CONQUISTADOR Y CONQUISTADO
Il Messico è spesso sottovalutato: tutti conoscono la sua sterminata capitale, ricca di musei ed attrazioni, molti sanno dello Yucatan e dei suoi tesori archeologici, qualche spiaggia più famosa come Acapulco, Cancun, la onnipresente Puerto Escondido, ma poi? Città coloniali splendide, vere perle di una collana che riserva sorprese già ad una prima indagine leggermente più accurata: bellezze naturali incredibili, una per tutte la Barranca del Cobre, ben 4 volte più vasta del Grand Canyon, accessibile per ferrovia, per strada, persino con una splendida strada sterrata che scende vertiginosamente verso il suo fondo, per giungere nella magica Batopilas. Luoghi mistici come Real de Catorce, deserti, spiagge tropicali, vulcani altissimi, spenti o ancora in attività. Quando gli fu chiesto di descrivere il Messico, Herman Cortès, si limitò ad accartocciare un foglio di carta e posarlo sul tavolo: una topografia irregolare, folle, uno scherzo della natura che ha dato origine a incredibili varietà di luoghi, popolazioni e culture, oggi ormai accessibili a tutti. E questa è un’altra sorpresa che può meravigliare il motociclista viaggiatore: l’incredibile geografia, permette di creare un filo viario spesso panoramicissimo, di questo gioiello chiamato Messico. Come partire alla conquista viaria di un paese e rimanere conquistati da tante bellezze. Pronti? Si parte.
ITINERARIO- Veracruz, Campeche, Puebla, Città del Messico, Tapotzotlan, Tula, Timanzuchale, Xilitla, Landa de Matamoros, El Bernal, San Miguel de Allende, Guanajuato, Zacatecas, Real de Catorce, La Pesca, Monclova, 4 Cienegas, Parral, Altar, Ricardo Flores Magon, El Rosario, Cabo San Lucas, Pichilingue, Creel, Batopilas, Hidalgo de Parral, Durango, Espinazo del Diablo, Mazatlan, San Blas, San Patricio Melaque, Cuyatlan, Playa Azul, Patzcuaro, Città del Messico, Veracruz.
LUNGHEZZA- km 15.820
Veracruz,
ho fra le mani il biglietto aereo con la data di ritorno fra più di 2 mesi e
sono pervaso da un’inebriante euforia che ben conosco. 60 giorni per conoscere
e guidare in un territorio 6 volte quello italiano spingendomi fino ai confini
con gli Stati Uniti. Una rapida sosta nella sterminata Città del Messico, per
mettere a punto il mezzo e sono pronto: io, la moto, città coloniali da
visitare, deserti da attraversare, canyon da esplorare e migliaia di km
all’orizzonte. Tapotzotlan,
appena ai margini di Città Del Messico, poche decine di km, appena 40, per
entrare in un altro mondo. Una chiesa, con una facciata splendida, un convento,
vie acciottolate, atmosfera rilassata. Parto alle 9.30 dalla capitale e, come
al solito mi perdo per quasi 300km, tra strade di montagna piene di buche ma
poco trafficate. Nel primo pomeriggio arrivo in questo pueblo dal nome quasi
impronunciabile e, ancor prima del rapido giro di perlustrazione, decido di
fermarmi. Il Zocalo è davvero bellissimo
a più piani dominato dalla chiesa di San Javier. Pomeriggio dedicato al
passeggio. La sera cena nella piazza alquanto animata. Accompagno beatamente la
bistecca ranchera con una bottiglia di Rioja. Nel primo livello della piazza,
un’esibizione di skateborder e ragazzi che si destreggiano con le loro bmx, nel
secondo, un gruppo piuttosto eterogeneo di persone che a ritmo di tamburo ballano
una danza indigena. Il ritmo è oltremodo coinvolgente. La piazza è illuminata,
la luna è alta nel cielo stellato, e 27 persone, ho tutto il tempo di contarle,
concedono uno spettacolo che mi fa capire, che al primo colpo sono già entrato
nel ritmo viaggio. Rimarrò fino alla fine, sullo sfondo le luci della capitale,
con il tamburo che continua a dare il ritmo ai ballerini.
Il
giorno dopo la cartina mi indica il percorso da seguire, con semplicità: 2
strade, la Mexico 85 e la 120, nient’altro. Un percorso che non può che essere definito assolutamente
motociclistico. Migliaia di curve, paesaggi bellissimi e vari, un altitudine
media che si aggira quasi sempre tra i 1500 ed i 2000m, con punte superiori ai
2500. La prima è sicuramente quella che concede meno respiro, per quasi 240km.
Arriverò ormai a sera a Timanzuchale, sulle rive del rio Monteczuma. La mattina
dopo con un sole radioso, affronto la Sierra Gorda. Questa zona, oltre che per
le foreste fossili, risalenti a ben 12 milioni di anni fa, è famosa per le sue
missioni, risalenti alla metà del XVIII secolo. Completamente restaurate, siti
protetti dall’UNESCU, presentano interessanti facciate ornate da figure
simboliche. Landa de Matamoros, ospita probabilmente la più bella ed è qui che
conosco Enrique Lòpez. Professore, avvocato, ormai ritirato, giornalista a
tempo perso mi osserva dalla porta del suo ufficio mentre cerco tra luci
accecanti e cromatismi architettonici, di rendere fotografabile la chiesa.
Ritornando alla moto ci salutiamo e mi chiede se la missione mi è piaciuta,
aggiungendo che secondo lui quella di Tilaco è ugualmente interessante.
“devi
sapere che nella metà del XVIII sec. gli spagnoli per estendere il loro domini
a nord e cercare nuovi giacimenti di argento di fronte all’ostilità de alcune
delle popolazioni locali, iniziarono una politica di evangelizzazione, che
portò nella zona, prima gli agostiniani, poi i gesuiti e per concludere i
francescani. I primi 2 ordini fallirono miseramente anche perché il loro
intento principale era puramente economico e non pastorale. A ciò va aggiunto
che delle 2 etnie presenti, quella dei Jonages (pronunciata Chonaghes) e dei
Pames, la prima era oltremodo ostile, feroce e violenta. Con l’arrivo dei
francescani però, al loro seguito giunse il colonnello Josè de Escandòn y
Helguera, che affrontò il problema in maniera radicale: estinguere
completamente i Jonages. E così fece! Una barbarità tra le tante barbarità
perpetrate dagli spagnoli in America latina.”
