.
Montone, insalata ed un po’ di riso, oltre all’immancabile acqua.
Ascolto suoni, rumori, risate, discorsi che non capisco.
Sono alla fine del viaggio. No, da qui non si può che cominciare.

Ghadames
“Il gioiello del Sahara” come viene spesso definita, si ritiene esista da almeno 3000 anni ma della sua storia prima dell’occupazione romana avvenuta nel 19 a.C. si sa ben poco. Ai roamni succedettero i bizantini, ma la svolta avvenne nel VII secolo, quando la città passò sotto il controllo dei mussulmani, convertendo la maggior parte della popolazione berbera all’islam. E’ interessante notare come, nonostante fosse uno die principali centri commerciali del Sahara, Ghadames producesse un solo articolo degno di nota e nemmeno particolarmente redditizio: le pantofole ricamate. La città divenne tuttavia un importante porto franco per le merci provenienti da tutta l’Africa e, fatto per una città con pochi prodotti locali, ebbe le proprie carovane di mercanti. La portata dell’attività commerciale di Gadhames ed il volume delle merci che transitavano erano tali che, quando una carovana arrivava in un villaggio al di là del Sahara, tutti davano per scontato che provenisse da Gadhames. La città si distingueva anche per il fatto che i suoi più ricchi mercanti raramente viaggiavano di persona, ma preferivano affidarsi ad una rete di agenti estesa in tutta l’Africa, i quali controllavano il carico ed effettuavano le transazioni al posto dei reali proprietari, veri imprenditori del deserto. Il raggio d’azione degli agenti era impressionante estendendosi dalla Mauritania all’Egitto, dal lago Ciad al Mediterraneo, e tuttora si possono rintracciare loro discendenti in tutta l’Africa. Un dato interessante è che oggi i conducenti di carri merci sono quasi tutti originari di Gadhames. 
Fra i prodotti che nell’antichità passavano per Gadhames, prima di raggiungere la costa dalle regioni centrali dell’Africa c’erano pietre preziose, argento, oro, avorio, cavalli della Tripolitania, datteri e piume di struzzo. Gran parte della merce era destinata ai suq delle città costiere del nord Africa, mentre gli articoli più preziosi venivano imbracati per l’Europa e la Palestina. Nella direzione opposta transitavano testi religiosi, perle e lino provenienti rispettivamente da Venezia, Parigi e Marsiglia.



Le dune
Le dune costituiscono uno dei grandi misteri del Sahara. Nel deserto le particelle di sabbia sono relativamente pesanti, quindi anche i venti più impetuosi raramente riescono a sollevarle ad un’altezza superiore ad un metro e mezzo. E’ sufficiente una leggera protuberanza nel terreno per determinare un fenomeno chiamato in inglese “cresting”, ossia l’accumulo della sabbia. Il versante della duna rivolto in favore di vento è di solito più compatto e meno ripido di quello posto dall’altra parte del crinale. Sospinte costantemente dai venti, le dune avanzano poco per volta, singolarmente od a piccoli gruppi. I mari di sabbia sono relativamente stabili perché si sono formati nel corso dei millenni in seguito alla frantumazione della roccia, ridotta a piccole particelle di quarzo e di sabbia. Le dune si creano nei luoghi che presentano formazioni geologiche favorevoli (spesso anche molto piccole) e venti che soffiano in direzione costante. Nel corso del tempo la base si fa sempre più compatta ed esse diventano un elemento permanente del paesaggio. Le dune più comuni sono quelle a barcana o a mezzaluna (il nome si riferisce alla forma del crinale), le seif (termine arabo che significa spada), che hanno il crinale molto ampio e lungo, e le akhlè, una rete di dune disposte senza una schema riconoscibile. Tanto nell’Idehan Ubari, quanto nell’Idehan Murzuq si trovano splendide combinazioni di tipo diverso.















MESSICO conquistador y conquistado



CONQUISTADOR Y CONQUISTADO
Il Messico è spesso sottovalutato: tutti conoscono la sua sterminata capitale, ricca di musei ed attrazioni, molti sanno dello Yucatan e dei suoi tesori archeologici, qualche spiaggia più famosa come Acapulco, Cancun, la onnipresente Puerto Escondido, ma poi? Città coloniali splendide, vere perle di una collana che riserva sorprese già ad una prima indagine leggermente più accurata: bellezze naturali incredibili, una per tutte la Barranca del Cobre, ben 4 volte più vasta del Grand Canyon, accessibile per ferrovia, per strada, persino con una splendida strada sterrata che scende vertiginosamente verso il suo fondo, per giungere nella magica Batopilas. Luoghi mistici come Real de Catorce, deserti, spiagge tropicali, vulcani altissimi, spenti o ancora in attività. Quando gli fu chiesto di descrivere il Messico, Herman Cortès, si limitò ad accartocciare un foglio di carta e posarlo sul tavolo: una topografia irregolare, folle, uno scherzo della natura che ha dato origine a incredibili varietà di luoghi, popolazioni e culture, oggi ormai accessibili a tutti. E questa è un’altra sorpresa che può meravigliare il motociclista viaggiatore: l’incredibile geografia, permette di creare un filo viario spesso panoramicissimo, di questo gioiello chiamato Messico. Come partire alla conquista viaria di un paese e rimanere conquistati da tante bellezze. Pronti? Si parte.


ITINERARIO- Veracruz, Campeche, Puebla, Città del Messico, Tapotzotlan, Tula, Timanzuchale, Xilitla, Landa de Matamoros, El Bernal, San Miguel de Allende, Guanajuato, Zacatecas, Real de Catorce, La Pesca, Monclova, 4 Cienegas, Parral, Altar, Ricardo Flores Magon, El Rosario, Cabo San Lucas, Pichilingue, Creel, Batopilas, Hidalgo de Parral, Durango, Espinazo del Diablo, Mazatlan, San Blas, San Patricio Melaque, Cuyatlan, Playa Azul, Patzcuaro, Città del Messico, Veracruz.
LUNGHEZZA- km 15.820


