Appunti di viaggio dal sud del mondo. Esperienza unica ed indimenticabile, guidando dai confini settentrionali argentini, fino giù in Terra del Fuoco, dove termina la ruta 3, e probabilmente anche il mondo.
“Esta tiene ruta”. Il commento di Guillermo, ispettore doganale, alla vista della moto di Carlo è perentorio; ed infatti, la sua, collage eclettico di più moto incidentate, sintomo di un innato talento in materia, paragonata alla mia Transalp di appena 2 anni e mezzo di vita, senza un graffio, e con appena 1400 km. indicati sul contachilometri, non lasciano adito a repliche.
Carlo, regolando la manopola dell’acceleratore della mia moto, appena smontata dalla cassa, che l’ha trasportata dall’Italia al porto di Buenos Aires, per poi essere trasferita, insieme a quella contenente la pseudo esperta di chilometri, al deposito Megaton, per la modica cifra di 550 $ (un vero e proprio furto, considerando che stiamo parlando di circa una ventina di chilometri), mi sorride sapendo che a questa miseria chilomertrica, andrebbe aggiunta la sesta cifra (non presente nei contachilometri dei modelli giapponesi), che porterebbe il computo totale ad un bel 101.400, fatto di viaggi in nord Africa, Islanda, deserti Lapponi, un’isola di Man, e giusto per non stare troppo stretti, anche un paio di radunucci invernali, quali Pinguino ed Elefanti, più varie cosette in Italia.
Gli rispondo con lo sguardo complice di chi non deve spiegazioni, ma la mia mente vola ad un’altra moto che di ruta nelle ruote ne teneva, eccome, la famosa Poderosa 2 del dott. Granado, e dell’allora giovane laureando in medicina Ernesto Guevara, detto il Che.
“Speriamo bene” penso fra me e me, visti gli esiti di quel viaggio, conclusosi con trasferimenti in camion e battelli fluviali, causa il prematuro decesso del mezzo di trasporto.
Ma non finisco di archiviare i miei pensieri, che, ripartendo dal primo pieno di carburante nel continente australe, un’agghiacciante rumore, simile allo scoppio di un petardo, no di più, direi quasi una bomba, mi fa girare indietro per notare quella che d’ora in poi chiameremo per comodità, la Poderosa 3 (non ce ne voglia Alberto Granado) letteralmente schiacciata sull’ammortizzatore posteriore, come se seduto sulla sella non ci fosse una normale persona di una settantina di kg., bensì un lottatore di sumo.
Il problema, manco a dirlo, è poi stato risolto con la solita bravura e rapidità (ma chi conosce Carlo sa bene che non sto affatto esagerando). Comunque, non ho avuto il coraggio di informarlo sulla qualità dei miei pensieri, conoscendo quanto sia superstizioso.
A parte gli scherzi, la nostra esperienza sud Americana, comincia dopo non pochi patemi, di origine burocratica, qualche infortunio tecnico e dopo esserci resi conto di quello che ci aspetterà in termini di distanze chilometriche: ” Perché non andate a trovare Antonio a Pinamar, qui vicino a Baires? (uno sputo a vederlo sulla cartina stradale) ” ci suggerisce donna Dora.
Bene, l’asado del sabato sera, valeva da solo la gita fuori porta, ma, porca puttana, 440 km., e solo andata!!!!Minchia!!
Decidiamo così, nonostante 2 mesi effettivi o quasi a disposizione, di darci letteralmente una mossa, visto che l’itinerario, partito come una semplice Terra del Fuoco (sogno di molti, ma niente di più sbagliato da consigliare, per i motivi che illustreremo più avanti), è andato via via ampliandosi, fino ad abbracciare i confini argentini dall’estremo nord, e tutta la Cordigliera, viaggiando verso sud, che è sicuramente, secondo il mio modesto parere, la parte più interessante dell’itinerario.
I problemi da affrontare, manco a dirlo, sono innumerevoli, e li andremo ad affrontare un po’ alla volta. Innanzi tutto, toglietevi dalla testa, di poter ripercorrere lo stesso itinerario, ma con meno tempo a disposizione, e non per i 17000 km. abbondanti percorsi, ma perché le condizioni di guida, e meteorologiche, saranno così diverse da una parte all’altra dei 2 stati attraversati, da complicarvi e non poco la vita: caldo con percentuali di umidità terrificanti al nord, piogge assai frequenti nella parte meridionale del Cile, e venti spesso di una violenza inaudita in Patagonia ed in Terra del Fuoco.