Continua
informandomi che le foreste fossili che ho incontrato lungo la strada
nascondono nel sottosuolo a più di 1000m di profondità immense quantità di
petrolio sulle quali le grandi compagnie hanno già stabilito dei diritti di
riserva e sfruttamento.
“prima
gli spagnoli, poi i gringos!!!” me ne esco.
“ Pobre Mexico, tan lejo de
Dios y tan in cerca de los Estados Unidos…..” replica lui.
Un
detto che ho già sentito altre volte nel corso del viaggio e nelle mie
esperienze precedenti e che significa: povero Messico, tanto lontano da Dio
quanto vicino agli Stati Uniti.
La
frase fu coniata da Porfirio Diaz che governò il paese da 1876 al 1911.
Riparto
e la strada mi concede un po’ di riposo, finalmente qualche rettilineo, ma solo
fino a Jalpan, piacevole paese che ospita un altro convento. Da qui il percorso
inizia a salire nuovamente con una serie impressionante di curve sopraelevate e
tornanti. Arriverò ad El Bernal dominato da la Pena, terzo monolite al mondo in
ordine di grandezza completamente appagato. Capisco che questo è il posto dove trascorrere la notte e qui farò una
delle esperienze culinarie più interessanti di tutto il viaggio: per la prima
volta a cena prenderò persino il dolce accompagnato da 3 tequila che vanno a
fare compagnia al litrozzo di vino che mi sono scolato durante il pasto. Uscirò
contento, quasi felice, percependo tutto l’alone magico che tanto viene
decantato su questo luogo e che ne sta facendo la sua fortuna.
Il
giorno dopo proseguo verso ovest sulla QUO (sta per Queretaro) 100 fino al
bivio per Colon, dovrei ignorare il bivio, ma sono solo e faccio come mi pare,
quindi prendo a dx. Dal paese inizia una splendida strada empiedrada, un
acciottolato di più di 40 km che in completa solitudine, fra cactus, piccoli
ranchos, pueblos di poche case abitate da persone preoccupate soprattutto che
non mi perda, mi spingerà quasi a fine tappa, S. Miguel de Allende, dove
trascorrerò 2 giorni, fra magnifiche luci, architetture coloniali, vicoli
acciottolati e, permettetemi la divagazione, splendide ragazze. Le messicane
sono bellissime, lasciatemelo dire e qui ne ho un’ulteriore conferma. Forse un
po’ troppi turisti, in particolare gringos che vengono a svernare tra le
magnifiche atmosfere che questa cittadina regala. Ma allontanandosi dalla
piazza principale, non a caso denominata El Jardin, il fascino nascosto di
questa gemma messicana cattura l’osservatore più curioso. Ma il viaggio
continua.
Guanajuato. “vai a Guanajuato”. Tutti, conoscenti ed amici mi avevano
consigliato di visitare questa cittadina che per più di 250 anni ha prodotto il
20% del totale mondiale dell’estrazione dell’argento. Ma la meraviglia non ha
limiti!!! Favolosa. Vicoli stretti che serpeggiano tra colline e che scompaiono in una serie di tunnel in
pietra sotto la città stessa. Un labirinto, no, il labirinto, il Minotauro qui
avrebbe dimorato felice. Una topografia architettonica folle e meravigliosa,
tracciata e studiata nel 1559, rimasta praticamente intatta fino ad oggi!!
Complicata, aggrovigliata, naturalmente arrivo e mi perdo tra vicoli e
gallerie, un’enorme gruviera che scorre sotterranea all’insaputa della città.
La superficie scompare e riappare per svelare chiese, piazze, giardini ma
soprattutto colori, la tavolozza di un pittore impazzito. Alla fine mi oriento,
trovo sistemazione, lascio la moto e comincio a muovermi a piedi. E’ lunedì,
giorno di chiusura dei musei, ma poco importa. Uno spettacolo. Un fitto
reticolo di callejones, come li chiamano qui, ripidi, angusti, che mi conduce
al monumento di El Pìpila, eroe cittadino, un fantastico mirador da cui è possibile
ammirare una magnifica vista sulla città. Luci, colori, una vista fantastica,
ci sono tutti i presupposti per distruggere in una serie infinita di scatti la
reflex, che pare resistere allo stress, consapevole del fatto che ho con me un
altro corpo pronto per le emergenze!!!!
L’essere sede inoltre di
diverse università, con circa 20.000 studenti, le dona un’atmosfera vivace e
sbarazzina. Difficile orientarsi, forse, ma ancora più difficile ripartire.
Zacatecas,
si raggiunge attraversando un altipiano desertico di rocce e nopal, che noi
conosciamo come cactus, ed è l’ultima città dell’argento, la più
settentrionale, la meno battuta dai circuiti turistici, la meno conosciuta, ma
una volta arrivati, è facile capire come una storia di 500 anni basata sull’estrazione
di metalli preziosi possa rendere piacevole ed attraente un luogo inospitale.
Situata a oltre 2400m d’altitudine, vanta una delle cattedrali più imponenti di
tutto il Messico ed emana un fascino da vecchio mondo, con le sue vie affollate
e coloratissime. Tante le cose da vedere e da fare: 11 musei, giardini, chiese
bellissime, la funicolare che conduce al Cerro La Bufa, splendido mirador da
dove tre imponenti statue equestri dei generali rivoluzionari Pancrazio
Angeles, il famoso Pancho Villa e Panfilo Natera dominano la città, ma
assolutamente da non perdere la visita alle miniera, scoperta nel 1584,
sfruttata fino a quando la crescita della città per ragioni di sicurezza ne ha
imposto la chiusura. E’ attualmente gestita da una cooperativa privata, che
organizza le visite guidate.
