31 ottobre 2012

SARDINIA


                                       

                      SARDINIA
La Sardegna offre diverse entità turistiche, che sono difficilmente riconducibili alla sola Costa Smeralda o alla zona marittima del cagliaritano o alla forza dei rilievi che occupano i quattro quinti della sua superficie. Ci sono anche 1800 km di coste, in buona parte solitarie ed intatte, oltre alle zone dell’interno. Visitando la parte occidentale e centrale dell’isola si andrà alla ricerca di questo solitario patrimonio di silenzio, mare, rocce e di altro ancora.


Se qualcuno mi chiedesse quante volte sono stato in Sardegna, sinceramente avrei difficoltà a dare una risposta esatta. Sicuramente siamo più vicini alle 10 che alle 5, forse 9, sempre fuori stagione.
Ed anche stavolta arrivando alla fine di aprile, il tempo dà subito il meglio di se stesso riuscendo a concederci una splendida visita della assai poco interessante costa Smeralda ed all’arcipelago della Maddalena.
Preferiamo la strada panoramica che percorre il periplo della Maddalena, 20km davvero entusiasmanti alla visita del Compendio Garibaldino, istituito dallo Stato nel 1978.
Nel tardo pomeriggio, siamo a Capo Testa, promontorio dove regna il granito, e che prende colori surreali al tramonto, collegato alla terraferma da uno stretto istmo.
Le strade sono bellissime ed il gruppo in fila indiana procede verso la Valle della Luna da dove raggiungerà la roccia dell’elefante, per le foto di rito percorrendo lo spettacolare tratto di costa da isola Rossa. La luce è spettacolare e la statua naturale ben si presta ad una foto ricordo.
Siamo vicinissimi al mare ed ecco apparire Castelsardo, arroccato sul promontorio roccioso dalla cui sommità lo sguardo si apre verso il golfo dell’Asinara.
Il tramonto è davvero straordinario!! Che luci!!!
Il giorno dopo, a parte un certo affaticamento dovuto agli stravizi della sera precedente, tutti i partecipanti cominciano a rendersi conto che la fantasticità del manto stradale sarà una splendida costante di tutto il viaggio. Eccezionale fino alla visita della basilica della SS Trinità di Saccargia, il più bello esempio di stile romanico dell’isola. 
A Stintino la sosta pranzo permette di godere appieno questo angolo caraibico: spiagge bianche e mare che cambia dal celeste al verde con delle trasparenze inverosimili.
La Sardegna nonostante i suoi quasi 2000km di coste, ha pochissime città che si affacciano direttamente sul mare, ed Alghero è sicuramente quella che lo fa in maniera più suggestiva.
Ma la strada chiama per l’avvicinamento a Bosa.
Tutti i segnali e la logica porterebbero ad un rapido spostamento seguendo la panoramicissima litoranea, ma la tortuosa Scala Piccada (ss292), letteralmente strada scavata col piccone, è una tentazione troppo forte, alla quale è praticamente impossibile resistere. La ss292, nel suo tratto iniziale, ha tutto il meglio che si possa offrire a chi decide di percorrerla in moto: tortuosi tornanti e splendide curve con piena, assoluta, appagante visuale; un asfalto stratosferico ed infine, una vista strepitosa, con lo sguardo che spazia liberamente su Alghero, il suo golfo e, in lontananza, sulla possente, incombente sagoma di Capo Caccia. 
Fra l’altro, proseguendo, l’arrivo a Bosa avverrà dall’alto, con la sagoma dominante del castello dei Malaspina che appare nelle ultime curve.
Siamo ormai al terzo giorno e ci allontaniamo da Bosa e dalla costa, per una breve deviazione sulle solite stratosferiche strade per visitare il nuraghe Losa, appena dopo Abbasanta. Il complesso è senz’altro uno dei monumenti preistorici più importanti dell’isola e la visita guidata molto esplicativa.
Riprendiamo percorrendo strade secondarie ed a Torre Pittinurri il mare di Sardegna fa il suo ritorno in scena per poi scomparire, coperto alla vista dalla penisola del Sinis, che ospita le rovine di Tharros, fondata dai fenici nell’VIII secolo a.C. e splendidamente ubicata a cavallo dell’affusolato promontorio di Capo San Marco. 
Si prosegue per Oristano, Arborea, e Marceddì, villaggio di pescatori sulla laguna omonima che verrà attraversato su di uno stranissimo ponte edificato dai pescatori stessi, permettendo di giungere in una delle zone più selvagge dell’isola, la costa Verde.
Questo angolo poco conosciuto di Sardegna si estende da marina di Arbus fino a Capo Pecora, ma la strada, quella asfaltata, termina all’altezza del rio Piscinas, per lasciare spazio ad un facile breve sterrato che guaderà il fiume in un paio di punti, per arrivare allo spiazzo antistante le dune giganti ed un albergo che non a caso si chiama “Le dune”. Che c’entra mai un albergo in una zona così selvaggia? La struttura è stata dichiarata addirittura monumento nazionale.
Siamo nella zona dei villaggi minerari di varie epoche, ormai abbandonati, ma oltremodo affascinanti: Montevecchio, Ingurtosu, Fluminaggiore. 
Ed una volta ad Arbus, via in direzione sud, sulla ss126 una vera gioia per la guida. Ma il meglio arriva dopo 20 km scarsi: dx per Burgerru altro cadavere da archeologia industriale, che veniva utilizzato come enorme officina di frantumazione di minerali.
Premetto che la guida riferendosi alla strada, cita “consente scorci paesaggistici tra i più belli dell’isola”.
Ma non c’è visita in Sardegna che non si rispetti, senza includere il Gennargentu e l’ultima tappa è probabilmente la più spettacolare con un punto di arrivo all’altezza della giornata. Le sorgenti Sugologone ospitano anche un albergo con un ristorante fra i migliori dell’isola. Siamo nel Supramonte, un enorme sperone dolomitico, ma abbiamo anche attraversato la Barbagia, il cuore fiero e pulsante della Sardegna.
Il miglior ristorante dell’isola si rivelerà il luogo del porcetto che qui viene cucinato a vista con l’ausilio di enormi camini. Allegria, vino a fiumi ed il solito finale a base di grappe.
Siamo alla fine e bisogna pur festeggiare.
Il giorno dopo sarà relax completo, prima con la visita alle grotte del Bue Marino, poi alle cantine della cooperativa di Oliena, depositaria del Nepente, vino Cannonau di ottima qualità.
Non resta che rientrare ad Olbia per l’imbarco.