Noi, abbiamo deciso di includere le cascate di Iguazu, e gli altipiani ai confini boliviani, solo in un secondo momento. Perché? Il caldo, e con un abbigliamento patagonico, non è stato uno scherzo, con punte di 45° ed un’umidità vicina all’80 per cento. Ma credetemi, solo la cataratta può valere qualche piccolo sacrificio, ed un trasferimento di 1400 km.
Tutti in un colpo? No, certamente, diciamo 3 giorni, con sosta nel Parque el Palmar e nella zona delle missioni, nello stato omonimo.
Il parco, primo di una lunga serie ad essere visitato, è una di quelle chicche che a volte vengono scoperte per caso.
Siamo nello stato di Entre Rios chiuso fra il rio Uruguay ed il Paranà, piatto, caldo, con questa terra rossa, ed improvvisamente ti ritrovi a guidare in una foresta di migliaia di palme. Il luogo è ancora più meritevole di visita, perché le possibilità di avvistare la fauna locale, sono molto alte: cormorani, cicogne, aironi, picchi, martin pescatori, volpi, cinghiali, procioni, e il carpincho o capibara.
Che cazzo è, direte voi: bene è un roditore, che può arrivare a pesare anche 60 kg(!!!!); avvertite preventivamente le vostre compagne, è innocuo, ma di fatto stiamo parlando di un topone più grande di un cane, e vederselo passeggiare vicino la tenda potrebbe scatenare qualche isterismo. Anche i rospi, grandi come scarpe, che si incontrano dopo il tramonto nei bagni del campeggio, sono innocui. A parte questo il posto è davvero spettacolare.
Per le missioni gesuite, la scelta spetta a voi, noi abbiamo optato per la più grande e famosa San Ignacio Minì, dove sono state girate anche alcune scene del film “ Mission”. Ma le possibilità, sono illimitate, se ne contano una trentina, anche se ovviamente alcune sono state restaurate ed altre invece, sono solo dei ruderi persi nella foresta.
Dopo lo spettacolo delle cataratte di Iguazu, talmente belle da far apparire quelle del Niagara come qualcosa di ridicolmente misero, il trasferimento verso ovest ai confini con gli altipiani boliviani, è stata la parte più difficile e faticosa del viaggio, soprattutto psicologicamente.
1450 km. di caldo opprimente, con un’umidità folle, e questo Chaco da attraversare; per avere un’idea, basti pensare che la metà occidentale della provincia, praticamente priva di strade, è comunemente nota come “El Impenetrabile”.
Noi dal canto nostro, siamo riusciti nonostante abbiamo attraversato la parte penetrabile dello stato, sulla ruta 16, uno sterminato rettilineo, dove, guidando, abbiamo sonnecchiato quasi tutto il tempo, persino a sbagliare la strada.
Va bene, Carlo, scusa lo so, ero io davanti, ma che diamine è un lavoro di equipe o no?
Se doveste percorrerla, attenzione all’unica curva dopo circa 200 km, all’altezza di Avia Terai, poiché qui la strada misteriosamente diventa ruta 94, direzione Santiago dell’Estero.
Volete farvi 2 risate? Noi ce ne siamo accorti solo dopo una cinquantina di km., e perché avevamo deciso di dissetarci ad una stazione di servizio, e l’inserviente alla pompa, ancora prima di salutare, aveva esordito” Se andate a Salta, avete sbagliato strada”. Alla mia domanda di come facesse a sapere la nostra effettiva direzione, lui candidamente: ”Sbagliano tutti, tre giorni fa è toccato ad una coppia di tedeschi in macchina!”
L’avrei strangolato, stavo quasi per piangere, ma pazienza, attenzione, subito dopo la curva famosa, bisogna girare subito a destra, all’altezza del distributore di benzina, che è sulla sinistra, di fronte c’è un piccolo edificio cadente, e naturalmente nessun segnale.
Salta, bella città coloniale, probabilmente la meglio conservata di tutta l’Argentina, ci accoglie con un tempo gradevole, e soprattutto secco, abbiamo sempre più di 30°, ma dopo l’allenamento del Chaco, non avremo più problemi.