Fu
chiamata El Eden, perché per i proprietari rappresentò il paradiso in terra. E
ci credo! Ai tempi della colonizzazione messicana, producevano il 20%
dell’argento della Nuova Espana. Ancora oggi il filone non è esaurito, ma nella
zona ci sono altre miniere che garantiscono ricchezza e benessere alla città.
La
visita è educativa perché mostra le condizioni disumane nella quali lavoravano
i minatori: 7 livelli, dove si scendeva a più di 400m di profondità
semplicemente con l’ausilio di corde. I primi tunnel con montacarichi furono
operativi solo nel 1905!!! La risalita avveniva per mezzo di pali che venivano
utilizzati a mo di scale e che venivano percorse con un carico di 55-60kg di
materiale, il tutto per 12-14 ore al giorno: si iniziava a lavorare a 16, 17
anni fino a che la silicosi o la tubercolosi non minavano lo stato di salute
degli operai, che comunque non arrivavano mai a superare i 35 anni di età. I
bambini prima di raggiungere l’età lavorativa a 11-12 anni si occupavano di
portare all’esterno l’acqua che drenava dalle pareti nei livelli più bassi per
mezzi di secchi che pesavano anche 15-20kg. Gli incidenti, pressoché quotidiani
causavano la morte di almeno 5 persone al giorno!!! L’ingresso ed il lavoro
alle donne era precluso, poi che era credenza messicana che la miniera si
ponesse gelosa provocando sventure ed incidenti ai lavoratori.
Le
miniere producevano circa 250g di argento ed 1g d’oro per ogni tonnellata di
materiale estratto e sono state sfruttate dal momento della sua apertura, nel
1584 come detto, fino al 1950. Fernando la guida che ci accompagna nel giro ci
spiega che ora le altre miniere che vengono tutt’ora sfruttate, producono più
di un kg per tonnellata con una stima di almeno altri 40anni. L’economia della
zona parrebbe salva!!!
A
Zacatecas si arriva tra cactus e tra distese di cactus la si abbandona. La meta
è Real de Catorce, famosa anche perché Gabriele Salvatores vi girò alcune scene
del suo Puerto Escondido. Ma la sorpresa non ha limiti!!
Real,
de turismo, de conoscenza, de rilassatezza, de abbandono, non che de 14, merita
tutte le attenzioni possibili e richiede qualche adattamento e sacrificio. Dove
sono arrivato!! Atmosfera magica in un ambiente straordinario. Obiettivamente,
e non so se mi sto facendo influenzare, tutto è fantastico ma allo stesso tempo
un po’ da comprendere. E la strada….la guida dice che è la empiedrada più lunga
del mondo. Non credo sia vero, ma sicuramente una delle più spettacolari.
Fantastica? no! Spettacolare? No! Incredibile? No! Il tempo di trovare
l’aggettivo più adatto ed i 24km si infrangono contro il tunnel Ogarrio, 20
pesos di pedaggio, 2.279m con la possibilità di poter scattare foto nonostante
il traffico alternato. 2.279m per entrare nel mondo di Real de Catorce, 2644m
d’altitudine: pietra, chiese, vicoli lastricati scoscesi, ma qui siamo, qui ci
fermiamo e qui una volta tanto comincio per sino a riflettere. Continuando,
anche il tentativo a La Pesca sempre sull’Atlantico, mi conferma che per fare
un po’ di mare bisogna cambiare oceano. Arrivo con un vento piuttosto sostenuto
ma trovo una simpatica sistemazione lungo il fiume. La sera sarà cena di pesce,
buono, fresco, ben cucinato, a buon mercato ed in compagnia di Juan figlio del
proprietario che mi informa che la zona è sotto le mire di un progetto di una cordata spagnola a fini
turistici. Sembra entusiasta ma, gli spiego che ho visto realtà come Cancun, o
Huatulco e non c’è da essere tanto
ansiosi di vedere simili cambiamenti. La cosa lo rende più riflessivo e
sicuramente meno entusiasta. La mattina mi sveglio e dopo un abbondante
colazione con frittata di gamberi, eh sì decisamente il pesce era freschissimo,
mi metto per strada. Giornata ventosissima, mi allontano dal mare, salendo in
montagna, percorrendo deserti. L’idea di giungere a quella che avevo ipotizzato
come un fine tappa possibile si rivela una pura chimera. Arrivo a Saltillo, ma avendo ancora un paio di ore
di luce decido di continuare, fermandomi nel primo posto possibile. La strada,
che attraversa la Sierra Madre Oriental,
è bellissima: un altopiano desertico chiuso tra montagne marrone scuro.
Il tramonto spinge la mia ombra sempre più lontano, esattamente come il mio
ipotetico punto di arrivo: infatti i due villaggi riportati sulla cartina sono
praticamente di 2 case ciascuno, quindi arrivo a buio inoltrato a Monclova.
Changarro da 2.5€, buono e motel a ore vicino una discoteca, un furto con
condizioni igieniche da paesi africani, ma non ho voglia di perdere tempo in
ricerche, sacco lenzuolo, tappi e via fino alle 7 di mattina!!!
Il
giorno dopo naturalmente, proseguo di buon ora, ancora piccoli pueblos, qualche
ranchos, poi arrivo a Las Flores. Mi scatto una foto con i soliti bei colori
delle architetture locali. Annuso qualcosa, sensazioni, non so e comincio a
dare un giro tra le case basse. Niente, mi sono sbagliato, capita. Riparto ma
all’uscita del paese, un gruppo di 3-4 cavalieri richiama la mia attenzione.
“puedo sacar fotos?”
“claro que si”
Vengo
così a sapere che di lì ad un paio d’ore sta per partire un’escursione a
cavallo sulla sierra che prevede la partecipazione di diverse centinaia di
persone. Non posso perdermela! Comincia l’attesa.