Veracruz, ho fra le mani il biglietto aereo con la data di ritorno fra più di 2 mesi e sono pervaso da un’inebriante euforia che ben conosco. 60 giorni per conoscere e guidare in un territorio 6 volte quello italiano spingendomi fino ai confini con gli Stati Uniti. Una rapida sosta nella sterminata Città del Messico, per mettere a punto il mezzo e sono pronto: io, la moto, città coloniali da visitare, deserti da attraversare, canyon da esplorare e migliaia di km all’orizzonte. Tapotzotlan, appena ai margini di Città Del Messico, poche decine di km, appena 40, per entrare in un altro mondo. Una chiesa, con una facciata splendida, un convento, vie acciottolate, atmosfera rilassata. Parto alle 9.30 dalla capitale e, come al solito mi perdo per quasi 300km, tra strade di montagna piene di buche ma poco trafficate. Nel primo pomeriggio arrivo in questo pueblo dal nome quasi impronunciabile e, ancor prima del rapido giro di perlustrazione, decido di fermarmi. Il  Zocalo è davvero bellissimo a più piani dominato dalla chiesa di San Javier. Pomeriggio dedicato al passeggio. La sera cena nella piazza alquanto animata. Accompagno beatamente la bistecca ranchera con una bottiglia di Rioja. Nel primo livello della piazza, un’esibizione di skateborder e ragazzi che si destreggiano con le loro bmx, nel secondo, un gruppo piuttosto eterogeneo di persone che a ritmo di tamburo ballano una danza indigena. Il ritmo è oltremodo coinvolgente. La piazza è illuminata, la luna è alta nel cielo stellato, e 27 persone, ho tutto il tempo di contarle, concedono uno spettacolo che mi fa capire, che al primo colpo sono già entrato nel ritmo viaggio. Rimarrò fino alla fine, sullo sfondo le luci della capitale, con il tamburo che continua a dare il ritmo ai ballerini.


Il giorno dopo la cartina mi indica il percorso da seguire, con semplicità: 2 strade, la Mexico 85 e la 120, nient’altro. Un percorso  che non  può che essere definito assolutamente motociclistico. Migliaia di curve, paesaggi bellissimi e vari, un altitudine media che si aggira quasi sempre tra i 1500 ed i 2000m, con punte superiori ai 2500. La prima è sicuramente quella che concede meno respiro, per quasi 240km. Arriverò ormai a sera a Timanzuchale, sulle rive del rio Monteczuma. La mattina dopo con un sole radioso, affronto la Sierra Gorda. Questa zona, oltre che per le foreste fossili, risalenti a ben 12 milioni di anni fa, è famosa per le sue missioni, risalenti alla metà del XVIII secolo. Completamente restaurate, siti protetti dall’UNESCU, presentano interessanti facciate ornate da figure simboliche. Landa de Matamoros, ospita probabilmente la più bella ed è qui che conosco Enrique Lòpez. Professore, avvocato, ormai ritirato, giornalista a tempo perso mi osserva dalla porta del suo ufficio mentre cerco tra luci accecanti e cromatismi architettonici, di rendere fotografabile la chiesa. Ritornando alla moto ci salutiamo e mi chiede se la missione mi è piaciuta, aggiungendo che secondo lui quella di Tilaco è ugualmente interessante.


“devi sapere che nella metà del XVIII sec. gli spagnoli per estendere il loro domini a nord e cercare nuovi giacimenti di argento di fronte all’ostilità de alcune delle popolazioni locali, iniziarono una politica di evangelizzazione, che portò nella zona, prima gli agostiniani, poi i gesuiti e per concludere i francescani. I primi 2 ordini fallirono miseramente anche perché il loro intento principale era puramente economico e non pastorale. A ciò va aggiunto che delle 2 etnie presenti, quella dei Jonages (pronunciata Chonaghes) e dei Pames, la prima era oltremodo ostile, feroce e violenta. Con l’arrivo dei francescani però, al loro seguito giunse il colonnello Josè de Escandòn y Helguera, che affrontò il problema in maniera radicale: estinguere completamente i Jonages. E così fece! Una barbarità tra le tante barbarità perpetrate dagli spagnoli in America latina.” 
Continua informandomi che le foreste fossili che ho incontrato lungo la strada nascondono nel sottosuolo a più di 1000m di profondità immense quantità di petrolio sulle quali le grandi compagnie hanno già stabilito dei diritti di riserva e sfruttamento.
“prima gli spagnoli, poi i gringos!!!” me ne esco.
“ Pobre Mexico, tan lejo de Dios y tan in cerca de los Estados Unidos…..” replica lui.
Un detto che ho già sentito altre volte nel corso del viaggio e nelle mie esperienze precedenti e che significa: povero Messico, tanto lontano da Dio quanto vicino agli Stati Uniti.
La frase fu coniata da Porfirio Diaz che governò il paese da 1876 al 1911.




Riparto e la strada mi concede un po’ di riposo, finalmente qualche rettilineo, ma solo fino a Jalpan, piacevole paese che ospita un altro convento. Da qui il percorso inizia a salire nuovamente con una serie impressionante di curve sopraelevate e tornanti. Arriverò ad El Bernal dominato da la Pena, terzo monolite al mondo in ordine di grandezza completamente appagato. Capisco che questo è il posto  dove trascorrere la notte e qui farò una delle esperienze culinarie più interessanti di tutto il viaggio: per la prima volta a cena prenderò persino il dolce accompagnato da 3 tequila che vanno a fare compagnia al litrozzo di vino che mi sono scolato durante il pasto. Uscirò contento, quasi felice, percependo tutto l’alone magico che tanto viene decantato su questo luogo e che ne sta facendo la sua fortuna.



Il giorno dopo proseguo verso ovest sulla QUO (sta per Queretaro) 100 fino al bivio per Colon, dovrei ignorare il bivio, ma sono solo e faccio come mi pare, quindi prendo a dx. Dal paese inizia una splendida strada empiedrada, un acciottolato di più di 40 km che in completa solitudine, fra cactus, piccoli ranchos, pueblos di poche case abitate da persone preoccupate soprattutto che non mi perda, mi spingerà quasi a fine tappa, S. Miguel de Allende, dove trascorrerò 2 giorni, fra magnifiche luci, architetture coloniali, vicoli acciottolati e, permettetemi la divagazione, splendide ragazze. Le messicane sono bellissime, lasciatemelo dire e qui ne ho un’ulteriore conferma. Forse un po’ troppi turisti, in particolare gringos che vengono a svernare tra le magnifiche atmosfere che questa cittadina regala. Ma allontanandosi dalla piazza principale, non a caso denominata El Jardin, il fascino nascosto di questa gemma messicana cattura l’osservatore più curioso. Ma il viaggio continua.