Praticamente da qui, comincia la nostra discesa verso sud che, con numerose deviazioni, ci ha portato ad attraversare diverse volte il confine cileno argentino, sempre basandoci su quelle che erano le maggiori attrattive paesaggistiche che i 2 paesi potevano offrirci.
Il primo attraversamento è avvenuto sulla ruta 7, da Puente del Inca, ma non andiamo troppo di fretta.
Costeggiando le Ande credo che sia assolutamente necessario considerare nell’itinerario, a parte gli altipiani andini al confine con la Bolivia, la Quebrada di Cafajate; la Questa di Miranda, che la guida definiva, con le sue 800 curve, come una delle più spettacolari delle Ande settentrionali. Qui sono costretto ad aprire un capitolo a parte: noi in tutta sincerità, abbiamo visto solo le curve (non so se sono veramente 800, ma ci avviciniamo molto, ed in una sessantina di km. scarsi, è un bel record) a causa di una fottutissima nuvola che ci ha accompagnato per tutta la pista, che è in terra rossa, circondata da una vegetazione rigogliosissima. Potete immaginare il risultato cromatico, soprattutto col bel tempo? Se sarete più fortunati, meteorologicamente parlando, per favore fatemi sapere.
Poi il Parque Provincial Talampaya, e, questo è assolutamente da vedere, altrimenti vi frusto, il Parque Provincial Ishigualasto, o comunemente chiamato Valle della Luna.
In questa valle, chiusa da 2 catene di montagne di origine sedimentaria, una volta attraversato dal rio Ishigualasto, praticamente prosciugato, si sono create grazie ai venti ed alla erosione delle acque le forme più particolari ed assurde, scolpite nell’argilla nell’arenaria rossa, e nella cenere vulcanica.
Noi abbiamo avuto la fortuna di poter percorrere in moto la pista al suo interno, dato che Fernando e Natalia con la loro macchina trasportavano uno dei ranger, senza i quali la visita è vietata, e poter trascorrere l’ultimo dell’anno nel parco. A parte la giovane coppia di Baires, conosciuti poche ore prima, a questo veglione del tutto particolare eravamo in 9. Niente fuochi d’artificio, ma una stellata da togliere il respiro!
Una volta giunti a Mendoza, 2 possibilità si offrono al viaggiatore, per attraversare il punto di confine nei pressi di Puente del Inca: o percorrere la ruta 7 fino a Uspallata, o seguire il ben più tortuoso percorso lungo la 52, las caracoles de Villavicencio.
Cosa consigli?, chiederete voi.
Bene, las caracoles, sono veramente spettacolari, soprattutto se si ridiscende verso Mendoza, quindi l’idea sarebbe di perdere un giorno in più (come noi, d’altronde), seguendo un itinerario circolare in senso orario, con base di partenza e di arrivo in Mendoza, approfittando della sua giustificata fama di zona ad alta produzione vinicola.
Se invece il tempo sarà tiranno con voi, andate pure per la 7, tanto le maggiori attrazioni, Puente del Inca, il Parque Provincial Aconcagua, il vecchio passo del Cristo Redentor, le troverete dopo Uspallata.
Una volta in Cile, dopo la sosta di Concon, dove la brava Veronica, ha pensato bene di investire la mia moto con la sua macchina uscendo dal parcheggio del ristorante, ci siamo diretti assai rapidamente verso sud, fino all’altezza dei parchi argentini, secondo punto d’attraversamento del confine.
E la moto? Innanzi tutto, a parte notare la dolcezza e la simpatia delle cilene, ci siamo resi conto di come l’avere pagato 70 $ di assicurazione, sia stata una spesa del tutto inutile: pochi hanno l’assicurazione valida, e praticamente il problema viene sempre risolto trattando od addirittura litigando. Non è stato il nostro caso, dato che il giorno dopo, un amico meccanico della Veronica, armato di martello, dovevate sentire che colpi, bastone e filo di ferro, ha riparato il rack, il baule di alluminio, ed il manubrio, ma ci è capitato di assistere da spettatori a discussioni trasformatesi in risse per un banale incidente stradale, e non sto scherzando.