In
una mezz’ora sono già l’italiano che “saca fotos”.
Henrique,
che fa tutto con un mano, essendo l’altra perennemente impegnata a reggere una
bottiglia di cerveza, mi domanda se sono per uso personale o cosa.
“por
uso personal, claro!” bleffo, ma la cosa non sembra interessargli più di tanto.
Sarò praticamente costretto a scattare foto e mostrarle a decine di persone con Henrique che
sapientemente dosa i miei impegni a secondo delle attrattive più interessanti.
Sto assistendo praticamente ad un raduno di ganadorers, allevatori, che si
svolge una volta all’anno ed al quale partecipano diverse centinaia di
cavalieri, donne, uomini, bambini, ragazze e perfino bambini, ce ne erano
alcuni di 5 anni.
“hola”,
Henrique mi chiama, va spiegando a tutti che mi chiamo Geovani, ma è come Juan
in spagnolo, mi indica che un suo amico Manuel, fa un numero assai difficile:
montando un cavallo, riesce a sdraiarlo e farlo restare immobile a comando. Manuel mi spiegherà poi che ci vogliono una decina di giorni di addestramento.
Obbiettivamente la sequenza fotografica è abbastanza interessante. E’ tempo di
partire un po’ per tutti, saluto ringraziando e promettendo di inviare le foto
alla municipalidad. Mi sa che non hanno bevuto la storia dell’hobby e dell’uso
personale!!! A proposito di bere, Henrique ha cambiato bottiglia, ne ha ora una
di un litro e mezzo!
“guidado con la cerveza!!”
“tranquillo, es por el
recorrido”
A
Cuatro Cienegas un’altra sorpresa, stavolta attesa. La zona, in pieno deserto a
più di 750m d’altitudine è costellata di pozas di acqua sulfurea alimentate da
sorgenti naturali. Lo shock cromatico è allucinante: acque limpidissime, a
volte di colore azzurro, in pieno deserto!!!
Ce
ne sono più di 300 sparse nella zona, con una temperatura costante tra i 28 ed
i 31°, alcune attrezzate per la balneazione.
Pomeriggio
inoltrato, sono a 300km di niente da Parras dove vorrei pernottare, in una zona
famosa per la produzione di vino, con le cantine più antiche del paese.
Arriverò
a destinazione e la sera raccomandato dalla simpatica proprietaria dell’hotel
trovo il ristorante la Casona, in pieno centro, calle Madera, nessuna
indicazione o insegna, insomma devo chiedere ad uno dei camerieri che è
all’ingresso, come un viandante qualsiasi. All’interno il classico patio di
stile coloniale. Un cortile, vino locale, di questa bodega San Lorenzo, datata
1597, mai sentito qualcosa del genere, una griglia, una bilancia in bella vista
per la pesa del corte, il taglio della carne.
Il
giovane mi raccomanda la Cabreria, chiedo papas fritas. Saranno 600g di carne
da sbandamento, cipolle gratinate e udite, udite, patate tagliate al
coltello!!! Per terminare in bellezza, 2 tequilas Centenario!! Esco bello
chiarito ma pienamente soddisfatto!
E
la sera dopo, modificando ancora il programma, sarò ancora lì, seduto alla
stessa sedia, con lo stesso appetito, camerieri diversi, ma l’asadero è lì, in
agguato con i suoi cortes di carne. E carne sarà.
“benvenuti
nello stato di Chihuaua, il più grande del Messico” annuncia un cartello. Ed
obiettivamente gli spazi sembrano dargli ragione. Ore di guida, qualche scatto,
rifornimenti di benzina, poco più. Costantemente a 1500m d’altitudine, il
navigatore puntato sistematicamente verso nord ovest, alla fine immancabilmente
la geografia prende il sopravvento ed il confine statunitense ricorda che
l’itinerario deve focalizzarsi su un altro punto cardinale. Iniziano le città
di confine, luoghi polverosi, freddissimi d’inverno, invivibili d’estate. Qui
Chihuaua, lascia il testimone a Sonora “il secondo Stato del paese” come
immancabilmente tengono a farmi notare altri cartelli e qui, dopo alcune ore di
freddo intenso, spazzato da un vento di latitudine assai più estreme arrivo ad
Altar, 15.000 anime. Sono stanco, infreddolito, è buio, decido di fermarmi, un
posto vale l’altro. Il Messico delle speranze, dell’illegalità, della paura, un
altro Messico, facce impaurite, sguardi sfuggenti, ma quanti sono!!! Sono in
uno dei punti nevralgici dell’immigrazione clandestina del paese. Comincio a
girare per trovare un posto per dormire. Tariffa standard, 350 pesos e tutto
pieno. Al terzo tentativo una signora mi spiega che la tariffa è auto imposta
da tutti gli albergatori per darsi pari opportunità (!!!). Vicino la Plaza de
Armas, trovo altri 2 motel, uno ha posto, sono stracolmi di gente, clienti,
disperati, non so come chiamarli. Ci sono sbarre dappertutto, delle prigioni,
dove però per entrare devi pagare!!! Penso a quante storie potrei sentire ma
queste sbarre non mi vanno proprio giù! Mi ricorda Gat in Libia, ma lì
l’atmosfera era completamente diversa. Continuo la ricerca, alla fine in una
via polverosa leggo un’insegna, vedo una piccola struttura arancione e mi
infilo. Qui per lo meno non ci sono recinzioni o sbarre. Tomas mi chiede i
soliti 350 pesos. Inizia una trattativa, ma ci prendiamo subito in simpatia e
la cosa diventa esilarante. Alla fine 275 pesos: la maggior parte dei “
clienti” sono immigrati clandestini che arrivano dal centro America, senza
nessun permesso ed in attesa che qualcuno li prelevi dalle strutture per
portarli oltre frontiera. Da qui dove stiamo parlando, Sasaba, al confine, un
piccolo pueblo che ha il suo omonimo oltre frontiera, dista 98km. Una garitta,
poco più ed uno dei punti meno transitati tra i 2 paesi, ma anche uno dei più
difficili da controllare. Montagne impervie, centinaia di km di sentieri e da
qui le colonne di disperati tentano la sorte! 3-4 giorni di cammino, 1.500-2.000$
a testa per realizzare un sogno che il 95% delle volte si rivela uno dei
peggiori incubi per questa massa di disperati.
