SARDINIA
La Sardegna offre diverse entità
turistiche, che sono difficilmente riconducibili alla sola Costa Smeralda o
alla zona marittima del cagliaritano o alla forza dei rilievi che occupano i
quattro quinti della sua superficie. Ci sono anche 1800 km di coste, in buona
parte solitarie ed intatte, oltre alle zone dell’interno. Visitando la parte
occidentale e centrale dell’isola si andrà alla ricerca di questo solitario
patrimonio di silenzio, mare, rocce e di altro ancora.
Se qualcuno mi chiedesse quante
volte sono stato in Sardegna, sinceramente avrei difficoltà a dare una risposta
esatta. Sicuramente siamo più vicini alle 10 che alle 5, forse 9, sempre fuori
stagione.
Ed anche stavolta arrivando alla
fine di aprile, il tempo dà subito il meglio di se stesso riuscendo a
concederci una splendida visita della assai poco interessante costa Smeralda ed
all’arcipelago della Maddalena.
Preferiamo la strada panoramica
che percorre il periplo della Maddalena, 20km davvero entusiasmanti alla visita
del Compendio Garibaldino, istituito dallo Stato nel 1978.
Nel tardo pomeriggio, siamo a
Capo Testa, promontorio dove regna il granito, e che prende colori surreali al
tramonto, collegato alla terraferma da uno stretto istmo.
Le strade sono bellissime ed il
gruppo in fila indiana procede verso la Valle della Luna da dove raggiungerà la
roccia dell’elefante, per le foto di rito percorrendo lo spettacolare tratto di
costa da isola Rossa. La luce è spettacolare e la statua naturale ben si presta
ad una foto ricordo.
Siamo vicinissimi al mare ed ecco
apparire Castelsardo, arroccato sul promontorio roccioso dalla cui sommità lo
sguardo si apre verso il golfo dell’Asinara.
Il tramonto è davvero
straordinario!! Che luci!!!
Il giorno dopo, a parte un certo
affaticamento dovuto agli stravizi della sera precedente, tutti i partecipanti
cominciano a rendersi conto che la fantasticità del manto stradale sarà una
splendida costante di tutto il viaggio. Eccezionale fino alla visita della
basilica della SS Trinità di Saccargia, il più bello esempio di stile romanico
dell’isola.
A Stintino la sosta pranzo
permette di godere appieno questo angolo caraibico: spiagge bianche e mare che
cambia dal celeste al verde con delle trasparenze inverosimili.
La Sardegna nonostante i suoi
quasi 2000km di coste, ha pochissime città che si affacciano direttamente sul
mare, ed Alghero è sicuramente quella che lo fa in maniera più suggestiva.
Ma la strada chiama per
l’avvicinamento a Bosa.
Tutti i segnali e la logica porterebbero
ad un rapido spostamento seguendo la panoramicissima litoranea, ma la tortuosa
Scala Piccada (ss292), letteralmente strada scavata col piccone, è una
tentazione troppo forte, alla quale è praticamente impossibile resistere. La
ss292, nel suo tratto iniziale, ha tutto il meglio che si possa offrire a chi
decide di percorrerla in moto: tortuosi tornanti e splendide curve con piena,
assoluta, appagante visuale; un asfalto stratosferico ed infine, una vista
strepitosa, con lo sguardo che spazia liberamente su Alghero, il suo golfo e,
in lontananza, sulla possente, incombente sagoma di Capo Caccia.
Fra l’altro, proseguendo,
l’arrivo a Bosa avverrà dall’alto, con la sagoma dominante del castello dei
Malaspina che appare nelle ultime curve.
Siamo ormai al terzo giorno e ci
allontaniamo da Bosa e dalla costa, per una breve deviazione sulle solite stratosferiche
strade per visitare il nuraghe Losa, appena dopo Abbasanta. Il complesso è
senz’altro uno dei monumenti preistorici più importanti dell’isola e la visita
guidata molto esplicativa.
Riprendiamo percorrendo strade
secondarie ed a Torre Pittinurri il mare di Sardegna fa il suo ritorno in scena
per poi scomparire, coperto alla vista dalla penisola del Sinis, che ospita le
rovine di Tharros, fondata dai fenici nell’VIII secolo a.C. e splendidamente
ubicata a cavallo dell’affusolato promontorio di Capo San Marco.
Si prosegue per Oristano,
Arborea, e Marceddì, villaggio di pescatori sulla laguna omonima che verrà
attraversato su di uno stranissimo ponte edificato dai pescatori stessi,
permettendo di giungere in una delle zone più selvagge dell’isola, la costa
Verde.
Questo angolo poco conosciuto di
Sardegna si estende da marina di Arbus fino a Capo Pecora, ma la strada, quella
asfaltata, termina all’altezza del rio Piscinas, per lasciare spazio ad un
facile breve sterrato che guaderà il fiume in un paio di punti, per arrivare
allo spiazzo antistante le dune giganti ed un albergo che non a caso si chiama
“Le dune”. Che c’entra mai un albergo in una zona così selvaggia? La struttura
è stata dichiarata addirittura monumento nazionale.
Siamo nella zona dei villaggi
minerari di varie epoche, ormai abbandonati, ma oltremodo affascinanti:
Montevecchio, Ingurtosu, Fluminaggiore.
Ed una volta ad Arbus, via in
direzione sud, sulla ss126 una vera gioia per la guida. Ma il meglio arriva
dopo 20 km scarsi: dx per Burgerru altro cadavere da archeologia industriale,
che veniva utilizzato come enorme officina di frantumazione di minerali.
Premetto che la guida riferendosi
alla strada, cita “consente scorci paesaggistici tra i più belli dell’isola”.
Ma non c’è visita in Sardegna che
non si rispetti, senza includere il Gennargentu e l’ultima tappa è
probabilmente la più spettacolare con un punto di arrivo all’altezza della
giornata. Le sorgenti Sugologone ospitano anche un albergo con un ristorante
fra i migliori dell’isola. Siamo nel Supramonte, un enorme sperone dolomitico,
ma abbiamo anche attraversato la Barbagia, il cuore fiero e pulsante della
Sardegna.
Il miglior ristorante dell’isola
si rivelerà il luogo del porcetto che qui viene cucinato a vista con l’ausilio
di enormi camini. Allegria, vino a fiumi ed il solito finale a base di grappe.
Siamo alla fine e bisogna pur
festeggiare.
Il giorno dopo sarà relax
completo, prima con la visita alle grotte del Bue Marino, poi alle cantine
della cooperativa di Oliena, depositaria del Nepente, vino Cannonau di ottima
qualità.
Non resta che rientrare ad Olbia
per l’imbarco.
ARTE E CULTURA
Nuraghe deriverebbe da “nur”, termine usato nella lingua parlata sull’isola prima della conquista romana e che dovrebbe significare “mucchio di pietre cave, cavità” indicandone la struttura del monumento. Castelli di capi tribù, palazzi simbolo del potere aristocratico del clan, fortezze rifugio per gli anziani e la gente del villaggio, tombe-tempio degli eroi della tribù: qualsiasi cosa fossero, i nuraghi restano lì a testimoniare una civiltà unica ed originale. Il nuraghe Losa si articola in una torre centrale a due piani ed in un bastione trilobato a profilo concavo-convesso. Una cinta muraria dotata di due torri racchiude tanto il fortilizio quanto il villaggio di capanne circolari pertinenti la fase nuragica. Nell’area è allestito un piccolo “antiquarium”, dove sono esposti reperti che testimoniano la vita sul sito dell’età nuragica, sino alle ultime fasi della frequentazione in età romana ed alto medioevale.
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