E la poderosa 3? Dopo il problemino iniziale, e qualche giustificabile incertezza per arrivare al Cristo Redentor, ma stiamo pur sempre parlando di un passo a 4200 metri di altitudine, che nonostante sia ormai chiuso dal lato cileno è assolutamente da raggiungere, ha preso a marciare con regolarità e costanza. Che le mie previsioni fossero sbagliate?
Comunque, una volta arrivati a Villarica, nell’omonimo parco, l’Argentina, con i suoi 4 parchi nazionali, ci accoglie nuovamente tra le sue braccia.
La maggiore attrazione della zona sono il Parque Nahuel Huapi, con il suo camino dei siete lagos , e la rinomata San Carlos de Bariloche. Sicuramente bellissimi, ma sono anche i più sfruttati turisticamente, cosa che contribuisce sicuramente a diminuire il fascino del luogo, oltre che a mangiare una quantità industriale di polvere lungo la ruta 234, sterrata, trafficatissima, persino da autobus carichi di turisti. Attraversatelo semplicemente, e rivolgete le vostre attenzioni leggermente più a nord, nel Parque Nacional Lanin. Laghi incontaminati, assenza quasi assoluta di afflusso turistico, e siamo davvero vicini ai famosi 7 laghi, e strade sterrate facilmente percorribili. Le abbiamo percorse quasi tutte, arrivando dal passo di Mamuil Malai, dominato dal vulcano Lanin, che si snoda in una foresta di araucarie, un curioso albero dalle stranissime foglie appartenente alla famiglia delle conifere.
E, finalmente, dopo aver attraversato anche il Parco lago Puelo ed il Parque Los Alerces (bello ma non acquistate l’escursione a El Alerzal, un bosco dove regna l’alerce o cipresso della Patagonia, paragonato, con estremo ottimismo dalla nostra guida, alla sequoia gigante del nord America, ed offerta a 35 $, un vero furto anche per 10$), e circa 9000km. percorsi, la Patagonia è lì, ad attenderci piatta, sterminata, ventosa, con questo cielo nascosto da nuvole lontane che sembrano sfiorare terra.
Tanti ne sono stati attratti, altri ci si sono stabiliti, altri ancora ne hanno scritto. Lo stesso Darwin si chiedeva perché continuasse ad essere attratto da un posto che poteva essere descritto solo utilizzando notizie negative: senza acqua, senza case, senza alberi, senza montagne. La sua risposta era che simili terre lasciano libero sfogo all’immaginazione. Come contraddirlo?
Affascinante direte voi, ma purtroppo c’è anche la ruta 40, e con lei le sue pietre grandi come palline da tennis.
La percorriamo per circa 500 km., fortunatamente non tutti sterrati, prima di rientrare in Cile, poiché l’itinerario prevede di risalire al nord (sì, avete capito bene, torniamo indietro, anche se non per la stessa strada), verso l’isola di Chiloe, lungo il camino Austral.
Arriviamo al confine di Balmaceda con un sole fortissimo che quasi ci acceca, preludio di un tramonto con i controcazzi. E’ stata una giornata lunghissima, bellissima, ma Coihaique, unico punto dove è possibile trovare un letto, dista ancora 70 km., e con 2 dogane da attraversare.
Ormai abbiamo abbastanza pratica con i vari documenti (fra l’altro riusciamo anche a non usare i carnet de passage en douane), ma siamo, io in particolare, abbastanza affamati (vabbè, stavolta la colpa me la prendo io!).
Cerchiamo di essere il più rapidi possibile (inutile dire che siamo gli unici in frontiera), dato che la nostra meta finale della giornata è famosa per la qualità dei suoi ristoranti di pesce.
Lato argentino, tutto regolare, “ dai Carlo che ho fame”, già mi vedo seduto davanti ad un piatto di mariscos frio.
L’addetta in dogana dal lato cileno, non so per quale motivo chiede il carnet, mostrandoci la copia appartenuta a qualche altro turista. Il marisco è ora diventato una corvina od un gronco (non sono ancora deciso) alla plancia. Perdiamo qualche minuto per evitare la rottura del carnet, ci timbrano i passaporti, e via di gran carriera. In altra sede vi spiegherò le problematiche inerenti i carnet, fatto sta che, dopo circa una ventina di km., veniamo fermati dai carabineros. La senora li ha avvertiti che abbiamo dimenticato un documento lungo. Rapido controllo, e siamo concordi nel dire, probabilmente offuscati dalla fame (mi vedo seduto sorseggiando un bel bicchiere di Sauvignon blanc, cantina Santa Elena), che la signora per qualche oscuro motivo è una collezionista di fogli timbrati dei vari automobil club internazionali dato che, pare, non manchi nessun documento “lungo” all’appello.