Guanajuato. “vai a Guanajuato”. Tutti, conoscenti ed amici mi avevano consigliato di visitare questa cittadina che per più di 250 anni ha prodotto il 20% del totale mondiale dell’estrazione dell’argento. Ma la meraviglia non ha limiti!!! Favolosa. Vicoli stretti che serpeggiano tra colline  e che scompaiono in una serie di tunnel in pietra sotto la città stessa. Un labirinto, no, il labirinto, il Minotauro qui avrebbe dimorato felice. Una topografia architettonica folle e meravigliosa, tracciata e studiata nel 1559, rimasta praticamente intatta fino ad oggi!! Complicata, aggrovigliata, naturalmente arrivo e mi perdo tra vicoli e gallerie, un’enorme gruviera che scorre sotterranea all’insaputa della città. La superficie scompare e riappare per svelare chiese, piazze, giardini ma soprattutto colori, la tavolozza di un pittore impazzito. Alla fine mi oriento, trovo sistemazione, lascio la moto e comincio a muovermi a piedi. E’ lunedì, giorno di chiusura dei musei, ma poco importa. Uno spettacolo. Un fitto reticolo di callejones, come li chiamano qui, ripidi, angusti, che mi conduce al monumento di El Pìpila, eroe cittadino, un fantastico mirador da cui è possibile ammirare una magnifica vista sulla città. Luci, colori, una vista fantastica, ci sono tutti i presupposti per distruggere in una serie infinita di scatti la reflex, che pare resistere allo stress, consapevole del fatto che ho con me un altro corpo pronto per le emergenze!!!!
L’essere sede inoltre di diverse università, con circa 20.000 studenti, le dona un’atmosfera vivace e sbarazzina. Difficile orientarsi, forse, ma ancora più difficile ripartire.
Zacatecas, si raggiunge attraversando un altipiano desertico di rocce e nopal, che noi conosciamo come cactus, ed è l’ultima città dell’argento, la più settentrionale, la meno battuta dai circuiti turistici, la meno conosciuta, ma una volta arrivati, è facile capire come una storia di 500 anni basata sull’estrazione di metalli preziosi possa rendere piacevole ed attraente un luogo inospitale. Situata a oltre 2400m d’altitudine, vanta una delle cattedrali più imponenti di tutto il Messico ed emana un fascino da vecchio mondo, con le sue vie affollate e coloratissime. Tante le cose da vedere e da fare: 11 musei, giardini, chiese bellissime, la funicolare che conduce al Cerro La Bufa, splendido mirador da dove tre imponenti statue equestri dei generali rivoluzionari Pancrazio Angeles, il famoso Pancho Villa e Panfilo Natera dominano la città, ma assolutamente da non perdere la visita alle miniera, scoperta nel 1584, sfruttata fino a quando la crescita della città per ragioni di sicurezza ne ha imposto la chiusura. E’ attualmente gestita da una cooperativa privata, che organizza le visite guidate.

Fu chiamata El Eden, perché per i proprietari rappresentò il paradiso in terra. E ci credo! Ai tempi della colonizzazione messicana, producevano il 20% dell’argento della Nuova Espana. Ancora oggi il filone non è esaurito, ma nella zona ci sono altre miniere che garantiscono ricchezza e benessere alla città.
La visita è educativa perché mostra le condizioni disumane nella quali lavoravano i minatori: 7 livelli, dove si scendeva a più di 400m di profondità semplicemente con l’ausilio di corde. I primi tunnel con montacarichi furono operativi solo nel 1905!!! La risalita avveniva per mezzo di pali che venivano utilizzati a mo di scale e che venivano percorse con un carico di 55-60kg di materiale, il tutto per 12-14 ore al giorno: si iniziava a lavorare a 16, 17 anni fino a che la silicosi o la tubercolosi non minavano lo stato di salute degli operai, che comunque non arrivavano mai a superare i 35 anni di età. I bambini prima di raggiungere l’età lavorativa a 11-12 anni si occupavano di portare all’esterno l’acqua che drenava dalle pareti nei livelli più bassi per mezzi di secchi che pesavano anche 15-20kg. Gli incidenti, pressoché quotidiani causavano la morte di almeno 5 persone al giorno!!! L’ingresso ed il lavoro alle donne era precluso, poi che era credenza messicana che la miniera si ponesse gelosa provocando sventure ed incidenti ai lavoratori.
Le miniere producevano circa 250g di argento ed 1g d’oro per ogni tonnellata di materiale estratto e sono state sfruttate dal momento della sua apertura, nel 1584 come detto, fino al 1950. Fernando la guida che ci accompagna nel giro ci spiega che ora le altre miniere che vengono tutt’ora sfruttate, producono più di un kg per tonnellata con una stima di almeno altri 40anni. L’economia della zona parrebbe salva!!!
A Zacatecas si arriva tra cactus e tra distese di cactus la si abbandona. La meta è Real de Catorce, famosa anche perché Gabriele Salvatores vi girò alcune scene del suo Puerto Escondido. Ma la sorpresa non ha limiti!!






