Fianco a fianco, in sella al mezzo più aggregativo che esista, un sidecar, la moto non moto, cavalcando le colline della Sena Gallica. Uniti dal percorso, fianco a fianco, due dei più grandi cuochi italiani, Mauro Uliassi e Moreno Cedroni, tre stelle Michelin in due, raccontano la regione dove sono nati e che ha dato loro celebrità. In mezzo, la riviera del Conero, quattro zone vinicole e tante belle strade.
ITINERARIO- Senigallia, Ostra, Jesi, Osimo, Castelfidardo, Loreto, Numana, Badia di S. Pietro, S. Maria di Portonuovo, Ancona, Marzocca di Senigallia.
Testo di Francesco Beghi, foto di Giovanni Lamonica
Ci siamo! Inizia l’itinerario vero e proprio. Senigallia ha
quell’aspetto un po’ così delle cittadine balneari adriatiche fuori stagione.
Pochi alberghi aperti, spiaggia deserta, lungomare battuto da un vento
freddino, qualche podista che si prepara per la prova costume. Visitiamo la
Rocca Roveresca, struttura difensiva modificata e ampliata nel corso dei secoli
fin dall’epoca Romana. Concettualmente il viaggio parte da Mauro Uliassi, a
Senigallia centro, considerato più tradizionalista, e si conclude da Moreno
Cedroni, a Marzocca, frazione orientale di Senigallia, esaltato come
innovatore, passando per l’interno, per tre importanti zone vinicole e per il
Parco del Conero. In realtà scopriamo che ci stiamo muovendo controcorrente,
perché sia io sia Giovanni, con le gambe sotto il tavolo, abbiamo avuto la
sensazione contraria. Ma tant’è. I due signori non sono semplici chef, sono
artisti e gli artisti è sempre difficile forzarli in un’etichetta che
inevitabilmente non può che andar loro stretta.
Da Uliassi, affacciato sulla spiaggia, l’ambiente è nautico,
legno bianco come su una barca dal lusso discreto. Il menu degustazione è un
crescendo di emozioni con alcune punte sublimi. Non vogliamo approfondire più
di tanto il discorso, dato che questa non è una rivista di gastronomia, ma
piatti come scampo zen, sandwich di triglia, pecorino e verza, spaghetti
affumicati con vongole e pendolini arrostiti sono dei veri prodigi di
equilibrio, delicatezza e intensità allo stesso tempo. Scegliamo eccellente
vino bianco marchigiano e troviamo ricarichi più che corretti per un ristorante
di questo livello. Andiamo a nanna allegri e contenti: come potrebbe essere
altrimenti?
Mattino, il tempo è incerto. La strada che da Senigallia
sale verso Ostra non dice granché ma perlomeno serve a Giovanni per imparare a
guidare il sidecar nelle curve in pendenza senza ribaltarsi. Siamo nella zona
di produzione della Lacrima di Morro d’Alba, vino rosso sapido e sincero. Ostra
è uno dei tipici centri medievali dell’entroterra di Ancona, circondato da una
cinta muraria costruita a metà del XIV secolo; notevole il palazzo comunale
settecentesco. In pieno centro, girando a passo d’uomo, ho un incontro
ravvicinato con una bimba riccioluta in passeggino: i nostri occhi sono alla
stessa altezza, la bimba sgrana i suoi che dicono “ma guarda questo signore in
che razza di carrozzina se ne va in giro alla sua età!”.
Ebbene sì: il sidecar aggrega. Suscita interesse in grandi e
piccini, la gente si ferma a guardare, fa domande e osservazioni. Ne abbiamo
ulteriore conferma a Jesi, capitale del Verdicchio, raggiunta dopo un bel
tratto di strada panoramica che passa per Belvedere Ostrense con lo sguardo che
spazia fin verso l’Appennino al confine col nord dell’Umbria. Bello l’impianto
medievale del centro cittadino, con arcate e molto vicoli ciechi che servivano
per disorientare i nemici in caso d’invasione. Qui, in un bel palazzo del ’400,
ha sede l’Enoteca regionale delle Marche; superfluo dire che la sosta per
qualche assaggio – senza esagerare – è d’obbligo. Intanto il popolo fa
capannello intorno al sidecar parcheggiato, qualche anziano ricorda i bei tempi
quando veicoli del genere servivano per trasportare tutta la famiglia cane
incluso e anche per scopi molto meno nobili quali quelli bellici.
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Sopra Castelfidardo splendono gialli i prati di ginestre in
fiore e, visti i cartelli che indicano la strada per Recanati, il pensiero non
può non correre al Leopardi: “Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi i danni
altrui commiserando, al cielo di dolcissimo odor mandi un profumo, che il
deserto consola”, reminiscenze liceali circa un tipo che era tosto nonostante l’iconografia
delicata e romantica, dato che questo canto postumo più che un’ode alle
ginestre è un attacco neanche tanto velato contro i potenti. Siamo ormai nel
cuore della terza zona vinicola attraversata, quella del Rosso Conero. Poche
curve ed eccoci a Loreto, dominata dall’imponente Santuario della Madonna
omonima. Altro vantaggio del sidecar: alla fine si riesce ad andare ovunque e
le forze dell’ordine chiudono sempre un occhio, tant’è che riusciamo a
parcheggiare proprio di fronte all’ingresso del Santuario, tra madonnari e
baracchini che smerciano paccottiglia religiosa. Gli spalti di Loreto sono una
finestra spettacolare sull’Adriatico, l’aria salmastra arriva fin qui e sembra
quasi di sentire lo sciabordio delle onde in lontananza.
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Un elemento accomuna i due ristoranti: dall’esterno si
notano appena. Niente clamori, niente chiasso, niente effetti speciali. Dal
legno bianco di Uliassi si passa al cristallo e al metallo di Cedroni. La
Madonnina del Pescatore è anch’esso sul lungomare ma dalla parte della strada
verso l’interno, al piano terra di un’anonima palazzina. Vetro tutt’intorno e
look minimalista all’interno. Il vulcanico Moreno non è ancora arrivato – proprio
oggi ha riaperto per la stagione estiva il Clandestino, un sushi bar a poca
distanza da qui – ma le brigate di cucina e di sala sono ben addestrate e noi,
affamati e curiosi come non mai, cominciamo le danze. Citiamo solo due piatti
memorabili: l’anguilla cruda marinata, elemento finale di una portata storica
multipla chiamata sushi & susci, e la spigola di amo arrostita con purea di
patate al tartufo nero, melanzane e salsa alla birra scura, il cui sapore
abbagliante è persistito felice in bocca fino al giorno dopo. Anche qui optiamo
per eccellenti vini bianchi delle Marche.
Giunti a questo punto, con Giovanni che ormai guida il
sidecar come se ci fosse nato sopra, i 300 km del ritorno a Parma sono solo una
banale passeggiata in autostrada.