Salutiamo tutti, come al solito gentilissimi, e la serata al “el rey de los mariscos” è esattamente come ce la aspettavamo: antipasto, pesce ed un paio di bottiglie di vino, a circa 16000 £. Il minimo, dopo 3 giorni di campeggio, fra fornelli e fornellini vari!!
Unico particolare, il documento lungo, era niente altro che il mio libretto di circolazione, cosa di cui mi sono accorto appena 10 giorni dopo, all’ennesimo attraversamento di frontiere. Bravo il coglione! Risultato: contatti telefonici da tutta la Patagonia, e questa benedetta “papella larga” (avete mai notato quanto sia lungo un libretto di circolazione una volta aperto?), che comincia ad inseguirci invano da un punto di frontiera all’altro. La vera e propria caccia, si concluderà e senza spendere una lira per giunta, solamente a Buenos Aires, e grazie solo alla gentilezza dei vari funzionari che mi hanno così evitato di fare domanda di smarrimento, una volta rientrato in Italia, o dover ritornare sui miei passi per diverse centinaia di km.
E nei 10 giorni tra la perdita del documento e il rendersi conto di quanto io possa essere stupido? Sarò brevissimo: ruta 7, o Camino Longetudinal Austral, e traghetto attraverso i fiordi cileni, da Puerto Mont a Puerto Natales: 3 giorni di navigazione, ma prima di dire: “ che palle!”, considerate che lo scenario è soggettivamente superiore all’Inside Passage in Alaska, ai fiordi norvegesi ed anche a quelli neozelandesi, e che ci sono dei passaggi di una settantina di metri ed il traghetto è largo circa 50.
Noi, giusto per socializzare, ci siamo presentati all’imbarco, con una scorta di 12 confezioni in cartone di Gato Negro, uno splendido vino cileno (già conosciuto ed apprezzato nella precedente spedizione del 1998) con un rapporto qualità prezzo a dire poco incredibile.
Poi l’apoteosi, con la formazione di un gruppo ribattezzato da Jessica, sicuramente la più carina della nuova comitiva insieme a Tatiana, come “quelli del Puerto Eden” in onore dell’imbarcazione che ci ha ospitato, rimasto unito, anche nei 5 giorni seguiti allo sbarco.
Pensare di visitare l’estremo sud del continente americano, senza inserirci queste 2 perle (la strada ed il battello, non le ragazze, cosa avete capito!), è sicuramente una scelta poco saggia, anche perché così facendo, una volta sbarcati dal battello, sarete a 100km. dal blocco delle Torri del Paine, e relativamente vicini al ghiacciaio Perito Moreno (1 giorno), ed al blocco Cerro Torre- Fitz Roy. Certamente un modo positivo di vivere la Patagonia, che comunque vi farà soffrire con i suoi venti tanto forti da abbattere un asino (è un modo di dire assai comune da questa parti).
Da qui, l’arrivo in Terra del Fuoco, è poco più di una formalità, traghetto da Punta Arenas a Porvenir e, diamine, non è cambiato niente, e noi che chissà cosa ci aspettavamo! Pensare che fino al 1600 era considerata la parte estrema dello “sconosciuto continente antartico”, l’antiterra, come era stata postulata da Pitagora. Una specie di terra alla rovescia, coperta da un sole nero, dove la neve cadeva all’insù, gli alberi crescevano all’ingiù.
Anche dopo i viaggi di Magellano, non poco restio allo sbarco su questa terra desolata (come dargli torto, visto la sua fama), e la sua conseguente scoperta, questa regione agli estremi confini della terra, ha continuato ad esercitare un fascino irresistibile sui tanti che la hanno visitata.
Noi, nel nostro piccolo ci siamo limitati ad arrivare semplicemente dove la strada più australe del mondo, la ruta 3, va a terminare.