L’economia
di Altar si poggia sul traffico dei clandestini, Tomas stesso riconosce che la
sua attività si è consolidata grazie ai soldi degli immigrati. Nel frattempo
arrivano la moglie con la figlia di Tomàs e la cugina Luz, Luce, di nome e di
fatto!! E’ stata in Italia a novembre ed ha deciso di iscriversi ad un corso di
italiano perché ha intenzione di tornare. Vorrei invitarla a cena ma
l’incombente presenza del cugino mi induce a desistere da tale proposito.
Quando tornerò troverò oltre a Tomàs, anche il biglietto da visita di Luz.
Passiamo
ai numeri: si stima che siano circa 16 milioni i messicani residenti negli
Stati Uniti, dove in media lo stipendio medio è 6 volte più alto di quello
messicano. Ogni messicano che vive oltre confine manda a casa in media 1.000$
ogni anno, queste rimesse costituiscono la seconda fonte di valuta straniera
del paese dopo quella derivante dal petrolio, stiamo parlando di qualcosa come
circa 20 miliardi di dollari. Ogni anno circa 400.000 messicani si
trasferiscono al nord, molti come clandestini pagando per passare il confine
con l’aiuto dei cosiddetti “coyotes”. Ogni anno oltre un milione di persone
vengono arrestate mentre cercano di varcare illegalmente il confine, centinaia
muoiono annegate, di sete o travolte dalle automobili. Le più recenti stime
parlano di un 35% di messicani, quindi più di uno su tre, che vive illegalmente
negli USA.
Arrivo
a Ricardo Flores Magon con ormai il sole che sta schiacciando l’orizzonte con
l’intensità dei suoi colori. E’ poco più di una intersezione fra 3 strade,
qualche casa, molti changarros, 2 ristoranti ed un motel. Comincio da qui, e la
signora mi fa subito lo sconto. Approfitto delle ultime straordinarie luci per
scattare le foto di fine giornata. Bene ed ora si mangia. Opto per un
changarro.
“tiene
comida?”
“solo
burritos”
Picadillo
e subito a seguire chile relleno.
“cerveza?”
“aja”
la ragazza mi indica la porta di fianco al locale, naturalmente tutto gestito
dalla stessa famiglia. Mi serve Adriana che, alla seconda birra mi chiede da
dove vengo e soprattutto che faccio lì così conciato. Le spiego dell’Italia, di
Panama e che sto andando verso Tijuana. Il suo stupore di splendida 17enne la
porta a propagare la notizia a familiari, avventori, camionisti, persino alla
nonna, che mi osserva con la meravigliata indifferenza che solo chi ha molta
esperienza alle spalle sa rivolgere ai folli.
El
Rosario, ultimo rifornimento prima di 340km di deserto, non che Riserva della
Biosfera del Vizcano. La catena è arrivata, 3 regolazioni negli ultimi 3
giorni, più l’acqua, il nevischio ed il fango di ieri che mi ha accompagnato
per tutto il giorno, mi lasciano poche speranze che regolando l’ultimo tratto
disponibile, possa permettermi di arrivare a Cabo San Lucas, dove spero di
poter fare manutenzione al mezzo ormai provato dopo quasi 12.000km. Si va così,
al limite inserendola nella sede ogni volta che salta!! Grasso, pieno, si parte
e…..non esco neanche dal distributore!!! La reinserisco nella sede naturale, ma
mi rendo conto che devo tagliarla. Pregunto e tutti mi dicono che questo tipo
di lavori li fa Oscar, un gringo!! Mah, un americano che fa il meccanico nel
luogo più sperduto della Baja California!! Arrivo ed è lì, salopette di jeans,
rubicondo, tranquillo, aria simpatica. Chiedo, sì è lui. Inizio con il mio
inglese stentato, figurarsi se un gringo parla spagnolo: spiego e mostro il
problema. L’”officina” è all’aperto sotto un grande albero ed è una vera
baraonda, ma fra pezzi di ferro, lamiere, saldatrici, vedo una catena da moto
nuova di zecca. Mi domanda se c’è la falsa maglia.
“no”
“bene”
Si
mette al lavoro ma comincia anche ad arrivare gente. Oscar parla decisamente spagnolo e fa lavori
di piccola e grande manutenzione meccanica per tutto il paese e non solo credo.
Il primo ad arrivare riparte con la trasmissione di un qualche attrezzo
agricolo
“50
pesos”
“prima
lavoravo in California, ma gli affari andavano così bene che ogni 4 giorni, me
ne scendevo quì 3 a riposare. L’ambiente mi piaceva molto e sicuramente alla
pensione mi sarei trasferito ad El Rosario….”
Un
altro “cliente” arriva sotto la pianta: ritira un carburatore e paga i soliti
50 pesos.
La
catena è tagliata e mentre regolo al massimo il perno del forcellone, Oscar
continua:
“poi
un giorno, nevicava, guidavo un trattore
in un campo e per il gelo mi sono ribaltato. Ho spezzato completamente la gamba
all’altezza del ginocchio. Pensavo di avere un’assicurazione, invece ho
perduto, attività, camion, trattore, casa, investimenti, per avere questo pezzo
di ferro al posto dell’articolazione. Così ho deciso di anticipare e mi sono
trasferito. Vivo alla giornata ma sto bene, sono tranquillo, rilassato e, la
cosa principale sono ben voluto dalla gente.
Un
pick up entra nel giardino e ne scende una famiglia con una serie di ferri.
Hanno bisogno di una plancia per cucinare l’arrosto e chi più di Oscar può
risolvergli il problema?
Il lavoro, il mio, è finito.