Real, de turismo, de conoscenza, de rilassatezza, de abbandono, non che de 14, merita tutte le attenzioni possibili e richiede qualche adattamento e sacrificio. Dove sono arrivato!! Atmosfera magica in un ambiente straordinario. Obiettivamente, e non so se mi sto facendo influenzare, tutto è fantastico ma allo stesso tempo un po’ da comprendere. E la strada….la guida dice che è la empiedrada più lunga del mondo. Non credo sia vero, ma sicuramente una delle più spettacolari. Fantastica? no! Spettacolare? No! Incredibile? No! Il tempo di trovare l’aggettivo più adatto ed i 24km si infrangono contro il tunnel Ogarrio, 20 pesos di pedaggio, 2.279m con la possibilità di poter scattare foto nonostante il traffico alternato. 2.279m per entrare nel mondo di Real de Catorce, 2644m d’altitudine: pietra, chiese, vicoli lastricati scoscesi, ma qui siamo, qui ci fermiamo e qui una volta tanto comincio per sino a riflettere. Continuando, anche il tentativo a La Pesca sempre sull’Atlantico, mi conferma che per fare un po’ di mare bisogna cambiare oceano. Arrivo con un vento piuttosto sostenuto ma trovo una simpatica sistemazione lungo il fiume. La sera sarà cena di pesce, buono, fresco, ben cucinato, a buon mercato ed in compagnia di Juan figlio del proprietario che mi informa che la zona è sotto le mire di un  progetto di una cordata spagnola a fini turistici. Sembra entusiasta ma, gli spiego che ho visto realtà come Cancun, o Huatulco e non  c’è da essere tanto ansiosi di vedere simili cambiamenti. La cosa lo rende più riflessivo e sicuramente meno entusiasta. La mattina mi sveglio e dopo un abbondante colazione con frittata di gamberi, eh sì decisamente il pesce era freschissimo, mi metto per strada. Giornata ventosissima, mi allontano dal mare, salendo in montagna, percorrendo deserti. L’idea di giungere a quella che avevo ipotizzato come un fine tappa possibile si rivela una pura chimera. Arrivo  a Saltillo, ma avendo ancora un paio di ore di luce decido di continuare, fermandomi nel primo posto possibile. La strada, che attraversa la Sierra Madre Oriental,  è bellissima: un altopiano desertico chiuso tra montagne marrone scuro. Il tramonto spinge la mia ombra sempre più lontano, esattamente come il mio ipotetico punto di arrivo: infatti i due villaggi riportati sulla cartina sono praticamente di 2 case ciascuno, quindi arrivo a buio inoltrato a Monclova. Changarro da 2.5€, buono e motel a ore vicino una discoteca, un furto con condizioni igieniche da paesi africani, ma non ho voglia di perdere tempo in ricerche, sacco lenzuolo, tappi e via fino alle 7 di mattina!!!
Il giorno dopo naturalmente, proseguo di buon ora, ancora piccoli pueblos, qualche ranchos, poi arrivo a Las Flores. Mi scatto una foto con i soliti bei colori delle architetture locali. Annuso qualcosa, sensazioni, non so e comincio a dare un giro tra le case basse. Niente, mi sono sbagliato, capita. Riparto ma all’uscita del paese, un gruppo di 3-4 cavalieri richiama la mia attenzione.


“puedo sacar fotos?”
“claro que si”
Vengo così a sapere che di lì ad un paio d’ore sta per partire un’escursione a cavallo sulla sierra che prevede la partecipazione di diverse centinaia di persone. Non posso perdermela! Comincia l’attesa.
In una mezz’ora sono già l’italiano che “saca fotos”.
Henrique, che fa tutto con un mano, essendo l’altra perennemente impegnata a reggere una bottiglia di cerveza, mi domanda se sono per uso personale o cosa.
“por uso personal, claro!” bleffo, ma la cosa non sembra interessargli più di tanto. Sarò praticamente costretto a scattare foto e mostrarle  a decine di persone con Henrique che sapientemente dosa i miei impegni a secondo delle attrattive più interessanti. Sto assistendo praticamente ad un raduno di ganadorers, allevatori, che si svolge una volta all’anno ed al quale partecipano diverse centinaia di cavalieri, donne, uomini, bambini, ragazze e perfino bambini, ce ne erano alcuni di 5 anni.
“hola”, Henrique mi chiama, va spiegando a tutti che mi chiamo Geovani, ma è come Juan in spagnolo, mi indica che un suo amico Manuel, fa un numero assai difficile: montando un cavallo, riesce a sdraiarlo e farlo restare immobile a comando. Manuel mi spiegherà poi che ci vogliono una decina di giorni di addestramento. Obbiettivamente la sequenza fotografica è abbastanza interessante. E’ tempo di partire un po’ per tutti, saluto ringraziando e promettendo di inviare le foto alla municipalidad. Mi sa che non hanno bevuto la storia dell’hobby e dell’uso personale!!! A proposito di bere, Henrique ha cambiato bottiglia, ne ha ora una di un litro e mezzo!
“guidado con la cerveza!!”
“tranquillo, es por el recorrido”
A Cuatro Cienegas un’altra sorpresa, stavolta attesa. La zona, in pieno deserto a più di 750m d’altitudine è costellata di pozas di acqua sulfurea alimentate da sorgenti naturali. Lo shock cromatico è allucinante: acque limpidissime, a volte di colore azzurro, in pieno deserto!!!



Ce ne sono più di 300 sparse nella zona, con una temperatura costante tra i 28 ed i 31°, alcune attrezzate per la balneazione. 
Pomeriggio inoltrato, sono a 300km di niente da Parras dove vorrei pernottare, in una zona famosa per la produzione di vino, con le cantine più antiche del paese.
Arriverò a destinazione e la sera raccomandato dalla simpatica proprietaria dell’hotel trovo il ristorante la Casona, in pieno centro, calle Madera, nessuna indicazione o insegna, insomma devo chiedere ad uno dei camerieri che è all’ingresso, come un viandante qualsiasi. All’interno il classico patio di stile coloniale. Un cortile, vino locale, di questa bodega San Lorenzo, datata 1597, mai sentito qualcosa del genere, una griglia, una bilancia in bella vista per la pesa del corte, il taglio della carne.
Il giovane mi raccomanda la Cabreria, chiedo papas fritas. Saranno 600g di carne da sbandamento, cipolle gratinate e udite, udite, patate tagliate al coltello!!! Per terminare in bellezza, 2 tequilas Centenario!! Esco bello chiarito ma pienamente soddisfatto!
E la sera dopo, modificando ancora il programma, sarò ancora lì, seduto alla stessa sedia, con lo stesso appetito, camerieri diversi, ma l’asadero è lì, in agguato con i suoi cortes di carne. E carne sarà.



