Mega strade, mega povertà, mega burocrazia, mega Centro America: un piccolo universo nel cuore del continente. Un viaggio, un mega viaggio, vero, dove le parole giustizia, benessere, democrazia, traslano rapidamente tra l’ironico ed il drammatico.
Paesi attraversati: Messico, Guatemala, Salvador, Honduras, Nicaragua, Costa Rica, Panama.
LUNGHEZZA- km 20.108
DURATA- 3 mesi
Arrivo
in Messico con la solita scusa di partecipare al tradizionale evento
organizzato dalla BMW per i suoi clienti. Pretesto che, anche quest anno mi
permetterà di trascorrere tre mesi alla scoperta di tutto il Centro America.
Città Del Messico, un mostro di circa 22 milioni di abitanti, un catalizzatore
di miseria per tanti che, attratti dal miraggio di una vita migliore, ogni
giorno arrivano nel D.F. (Districto Federal), come viene chiamata qui. Una
stima ufficiosa parla di 2.000 arrivi giornalieri.
Una megalopoli che racchiude in se gli aspetti migliori e quelli peggiori della
nazione. Una città di palazzi coloniali e tesori culturali famosi in tutto il
mondo, ma anche di una miseria davvero sconfortante, cresciuta e che continua a
crescere a dismisura, disordinatamente, intorno alla sua parte centrale.
Un labirinto di strade, Assi, viadotti, Eje come li
chiamano qui, che si intersecano fra di loro senza alcun senso logico
apparente. Davvero difficile orientarsi, anche i Gps, rapidamente, di fronte a
questo scombinato dedalo viario, vanno in crisi.
Della fantastica città, la mitica Tenochitlan, che si presentò nel 1519 agli occhi di Cortes, dall'alto del passo che ha preso il suo nome ubicato tra i vulcani Popocatepetl e Iztaccihuatl, edificata sugli isolotti di una laguna che fungeva da barriera naturale ad eventuali attacchi, non resta più niente.
Della fantastica città, la mitica Tenochitlan, che si presentò nel 1519 agli occhi di Cortes, dall'alto del passo che ha preso il suo nome ubicato tra i vulcani Popocatepetl e Iztaccihuatl, edificata sugli isolotti di una laguna che fungeva da barriera naturale ad eventuali attacchi, non resta più niente.
Il
mostro ha inghiottito tutto, poggiandosi pesantemente sulle paludi
preesistenti.
Inizia la lunga serie di visite archeologiche ancora prima di lasciare la
capitale.
Teotihuacan. Gigantesco.
A dimensione delle divinità che celebra: il sole e la
luna.
In lingua Nahuati dovrebbe significare “il luogo dove
sono nati gli dei” o “il luogo dove si diventa dei”. Cosa interessante, la radice “teo” ha lo
stesso significato di “dio” nella lingua greca.
Ennesimo
mistero di questa terra misteriosa!!
Le prime tre tappe sono dei veri e propri trasferimenti.
Il tempo che accompagna il gruppo è stranamente grigio,
nuvoloso, piatto, e rende ancora più noioso un paesaggio che a parte un bel
tratto di fuoristrada, immersi in una lussureggiante vegetazione tropicale, ci
consente di costeggiare belle spiagge e di fare conoscenza con le genti del
luogo. Qui, per lo meno, siamo davvero lontani
dalle più frequentate mete turistiche, fortunatamente. L'arrivo a Campeche,
oltre a sancire l'ingresso nello Yucatan, offre un salto di qualità nei punti
stabiliti come fine tappa. La città e bellissima, la sola del Messico a
possedere fortificazioni. Al suo interno le case sono dipinte in colori
pastello, decorate con ferro battuto. Sicuramente la mia preferita, per lo meno
fino all'arrivo in Chiapas. La leggenda dice che quando l'esploratore spagnolo
Francisco Hernandez de Cordoba, primo uomo bianco in terra messicana, sbarcò
nella penisola, nel 1517, domandando agli abitanti Maya, che incontrò come
chiamassero questa regione, questi risposero: “Yucatan”, che più o meno
significa: ”non ti capisco”.