“50
pesos”
Pago
con 100, mi torna 50 di resto. Sono arrivate intanto altre 2 macchine,
l’officina è decisamente affollata.
La
vecchiaia? Forse. Lo prendo in disparte.
“sono
2 mesi che vado chiedendo sconti dovunque, ma….” Gli torno i 50 pesos.
“muchas gracias”
“un
placer!”
Parto,
il deserto del Vizcano da attraversare mi attende.
Ennesimo
posto di blocco e per l’ennesima volta chiedo di poter scattare una foto.
Alcuni militari, sono diversi, stanno riparando una jeep che perde copiosamente
olio da un braccio di trasmissione.
La
risposta è però anche stavolta la stessa: “no se puede”
Parlando
del più e del meno, decidiamo di interpellare il superiore. Questo, prima nega
il permesso, poi parte con una pippa che non si deve capire dove siamo, chi
siamo e col numero di matricola del veicolo ciò non è possibile. Gli
suggerisco, per scherzo, di coprirlo, e lui…..lo fa, mettendosi davanti alla
sigla che identifica il veicolo. Scatto una rapida sequenza, ma ormai siamo in
confidenza.
“a
quanto la vende las fotos?”
“ por lo meno…1 million de
pesos”
“ahhiii!!!”
“mira, se la vendo a esto
precio, me regresso por comprar una camioneta nueva por ustedes”
Risata generale.
Interviene anche il
sottufficiale: “es de tu pais, es un Hammer!”
“me equivocaste por un
gringo?”
“de donde es?”
“de Italia!! Y esta cosa me
molesta mucho, usted me ofendiò!!”
Ridiamo
tutti, in pieno deserto, il nulla intorno.
Se
siete arrivati qui, bravi avete guidato per oltre 2500km attraversando alcuni
degli scenari più spettacolari del pianeta, recita una delle guide che ho nella
borsa da serbatoio, parlando di Cabo San Lucas. Tutto esatto a parte un unico
dettaglio: il posto non mi piace e, non c’è che dire i posti come Cabos, come
viene amichevolmente chiamata dai gringos che la affollano in tutti i periodi
dell’anno, mi intristiscono. Condomini, residentiales, moltitudini di persone,
navi da crociera, tutto sembra organizzato perché la gente arrivi e non possa far altro che divertirsi, no qui
si è obbligati a farlo. Prenderò atto della situazione e della mia tristezza
per allontanarmi con la solita discrezione, senza alcun rimpianto.
La
Baja California mi conferma di avere regole ancora più strane del Messico
stesso a cui geograficamente e politicamente
appartiene. I traghetti per il continente messicano da Pichilingue, 20km
a nord da La Paz, hanno dogana. Entro nell’area portuale- doganale-
traghettizia ed uno dei funzionari mi chiede i documenti della moto. Glieli
porgo e lui mi chiede la fattura.
“di
cosa?”
“del
veicolo”
“non
ce l’ho”
“senza
non si passa” risponde lui abbastanza deciso “non c’è problema, puoi farti
mandare un fax ed abbiamo risolto il problema” gli spiego la situazione, con
Ricardo, il proprietario, che è addirittura all’estero, quindi impossibilitato
a faxarmi alcun che. L’idea di ripercorrere all’indietro tutta la penisola più
Sonora e Chihuaua, parliamo di almeno 4000km,
mi rende abbastanza ostinato. La posizione di stallo si trasferisce
nell’ufficio della responsabile della dogana. Tento di spiegare l’assurdo che
posso arrivare per strada ma non posso uscire via mare. Anche lei è dispiaciuta
ma irremovibile nella sua gentilezza. Mi spiega che la compagnia di navigazione
ha un servizio di fax con un numero proprio per queste situazioni e dove
trovare tarjeta telefonica e relativo apparecchio pubblico. Inizio a procurarmi
gli “ingredienti” per tentare di risolvere la situazione. C’è da dire che la
zona offre almeno 6 o 7 spiagge di sabbia bianca da sogno, alcune con hotel.
Tutto sommato niente male come posto per attendere dei documenti, dato che via
terra non torno neanche sotto minaccia armata!! Provo a chiamare casa di
Ricardo ma Yvonne, non risponde. Altro giretto per rendersi di quanto sia
stratosferico il posto non appena ci si allontana dal piccolo molo sperduto nel
deserto e prima di richiamare ritorno in dogana per avere la certezza che non
mi inventino altre regole o leggi, una volta ricevuto il fax.
“no
necessito algo mas?”
“un
momentito por favor” è sempre lo stesso ragazzo che va a consultarsi con la responsabile.
“puede engresar a tomar el
bolletto”
Non
capisco cosa sia successo, sono trascorsi meno di 40 minuti e mi fanno passare
come se niente fosse!!!
Que viva y lindo Mexico!! Ringrazio tutti, saluto e vado comprare il biglietto.
Dopo
quasi 200km di curve, ed ormai si é capito credo, il livello delle strade
panoramiche messicane, appena dopo aver attraversato il villaggio di Yepachic
un cartello avvisa veicoli e conducenti “precaucion, inizia tramo sinuoso”
(!!!). Sarà l’apoteosi, il festival della curva, in tutte le sue varianti, una
vera e propria università della piega. Proprio a Yepachic, all’entrata della
scuola primaria, oltre alle solite frasi di benvenuto una scritta riporta
testualmente: “ il carattere influenza e modifica il destino”.
Arriverò
a Basaseachic a notte, intirizzito dal freddo che si è fatto pungente dato che
ho guidato costantemente oltre i 2000m. Da qui la sierra Tarahumara continuerà
la sua scalata altimetrica. E le strade….. non so come sia possibile ma continuano
a migliorare. Se esistesse, direi che ci stiamo avvicinando alla perfezione.
Pernotto a Creel, centro di servizi e fermata del famoso percorso ferroviario
della Barranca del Cobre e da qui parto per Batopilas, nel fondo del Canyon. I
primi 80km, solite cose: asfalto, paesaggi, strade pazzesche. Poi il bivio.