“benvenuti nello stato di Chihuaua, il più grande del Messico” annuncia un cartello. Ed obiettivamente gli spazi sembrano dargli ragione. Ore di guida, qualche scatto, rifornimenti di benzina, poco più. Costantemente a 1500m d’altitudine, il navigatore puntato sistematicamente verso nord ovest, alla fine immancabilmente la geografia prende il sopravvento ed il confine statunitense ricorda che l’itinerario deve focalizzarsi su un altro punto cardinale. Iniziano le città di confine, luoghi polverosi, freddissimi d’inverno, invivibili d’estate. Qui Chihuaua, lascia il testimone a Sonora “il secondo Stato del paese” come immancabilmente tengono a farmi notare altri cartelli e qui, dopo alcune ore di freddo intenso, spazzato da un vento di latitudine assai più estreme arrivo ad Altar, 15.000 anime. Sono stanco, infreddolito, è buio, decido di fermarmi, un posto vale l’altro. Il Messico delle speranze, dell’illegalità, della paura, un altro Messico, facce impaurite, sguardi sfuggenti, ma quanti sono!!! Sono in uno dei punti nevralgici dell’immigrazione clandestina del paese. Comincio a girare per trovare un posto per dormire. Tariffa standard, 350 pesos e tutto pieno. Al terzo tentativo una signora mi spiega che la tariffa è auto imposta da tutti gli albergatori per darsi pari opportunità (!!!). Vicino la Plaza de Armas, trovo altri 2 motel, uno ha posto, sono stracolmi di gente, clienti, disperati, non so come chiamarli. Ci sono sbarre dappertutto, delle prigioni, dove però per entrare devi pagare!!! Penso a quante storie potrei sentire ma queste sbarre non mi vanno proprio giù! Mi ricorda Gat in Libia, ma lì l’atmosfera era completamente diversa. Continuo la ricerca, alla fine in una via polverosa leggo un’insegna, vedo una piccola struttura arancione e mi infilo. Qui per lo meno non ci sono recinzioni o sbarre. Tomas mi chiede i soliti 350 pesos. Inizia una trattativa, ma ci prendiamo subito in simpatia e la cosa diventa esilarante. Alla fine 275 pesos: la maggior parte dei “ clienti” sono immigrati clandestini che arrivano dal centro America, senza nessun permesso ed in attesa che qualcuno li prelevi dalle strutture per portarli oltre frontiera. Da qui dove stiamo parlando, Sasaba, al confine, un piccolo pueblo che ha il suo omonimo oltre frontiera, dista 98km. Una garitta, poco più ed uno dei punti meno transitati tra i 2 paesi, ma anche uno dei più difficili da controllare. Montagne impervie, centinaia di km di sentieri e da qui le colonne di disperati tentano la sorte! 3-4 giorni di cammino, 1.500-2.000$ a testa per realizzare un sogno che il 95% delle volte si rivela uno dei peggiori incubi per questa massa di disperati.
L’economia di Altar si poggia sul traffico dei clandestini, Tomas stesso riconosce che la sua attività si è consolidata grazie ai soldi degli immigrati. Nel frattempo arrivano la moglie con la figlia di Tomàs e la cugina Luz, Luce, di nome e di fatto!! E’ stata in Italia a novembre ed ha deciso di iscriversi ad un corso di italiano perché ha intenzione di tornare. Vorrei invitarla a cena ma l’incombente presenza del cugino mi induce a desistere da tale proposito. Quando tornerò troverò oltre a Tomàs, anche il biglietto da visita di Luz.
Passiamo ai numeri: si stima che siano circa 16 milioni i messicani residenti negli Stati Uniti, dove in media lo stipendio medio è 6 volte più alto di quello messicano. Ogni messicano che vive oltre confine manda a casa in media 1.000$ ogni anno, queste rimesse costituiscono la seconda fonte di valuta straniera del paese dopo quella derivante dal petrolio, stiamo parlando di qualcosa come circa 20 miliardi di dollari. Ogni anno circa 400.000 messicani si trasferiscono al nord, molti come clandestini pagando per passare il confine con l’aiuto dei cosiddetti “coyotes”. Ogni anno oltre un milione di persone vengono arrestate mentre cercano di varcare illegalmente il confine, centinaia muoiono annegate, di sete o travolte dalle automobili. Le più recenti stime parlano di un 35% di messicani, quindi più di uno su tre, che vive illegalmente negli USA.



Arrivo a Ricardo Flores Magon con ormai il sole che sta schiacciando l’orizzonte con l’intensità dei suoi colori. E’ poco più di una intersezione fra 3 strade, qualche casa, molti changarros, 2 ristoranti ed un motel. Comincio da qui, e la signora mi fa subito lo sconto. Approfitto delle ultime straordinarie luci per scattare le foto di fine giornata. Bene ed ora si mangia. Opto per un changarro.
“tiene comida?”
“solo burritos”
Picadillo e subito a seguire chile relleno.
“cerveza?”
“aja” la ragazza mi indica la porta di fianco al locale, naturalmente tutto gestito dalla stessa famiglia. Mi serve Adriana che, alla seconda birra mi chiede da dove vengo e soprattutto che faccio lì così conciato. Le spiego dell’Italia, di Panama e che sto andando verso Tijuana. Il suo stupore di splendida 17enne la porta a propagare la notizia a familiari, avventori, camionisti, persino alla nonna, che mi osserva con la meravigliata indifferenza che solo chi ha molta esperienza alle spalle sa rivolgere ai folli.