Ed ora? Che facciamo? Rimaniamo un giorno intero nel Parque Nacional Tierra del Fuego, decidendo di ritornare ad Ushuaia solo quando comincia a nevicare.
Via verso nord.
La parte atlantica dell’Argentina non offre grandi attrattive, basterà seguire la 3 fino a Buenos Aires. Vento, tanto vento. Vento da costringerci a guidare in un’allucinante curva rettilinea, che porterà a distruggere i pneumatici solo dal lato sinistro. Guidando in queste condizioni, ripenso alle esperienze raccontate dai numerosi ciclisti incontrati per strada, gente sbattuta con bicicletta e bagagli, a 20 metri di distanza come una foglia secca, o chi, dopo una giornata di sofferenze, costretto a sdraiarsi per terra in lacrime senza più forze per andare avanti. Bah, non lamentiamoci, che ci è andata ancora bene, senza essere mai caduti.
Ma aspettate, non penserete che sia già finita? Vabbè, le Ande ed in genere la parte cilene saranno forse più interessanti, ma Il Bosque Piedrificado e le riserve faunistiche nello stato del Chubut no, non potete assolutamente perdervele.
Il primo, appartiene ai monumenti naturali, gli unici spazi in Argentina, interamente protetti da qualsiasi tipo di sfruttamento commerciale. Niente alberghi, confiterias lungo i 50km. di sterrato che separano la ruta 3 dal parco, solo uno spartano campeggio dopo circa 20 km.
Noi ci siamo arrivati dopo una giornata veramente infame, e siamo stati ospitati da Gustavo, la guardia forestale, forse mosso a compassione dal nostro stato. La tecnica ha funzionato diverse volte nel corso del viaggio: arrivare sempre sul tardi, anche nei posti dove è vietato accamparsi, al resto penserà la rinomata ospitalità sud americana. Lo spettacolo, al mattino presto, di queste foreste fossilizzate nel policromo deserto vulcanico che le ospita è garantito. Tenete presente che i primi turisti non arrivano mai prima delle 10.
Per quanto riguarda le riserve faunistiche, ce ne sono 3, con la più grande, quella di Penisola Valdez, che è anche la più importante, che offre la possibilità di avvistare le balene nel periodo che va da Ottobre a Dicembre.
In questa sorta di paradiso noi abbiamo trascorso 4 giorni, alternando visite a soste in spiaggia, tranquillamente rilassati al sole. Era un po’ tardi per i cetacei, ma, credetemi, il posto è assolutissimamente degno di attenzione, con la possibilità di poter comunque avvistare pinguini, leoni ed elefanti di mare, foche, orche, e molti altri uccelli marini, il tutto in un contesto naturale straordinario.
Stesso discorso vale per la riserva Cabo dos Bahia, sicuramente preferibile a quella di Punta Tombo, più sfruttata turisticamente, meno affascinante, e inoltre più cara, 10$ contro 5$, inclusa la possibilità di accamparsi nonostante il solito divieto (aah, ci marciamo allora!!).
E questo è quanto: circa 17000 km., 2 mesi di viaggio, 14 parchi nazionali, 2 riserve faunistiche neanche una foratura, tutte e due le moto con i fanali spaccati da pietre malefiche nei quasi 4000 km. di sterrato percorsi ( sulla poderosa 3, la cosa non stona sicuramente, contribuendo ad aumentare il suo fascino di macinatrice di km., ma cazzo, la mia avrei intenzione di venderla!!!), tanta, tantissima gente conosciuta per strada.
I rimpianti cominciano ancora prima di rientrare a Baires.
Ma ecco intervenire Jessica e Daniel, che riescono ad organizzare una serata di addio per “los tanos” ed alla quale intervengono molti del gruppo del “Puerto Eden”, più gente che abbiamo conosciuto durante il nostro vagabondaggio sud americano, e che i 2 hanno pensato di avvertire e contattare telefonicamente.
Pazzesco! 15 persone, con Gachi giunta addirittura (ma non è la sola ad aver viaggiato per intervenire alla festa) da S.Martin De los Andes, fiesta per tutta la notte, e stavolta solo qualche bottiglia di vino. Non mi credete? Avete ragione, circa una ventina, ma in fin dei conti stiamo semplicemente parlando di numeri, o no.
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