Inizia subito lo sterrato. Stanno lavorando per ampliare ed asfaltare la
carreggiata. Prima deviazione dopo neanche 500m, picchiata in una valle
laterale e 4 guadi, dove nell’attraversamento del più lungo per poco non mi
incarto. Ritorno sulla principale ma i primi 15km sono davvero complicati: i
lavori rendono la pista una vera schifezza. Le cose migliorano un po’ fino al
25mo km. La strada inizia a scendere leggermente ed a un tratto…............................................
............il baratro.
Il navigatore marca 1805m, una vista pazzesca si apre sul fondo del canyon dove
scorre un fiume verde smeraldo, con la strada che cerca di scendere nel
precipizio il più rapidamente possibile. Da qui si vede praticamente tutta,
davvero fenomenale. Alla fine tra soste, foto, rallentamenti percorrerò i 65km
in più di 3 ore e mezza, raggiungendo Batopilas, 567m, sonnolento villaggio
dell’800, un tempo sede di miniere d’argento e cercatori d’oro. Il cuore della
regione dei canyon, un altro posto magico e splendidamente appartato che questo
Messico poco conosciuto sa regalare ai suoi visitatori.
La
sera sarò a cena a casa di donna Carolina, che invita i suoi avventori
direttamente in una della sale di casa sua.
La
mattina dopo, colazione, un po’ di contemplazione del fiume dal balcone
dell’albergo di Juanita, una passeggiatina per la piazza ed alla fine partenza.
Tanto ormai a foto sono a posto e dovrei
sbrigarmela in un baleno.
Il problema è che invertendo il senso di marcia
cambiano anche angolazioni e prospettive. Alla fine tra soste, foto,
rallentamenti percorrerò (!!!) i 65km nelle solite 3 ore e mezza, ma superando
assai più brillantemente il guado malefico dell’andata. Primo pomeriggio sono
su asfalto e punto decisamente su Ghachochi. La strada continua ad essere incredibilmente
stratosferica. Alle 15.30 indosso l’imbottitura della Rallye 2. Qualche decina
di km e infilo i guanti, lo so ho la brutta abitudine di guidare senza. Ma c’è
qualcosa che non và. Il freddo aumenta e sono costretto a fermarmi per tirar
fuori anche la giacca termica. Neanche vicino Ensenada quando ho beccato un po’
di nevischio o percorrendo gli stati di Chihuaua e Sonora vicino il confine con
gli Stati Uniti, ho trovato queste temperature!!
Sarà freddo, freddissimo, con
la strada, bellissima, ma che rimane costantemente sopra i 2000m. Valli
colorate, canyon con la vista che spazia a perdita d’occhio, ma a questo punto
penso solo ad arrivare. Le gambe congelate, batto i denti nel casco e quando
per l’ennesima volta il navigatore mi segnale di essere ancora oltre i 2600m, i
miei pensieri diventano quelli di un camionista sboccato e triviale. Arriverò
ad Hidalgo de Parral, famosa perché qui nel 1923 uccisero l’eroe nazionale
Francisco “Pancho” Villa letteralmente congelato. La gente passeggia con i
paraorecchi, sembra di essere sulle Dolomiti. Un frente frio sta spingendo aria
artica dal nord, dove in Texas sta nevicando!!!
Espinazo
del Diablo, questo il nome del fantastico tratto di strada, circa 270km, che
congiunge Durango con Mazatlan. Il tratto in particolare tra El Salto a Copala
è stato eletto dal sottoscritto come il migliore di tutto il tragitto, una
scelta difficile ma sicuramente meritata. Qui niente viene lasciato al caso:
asfalto perfetto, sequenze di curve da raccordare armoniosamente, il tutto
contornato da un paesaggio davvero straordinario, con la vista che spazia a
360°, per non parlare del momento in cui, ancora ad oltre 2200m, si inizia a
scorgere in lontananza l’oceano!!!
Non
so perché ma ormai ogni volta che arrivo a fine raid, una specie di ansia
apatica e svogliata mi assale. La macchina fotografica rimane sempre più spesso
nella borsa da serbatoio e le giornate diventano dei trasferimenti fatti di ore
di guida a quello che è il punto di arrivo della giornata. Ed anche questa
volta sarà lo stesso. Sono stanco e decido di fermarmi qualche giorno in alcune
delle spiagge che disegnano scenograficamente questa parte della costa pacifica
messicana: San Blas, San Patricio Melaque, Cuyatlan. Ormai mancano pochi giorni
e gli appuntamenti presi a Città del Messico con un paio di riviste del
settore, non mi lasciano molte scelte. Comunque decido di entrare in ferie
fotografica ma di non alterare l’itinerario. Sarà costa, seguendo la Mexico 200
fino a Playa Azul, poi all’interno per la 37 fino a Nueva Italia e da qui la 120
per Patzcuaro. Decine, centinaia, migliaia di curve con un traffico
inesistente. Un giorno pieno, arriverò a fine tappa stremato con quasi 700km
sul groppone, di cui pochissimi rettilinei, non più di 50, credo. La zona di
Patzcuaro sul lago omonimo è un'altra chicca che obiettivamente meriterebbe
molte più attenzioni. L’indomani invece sarà ancora abbuffata di curve per
arrivare in serata nella capitale. 2 giorni, 1231km, tantissime curve, sono
appagato, leggermente stanco ma ormai siamo agli sgoccioli.