El Rosario, ultimo rifornimento prima di 340km di deserto, non che Riserva della Biosfera del Vizcano. La catena è arrivata, 3 regolazioni negli ultimi 3 giorni, più l’acqua, il nevischio ed il fango di ieri che mi ha accompagnato per tutto il giorno, mi lasciano poche speranze che regolando l’ultimo tratto disponibile, possa permettermi di arrivare a Cabo San Lucas, dove spero di poter fare manutenzione al mezzo ormai provato dopo quasi 12.000km. Si va così, al limite inserendola nella sede ogni volta che salta!! Grasso, pieno, si parte e…..non esco neanche dal distributore!!! La reinserisco nella sede naturale, ma mi rendo conto che devo tagliarla. Pregunto e tutti mi dicono che questo tipo di lavori li fa Oscar, un gringo!! Mah, un americano che fa il meccanico nel luogo più sperduto della Baja California!! Arrivo ed è lì, salopette di jeans, rubicondo, tranquillo, aria simpatica. Chiedo, sì è lui. Inizio con il mio inglese stentato, figurarsi se un gringo parla spagnolo: spiego e mostro il problema. L’”officina” è all’aperto sotto un grande albero ed è una vera baraonda, ma fra pezzi di ferro, lamiere, saldatrici, vedo una catena da moto nuova di zecca. Mi domanda se c’è la falsa maglia.
“no”
“bene”
Si mette al lavoro ma comincia anche ad arrivare gente.  Oscar parla decisamente spagnolo e fa lavori di piccola e grande manutenzione meccanica per tutto il paese e non solo credo. Il primo ad arrivare riparte con la trasmissione di un qualche attrezzo agricolo
“50 pesos”
“prima lavoravo in California, ma gli affari andavano così bene che ogni 4 giorni, me ne scendevo quì 3 a riposare. L’ambiente mi piaceva molto e sicuramente alla pensione mi sarei trasferito ad El Rosario….”
Un altro “cliente” arriva sotto la pianta: ritira un carburatore e paga i soliti 50 pesos.
La catena è tagliata e mentre regolo al massimo il perno del forcellone, Oscar continua:
“poi un giorno, nevicava, guidavo un  trattore in un campo e per il gelo mi sono ribaltato. Ho spezzato completamente la gamba all’altezza del ginocchio. Pensavo di avere un’assicurazione, invece ho perduto, attività, camion, trattore, casa, investimenti, per avere questo pezzo di ferro al posto dell’articolazione. Così ho deciso di anticipare e mi sono trasferito. Vivo alla giornata ma sto bene, sono tranquillo, rilassato e, la cosa principale sono ben voluto dalla gente.
Un pick up entra nel giardino e ne scende una famiglia con una serie di ferri. Hanno bisogno di una plancia per cucinare l’arrosto e chi più di Oscar può risolvergli il problema?
Il lavoro, il mio, è finito.                                                                           
“50 pesos”
Pago con 100, mi torna 50 di resto. Sono arrivate intanto altre 2 macchine, l’officina è decisamente affollata.
La vecchiaia? Forse. Lo prendo in disparte.
“sono 2 mesi che vado chiedendo sconti dovunque, ma….” Gli torno i 50 pesos.
“muchas gracias”
“un placer!”



Parto, il deserto del Vizcano da attraversare mi attende.
Ennesimo posto di blocco e per l’ennesima volta chiedo di poter scattare una foto. Alcuni militari, sono diversi, stanno riparando una jeep che perde copiosamente olio da un braccio di trasmissione.
La risposta è però anche stavolta la stessa: “no se puede”
Parlando del più e del meno, decidiamo di interpellare il superiore. Questo, prima nega il permesso, poi parte con una pippa che non si deve capire dove siamo, chi siamo e col numero di matricola del veicolo ciò non è possibile. Gli suggerisco, per scherzo, di coprirlo, e lui…..lo fa, mettendosi davanti alla sigla che identifica il veicolo. Scatto una rapida sequenza, ma ormai siamo in confidenza.
“a quanto la vende las fotos?”
“ por lo meno…1 million de pesos”
“ahhiii!!!”
“mira, se la vendo a esto precio, me regresso por comprar una camioneta nueva por ustedes”
Risata generale.
Interviene anche il sottufficiale: “es de tu pais, es un Hammer!”
“me equivocaste por un gringo?”
“de donde es?”

“de Italia!! Y esta cosa me molesta mucho, usted me ofendiò!!”
Ridiamo tutti, in pieno deserto, il nulla intorno.



Se siete arrivati qui, bravi avete guidato per oltre 2500km attraversando alcuni degli scenari più spettacolari del pianeta, recita una delle guide che ho nella borsa da serbatoio, parlando di Cabo San Lucas. Tutto esatto a parte un unico dettaglio: il posto non mi piace e, non c’è che dire i posti come Cabos, come viene amichevolmente chiamata dai gringos che la affollano in tutti i periodi dell’anno, mi intristiscono. Condomini, residentiales, moltitudini di persone, navi da crociera, tutto sembra organizzato perché la gente arrivi  e non possa far altro che divertirsi, no qui si è obbligati a farlo. Prenderò atto della situazione e della mia tristezza per allontanarmi con la solita discrezione, senza alcun rimpianto.
La Baja California mi conferma di avere regole ancora più strane del Messico stesso a cui geograficamente e politicamente  appartiene. I traghetti per il continente messicano da Pichilingue, 20km a nord da La Paz, hanno dogana. Entro nell’area portuale- doganale- traghettizia ed uno dei funzionari mi chiede i documenti della moto. Glieli porgo e lui mi chiede la fattura.
“di cosa?”
“del veicolo”
“non ce l’ho”
“senza non si passa” risponde lui abbastanza deciso “non c’è problema, puoi farti mandare un fax ed abbiamo risolto il problema” gli spiego la situazione, con Ricardo, il proprietario, che è addirittura all’estero, quindi impossibilitato a faxarmi alcun che. L’idea di ripercorrere all’indietro tutta la penisola più Sonora e Chihuaua, parliamo di almeno 4000km,  mi rende abbastanza ostinato. La posizione di stallo si trasferisce nell’ufficio della responsabile della dogana. Tento di spiegare l’assurdo che posso arrivare per strada ma non posso uscire via mare. Anche lei è dispiaciuta ma irremovibile nella sua gentilezza. Mi spiega che la compagnia di navigazione ha un servizio di fax con un numero proprio per queste situazioni e dove trovare tarjeta telefonica e relativo apparecchio pubblico. Inizio a procurarmi gli “ingredienti” per tentare di risolvere la situazione. C’è da dire che la zona offre almeno 6 o 7 spiagge di sabbia bianca da sogno, alcune con hotel. Tutto sommato niente male come posto per attendere dei documenti, dato che via terra non torno neanche sotto minaccia armata!! Provo a chiamare casa di Ricardo ma Yvonne, non risponde. Altro giretto per rendersi di quanto sia stratosferico il posto non appena ci si allontana dal piccolo molo sperduto nel deserto e prima di richiamare ritorno in dogana per avere la certezza che non mi inventino altre regole o leggi, una volta ricevuto il fax.
“no necessito algo mas?”
“un momentito por favor” è sempre lo stesso ragazzo che va a consultarsi  con la responsabile.
“puede engresar a tomar el bolletto”
Non capisco cosa sia successo, sono trascorsi meno di 40 minuti e mi fanno passare come se niente fosse!!!
Que viva y lindo Mexico!! Ringrazio tutti, saluto e vado comprare il biglietto.
Dopo quasi 200km di curve, ed ormai si é capito credo, il livello delle strade panoramiche messicane, appena dopo aver attraversato il villaggio di Yepachic un cartello avvisa veicoli e conducenti “precaucion, inizia tramo sinuoso” (!!!). Sarà l’apoteosi, il festival della curva, in tutte le sue varianti, una vera e propria università della piega. Proprio a Yepachic, all’entrata della scuola primaria, oltre alle solite frasi di benvenuto una scritta riporta testualmente: “ il carattere influenza e modifica il destino”.
Arriverò a Basaseachic a notte, intirizzito dal freddo che si è fatto pungente dato che ho guidato costantemente oltre i 2000m. Da qui la sierra Tarahumara continuerà la sua scalata altimetrica. E le strade….. non so come sia possibile ma continuano a migliorare. Se esistesse, direi che ci stiamo avvicinando alla perfezione. Pernotto a Creel, centro di servizi e fermata del famoso percorso ferroviario della Barranca del Cobre e da qui parto per Batopilas, nel fondo del Canyon. I primi 80km, solite cose: asfalto, paesaggi, strade pazzesche. Poi il bivio. Inizia subito lo sterrato. Stanno lavorando per ampliare ed asfaltare la carreggiata. Prima deviazione dopo neanche 500m, picchiata in una valle laterale e 4 guadi, dove nell’attraversamento del più lungo per poco non mi incarto. Ritorno sulla principale ma i primi 15km sono davvero complicati: i lavori rendono la pista una vera schifezza. Le cose migliorano un po’ fino al 25mo km. La strada inizia a scendere leggermente ed a un tratto…............................................