ARTE E CULTURA
Il nuraghe “Losa” (in sardo la parola “losa” significa tomba) è certamente da annoverare tra i più importanti monumenti preistorici dell’isola. Esso rappresenta una tipologia complessa dei monumenti. Esso rappresenta una tipologia complessa dei monumenti della civiltà nuragica, durata quasi 1000 anni, dal 1500 al 500 a.C., ovvero della manifestazione più cospicua di una diversità sarda che ha sempre contraddistinto la civiltà e la storia dell’isola. Presenta 2 fasi costruttive principali, entrambe presumibilmente ascrivibili alla seconda metà del secondo millennio a.C. Nuraghe è, per definizione, una torre a forma di cono, costruita con file di grandi massi sovrapposti l’uno sull’altro, senza l’uso di malta cementizia e che può essere alta 4 o 5 m, ma a volte più di 10, larga alla base alcuni metri, quando l’edificio era monotorre, cioè costruito da un’unica struttura, ma più spesso articolata con bastioni, cortili, antemurali e torri minori. 
Nuraghe deriverebbe da “nur”, termine usato nella lingua parlata sull’isola prima della conquista romana e che dovrebbe significare “mucchio di pietre cave, cavità” indicandone la struttura del monumento. Castelli di capi tribù, palazzi simbolo del potere aristocratico del clan, fortezze rifugio per gli anziani e la gente del villaggio, tombe-tempio degli eroi della tribù: qualsiasi cosa fossero, i nuraghi restano lì a testimoniare una civiltà unica ed originale. Il nuraghe Losa si articola in una torre centrale a due piani ed in un bastione trilobato a profilo concavo-convesso. Una cinta muraria dotata di due torri racchiude tanto il fortilizio quanto il villaggio di capanne circolari pertinenti la fase nuragica. Nell’area è allestito un piccolo “antiquarium”, dove sono esposti reperti che testimoniano la vita sul sito dell’età nuragica, sino alle ultime fasi della frequentazione in età romana ed alto medioevale. 





                                        









 

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