Real de Catorce
“Li voglio vivi o morti!” disse il marchese Cadereyta, sedicesimo vice re della Nuova Spagna. E così i 14 morirono. Erano dei rapinatori che assaltavano i carri che trasportavano l’argento. Il posto cominciò così ad essere chiamato “il luogo dove ammazzarono i 14”. Nel 1639 il marchese fece fondare lì Real de Minas de Nuestra Senora de la Limpia Conception de Guadalupe de los Alamos de Catorce”, nome alquanto articolato e che ha subito qualche inevitabile trasformazione e amputazione. Ai tempi si denominavano Real i villaggi dove avevi miniere, in particolare d’argento e Senora de la Limpia Conception de Guadalupe era la manifestazione della profonda fede religiosa della Spagna conquistatrice. Ma le leggende sopra l’origine del nome sono molteplici, come che si trattava di 14 sacerdoti, o di 14 soldati impiccati dagli indigeni, o di 14 viandanti che si accamparono lì e la mattina dopo scoprirono che il fuoco aveva incendiato una lastra di argento. Se el real de minas data 1639, il villaggio fu fondato nel 1779, dopo che un cavaliere che cercava il suo cavallo scomparso nella sierra, aveva trovato per caso, la prima vena di argento. Buona parte della storia del villaggio dipende dalla tradizione orale dato che nel 1744 gli indiani Lakota incendiarono il paese ed i suoi archivi. Secondo lo studioso Alexander von Humbolt nel 1804, Real de Catorce era al secondo posto nella produzione di argento del paese ed il primo dove nel 1822 si utilizzo una macchina a vapore ed il primo del Messico dove arrivò l’energia elettrica. Nel momento di massimo splendore arrivò a 16000 abitanti. Un pesante crollo dei prezzi dei metalli all’inizio del secolo passato provocarono un massiccio esodo ed oggi la popolazione ammonta a circa 1500 residenti.
Hai altri villaggi minerari che cominciano con un tunnel, ma però questo sembra avere una dimensione mistica e la siua entrata non poteva essere altro che una galleria, chiamata dell’Ogarrio, costruito da Vicente Ogarrio, patrocinato dal conte de la Maza, inaugurato nel 1902 con i lavori iniziati 36 anni prima. Per costruirlo, fu utilizzata per la prima volta in Messico la dinamite ed è illuminato per tutti i suoi 2279m. Angusto, permette solo la circolazione a senso alternato ma può essere attraversato a piedi. Al suo interno, a circa metà del percorso è scavata una piccola grotta con una immagine della Vergine, davanti alla quale si inchinavano pregare i minatori. All’uscita del tunnel Real de Catorce esplode come una bomba, con il sole o la luna che brillano nelle sue vie acciottolate. L’atmosfera è diafana.
“l’aria limpida e la bellezza della vista e la luce non usata” dirà Fray Luis de Leon in una delle sue poesie. Una sensazione mistica che circonda l’ambiente.
Gringos
L'origine della parola risale
al 1846, al tempo della guerra tra Stati Uniti e Messico.
Le truppe nord americane si
lanciavano all'assalto cantando "green grows the grass" compresa dai
messicani come "gringos the
grass".
Da allora il termine, che non è affatto un complimento, è rimasto nel gergo comune
e sta ad indicare forme di turismo, rapporti economici e soprattutto
atteggiamenti sociali che nulla hanno a che vedere con il rispetto e la
comprensione dei luoghi e delle persone.
Francesco “Pancho” Villa
Passato
alla storia come l’eroe della rivoluzione messicana, per buona parte della sua
vita Francesco “Pancho” Villa,
fu
un ladro dedito più ai furti ed alle belle donne che alle nobili cause. Gli
anni in cui visse da fuorilegge sono oscurati da affermazioni contraddittorie,
mezze verità e vere e proprie menzogne.molti anni dopo le sue imprese da
fuorilegge, Villa acquistò una casa a Chihuahua. La primavera dello stesso
anno, il governatore delle stato, Abraham Gonzalez, iniziò a reclutare uomini
per strappare il Messico a Porfirio Diaz ai quali si aggregò il futuro eroe
nazionale. Gonzalez conosceva il suo passato ma sapeva che aveva bisogno di
uomini come lui; leader naturali e buoni combattenti. Così “Pancho” Villa si
diede nuovamente alle ruberie, anche se per una nobile causa, la riforma agraria.
Quando alla testa dei ribelli. nel maggio 1911, conquistò Ciudad Juarez , Diaz
rassegnò le dimissioni, 6 mesi più tardi
gli successe Francisco Madero.
Anche
questi però non ebbe vita facile ed agli inizi del 1913 venne deposto da uno
dei suoi generali, Victoriano Huerta e quindi giustiziato.
“Pancho”
dapprima si rifugio oltre confine ad El Paso, poi rientro nel paese per opporsi
al dittatore. In brevissimo tempo radunò un esercito di migliaia di uomini,
chiamato la Division del Norte, e conquistò per la seconda volta Ciudad Juarez
e tutto lo stato di Chihuahua. La vittoria che conseguì l’anno dopo a
Zacatecas, è considerata uno dei suoi capolavori militari, che costrinse Huerta
a dimettersi, nel luglio 1914. le forze rivoluzionarie si spaccarono in 2
fronti: i liberali Vetustano Carranza ed Alvaro Obregon da un a parte ed i più
radicali Villa e ed Emiliano Zapata
dall’altra. Villa fu sconfitto da Obregon nella grande battaglia di Celaya nel
1915. Nel luglio del 1920, Villa firmò un trattato di pace con Adolfo de La
Huerta, scelto 2 mesi prima come presidente provvisorio, impegnandosi a deporre
le armi e ritirarsi in un hacienda, chiamata Canutillo , 80km a sud di Parral,
costata al governo 630000 pesos. Villa ricevette inoltre 35926 pesos per pagare
gli stipendi ai suoi soldati ed altro denaro per acquistare attrezzi agricoli,
coprire varie spese personali, tra cui alcune guardie del corpo ed aiutare
economicamente vedove ed orfani della Divisione del Norte.
Nei
3 anni successivi, “Pancho” condusse una vita relativamente tranquilla.
Acquistò un albergo a Parral e cominciò ad assistere regolarmente ai
combattimenti di galli, sistemò alcune delle sue tante mogli. Una vita
abbastanza tranquilla fino al 20 luglio 1923, quando otto killer crivellarono
di colpi la sua Dodge che si apprestava a lasciare Parrai uccidendo il leader
rivoluzionario e 4 delle 6 persone che viaggiavano con lui.