............il baratro. Il navigatore marca 1805m, una vista pazzesca si apre sul fondo del canyon dove scorre un fiume verde smeraldo, con la strada che cerca di scendere nel precipizio il più rapidamente possibile. Da qui si vede praticamente tutta, davvero fenomenale. Alla fine tra soste, foto, rallentamenti percorrerò i 65km in più di 3 ore e mezza, raggiungendo Batopilas, 567m, sonnolento villaggio dell’800, un tempo sede di miniere d’argento e cercatori d’oro. Il cuore della regione dei canyon, un altro posto magico e splendidamente appartato che questo Messico poco conosciuto sa regalare ai suoi visitatori.



La sera sarò a cena a casa di donna Carolina, che invita i suoi avventori direttamente in una della sale di casa sua.
La mattina dopo, colazione, un po’ di contemplazione del fiume dal balcone dell’albergo di Juanita, una passeggiatina per la piazza ed alla fine partenza. Tanto ormai a  foto sono a posto e dovrei sbrigarmela in un baleno. 
Il problema è che invertendo il senso di marcia cambiano anche angolazioni e prospettive. Alla fine tra soste, foto, rallentamenti percorrerò (!!!) i 65km nelle solite 3 ore e mezza, ma superando assai più brillantemente il guado malefico dell’andata. Primo pomeriggio sono su asfalto e punto decisamente su Ghachochi. La strada continua ad essere incredibilmente stratosferica. Alle 15.30 indosso l’imbottitura della Rallye 2. Qualche decina di km e infilo i guanti, lo so ho la brutta abitudine di guidare senza. Ma c’è qualcosa che non và. Il freddo aumenta e sono costretto a fermarmi per tirar fuori anche la giacca termica. Neanche vicino Ensenada quando ho beccato un po’ di nevischio o percorrendo gli stati di Chihuaua e Sonora vicino il confine con gli Stati Uniti, ho trovato queste temperature!!



Sarà freddo, freddissimo, con la strada, bellissima, ma che rimane costantemente sopra i 2000m. Valli colorate, canyon con la vista che spazia a perdita d’occhio, ma a questo punto penso solo ad arrivare. Le gambe congelate, batto i denti nel casco e quando per l’ennesima volta il navigatore mi segnale di essere ancora oltre i 2600m, i miei pensieri diventano quelli di un camionista sboccato e triviale. Arriverò ad Hidalgo de Parral, famosa perché qui nel 1923 uccisero l’eroe nazionale Francisco “Pancho” Villa letteralmente congelato. La gente passeggia con i paraorecchi, sembra di essere sulle Dolomiti. Un frente frio sta spingendo aria artica dal nord, dove in Texas sta nevicando!!!
Espinazo del Diablo, questo il nome del fantastico tratto di strada, circa 270km, che congiunge Durango con Mazatlan. Il tratto in particolare tra El Salto a Copala è stato eletto dal sottoscritto come il migliore di tutto il tragitto, una scelta difficile ma sicuramente meritata. Qui niente viene lasciato al caso: asfalto perfetto, sequenze di curve da raccordare armoniosamente, il tutto contornato da un paesaggio davvero straordinario, con la vista che spazia a 360°, per non parlare del momento in cui, ancora ad oltre 2200m, si inizia a scorgere in lontananza l’oceano!!!
Non so perché ma ormai ogni volta che arrivo a fine raid, una specie di ansia apatica e svogliata mi assale. La macchina fotografica rimane sempre più spesso nella borsa da serbatoio e le giornate diventano dei trasferimenti fatti di ore di guida a quello che è il punto di arrivo della giornata. Ed anche questa volta sarà lo stesso. Sono stanco e decido di fermarmi qualche giorno in alcune delle spiagge che disegnano scenograficamente questa parte della costa pacifica messicana: San Blas, San Patricio Melaque, Cuyatlan. Ormai mancano pochi giorni e gli appuntamenti presi a Città del Messico con un paio di riviste del settore, non mi lasciano molte scelte. Comunque decido di entrare in ferie fotografica ma di non alterare l’itinerario. Sarà costa, seguendo la Mexico 200 fino a Playa Azul, poi all’interno per la 37 fino a Nueva Italia e da qui la 120 per Patzcuaro. Decine, centinaia, migliaia di curve con un traffico inesistente. Un giorno pieno, arriverò a fine tappa stremato con quasi 700km sul groppone, di cui pochissimi rettilinei, non più di 50, credo. La zona di Patzcuaro sul lago omonimo è un'altra chicca che obiettivamente meriterebbe molte più attenzioni. L’indomani invece sarà ancora abbuffata di curve per arrivare in serata nella capitale. 2 giorni, 1231km, tantissime curve, sono appagato, leggermente stanco ma ormai siamo agli sgoccioli.



Real de Catorce
“Li voglio vivi o morti!” disse il marchese Cadereyta, sedicesimo vice re della Nuova Spagna. E così i 14 morirono. Erano dei rapinatori che assaltavano i carri che trasportavano l’argento. Il posto cominciò così ad essere chiamato “il luogo dove ammazzarono i 14”. Nel 1639 il marchese fece fondare lì Real de Minas de Nuestra Senora de la Limpia Conception de Guadalupe de los Alamos de Catorce”, nome alquanto articolato e che ha subito qualche inevitabile trasformazione e amputazione. Ai tempi si denominavano Real i villaggi dove avevi miniere, in particolare d’argento e Senora de la Limpia Conception de Guadalupe era la manifestazione della profonda fede religiosa della Spagna conquistatrice. Ma le leggende sopra l’origine del nome sono molteplici, come che si trattava di 14 sacerdoti, o di 14 soldati impiccati dagli indigeni, o di 14 viandanti che si accamparono lì e la mattina dopo scoprirono che il fuoco aveva incendiato una lastra di argento. Se el real de minas data 1639, il villaggio fu fondato nel 1779, dopo che un cavaliere che cercava il suo cavallo scomparso nella sierra, aveva trovato per caso, la prima vena di argento. Buona parte della storia del villaggio dipende dalla tradizione orale dato che nel 1744 gli indiani Lakota incendiarono il paese ed i suoi archivi. Secondo lo studioso Alexander von Humbolt nel 1804, Real de Catorce era al secondo posto nella produzione di argento del paese ed il primo dove nel 1822 si  utilizzo una macchina a vapore ed il primo del Messico dove arrivò l’energia elettrica. Nel momento di massimo splendore arrivò a 16000 abitanti. Un pesante crollo dei prezzi dei metalli all’inizio del secolo passato provocarono un massiccio esodo ed oggi la popolazione ammonta a circa 1500 residenti. 
Hai altri villaggi minerari che cominciano con un tunnel, ma però questo sembra avere una dimensione mistica e la siua entrata non poteva essere altro che una galleria, chiamata dell’Ogarrio, costruito da Vicente Ogarrio, patrocinato dal conte de la Maza, inaugurato nel 1902 con i lavori iniziati 36 anni prima. Per costruirlo, fu utilizzata per la prima volta in Messico la dinamite ed è illuminato per tutti i suoi 2279m. Angusto, permette solo la circolazione a senso alternato ma può essere attraversato a piedi. Al suo interno, a circa metà del percorso è scavata una piccola grotta con una immagine della Vergine, davanti alla quale si inchinavano pregare i minatori. All’uscita del tunnel Real de Catorce esplode come una bomba, con il sole o la luna che brillano nelle sue vie acciottolate. L’atmosfera è diafana.
“l’aria limpida e la bellezza della vista e la luce non usata” dirà Fray Luis de Leon in una delle sue poesie. Una sensazione mistica che circonda l’ambiente.



Gringos
L'origine della parola risale al 1846, al tempo della guerra tra Stati Uniti e Messico.
Le truppe nord americane si lanciavano all'assalto cantando "green grows the grass" compresa dai messicani come "gringos  the grass".
Da allora il termine, che non è affatto un complimento, è rimasto nel gergo comune e sta ad indicare forme di turismo, rapporti economici e soprattutto atteggiamenti sociali che nulla hanno a che vedere con il rispetto e la comprensione dei luoghi e delle persone.



Francesco “Pancho” Villa
Passato alla storia come l’eroe della rivoluzione messicana, per buona parte della sua vita Francesco “Pancho” Villa,
fu un ladro dedito più ai furti ed alle belle donne che alle nobili cause. Gli anni in cui visse da fuorilegge sono oscurati da affermazioni contraddittorie, mezze verità e vere e proprie menzogne.molti anni dopo le sue imprese da fuorilegge, Villa acquistò una casa a Chihuahua. La primavera dello stesso anno, il governatore delle stato, Abraham Gonzalez, iniziò a reclutare uomini per strappare il Messico a Porfirio Diaz ai quali si aggregò il futuro eroe nazionale. Gonzalez conosceva il suo passato ma sapeva che aveva bisogno di uomini come lui; leader naturali e buoni combattenti. Così “Pancho” Villa si diede nuovamente alle ruberie, anche se per una nobile causa, la riforma agraria. Quando alla testa dei ribelli. nel maggio 1911, conquistò Ciudad Juarez , Diaz rassegnò le dimissioni,  6 mesi più tardi gli successe Francisco Madero.
Anche questi però non ebbe vita facile ed agli inizi del 1913 venne deposto da uno dei suoi generali, Victoriano Huerta e quindi giustiziato.
“Pancho” dapprima si rifugio oltre confine ad El Paso, poi rientro nel paese per opporsi al dittatore. In brevissimo tempo radunò un esercito di migliaia di uomini, chiamato la Division del Norte, e conquistò per la seconda volta Ciudad Juarez e tutto lo stato di Chihuahua. La vittoria che conseguì l’anno dopo a Zacatecas, è considerata uno dei suoi capolavori militari, che costrinse Huerta a dimettersi, nel luglio 1914. le forze rivoluzionarie si spaccarono in 2 fronti: i liberali Vetustano Carranza ed Alvaro Obregon da un a parte ed i più radicali  Villa e ed Emiliano Zapata dall’altra. Villa fu sconfitto da Obregon nella grande battaglia di Celaya nel 1915. Nel luglio del 1920, Villa firmò un trattato di pace con Adolfo de La Huerta, scelto 2 mesi prima come presidente provvisorio, impegnandosi a deporre le armi e ritirarsi in un hacienda, chiamata Canutillo , 80km a sud di Parral, costata al governo 630000 pesos. Villa ricevette inoltre 35926 pesos per pagare gli stipendi ai suoi soldati ed altro denaro per acquistare attrezzi agricoli, coprire varie spese personali, tra cui alcune guardie del corpo ed aiutare economicamente vedove ed orfani della Divisione del Norte.
Nei 3 anni successivi, “Pancho” condusse una vita relativamente tranquilla. Acquistò un albergo a Parral e cominciò ad assistere regolarmente ai combattimenti di galli, sistemò alcune delle sue tante mogli. Una vita abbastanza tranquilla fino al 20 luglio 1923, quando otto killer crivellarono di colpi la sua Dodge che si apprestava a lasciare Parrai uccidendo il leader rivoluzionario e 4 delle 6 persone che viaggiavano con lui.