Questa
penisola che si protende tra il golfo del Messico ed il mare dei Caraibi,
possiede le più belle spiagge del paese ed alcuni fra i più importanti siti
archeologici.
Della serie: non si può pretendere tutto, anche se alla
fine qualche “curvetta” qua e là, sarebbe bastata ad alleviare tanta tristezza
stradale.
La
sequenza dei siti e impressionante per importanza e bellezza: Uxmal, bella,
Chichen Itza, bellissima, Coban, interessante e sconosciuta alle masse, Tulum,
l'unica citta maya costruita in riva al mare. Siamo a 136km da Cancun,
sapientemente, saggiamente evitata dall'itinerario e dall’organizzazione, anche
se la sua influenza è purtroppo ben visibile. Pullman termitai, scaricano
sciami di turisti cavallette che nulla hanno di meglio da fare che spalmarsi al
sole sulle spiagge all'interno del sito.
Gringos: l'origine della parola risale al 1846, al tempo della guerra tra Stati
Uniti e Messico.
Le
truppe nord americane si lanciavano all'assalto cantando “green grows the
grass” compresa dai messicani come “gringos the grass”. Da allora il termine,
che non è affatto un complimento, è rimasto nel gergo comune e sta ad indicare
forme di turismo, rapporti economici e soprattutto atteggiamenti sociali che
nulla hanno a che vedere con il rispetto e la comprensione dei luoghi e delle
persone.
Sarà fuga, rapida, veloce, senza rimpianti per raggiungere l'ultimo sito
yucateca: Kounlich, con la sua piramide delle maschere, alta 14m.
Il Chiapas e situato nella parte più meridionale della nazione ed è una delle
più belle ed autentiche regioni del Messico, anche se sicuramente una delle più
povere.
Qui mancano il mar dei Caraibi ed i gringos, ma il gruppo pare non
accorgersene, anzi!
Strade montane bellissime: curve, migliaia di curve,
lunghissime, a volte sopraelevate ci accompagneranno per diversi giorni.
Il
nastro d'asfalto sale e domina panoramicamente un paesaggio fantastico che si
stende a perdita d'occhio, coperto da un cielo di un azzurro limpidissimo
solcato da nuvole di un candore abbagliante.
L'ultimo sito maya è probabilmente anche il più straordinario.
Palenque, letteralmente ”circondato dagli alberi”, é uno
dei siti più belli e meglio conservati.
Un tempio su ognuna delle piccole colline, con attorno la
foresta vergine. Fantastico!!
Ancora
più stupefacente se si considera che solo il 5% di tutto il complesso e stato
riportato alla luce. Ma la protagonista assoluta è, fortunatamente, ancora la
strada, che ci porterà prima alle cascate di Agua Azul, poi a San Cristobal de
las Casas.
Le prime sono un invito ad una breve sosta ed un bagno tonificante nelle sue
fresche acque turchesi a causa del colore delle pietre del fondale: più di 500
cascate con un'altezza variabile tra i 3 ed i 30m.
La seconda, oltre che punto d’arrivo della giornata, strappa a Campeche la
palma di città più interessante di questa prima parte del viaggio: antica,
suggestiva, tranquilla, rilassata.
Case coloniali ed un mercato frequentato da indigenos, vanno chiamati così, il
termine indios è offensivo, di razza Maya e Tzotziles.
Questi ultimi sono tra quelli che hanno meglio conservato la loro originalità
etnica.
Siamo ormai alla fine, nonostante gli ultimi, splendidi
200km che conducono ad Oxaca, (si pronuncia Uacaca), altra città coloniale
piena di fascino, molto più grande di San Cristobal.
Patria del metzcal, una delle bevande nazionali, offre un
altro sito assolutamente da non perdere: Monte Alban, un insieme di piramidi e
di tombe, città religiosa costruita dagli Zatopeche su una rupe a 9 km da
Oxaca, da cui si gode una vista mozzafiato.
Da qui solo 500 km alla meta, alla riconsegna dei mezzi
ed al rientro in Italia. Parlo del gruppo naturalmente!
L'autostrada, carissima, permette di arrivare rapidamente
tuffandosi nel caos di Mexico (viene chiamata anche così dai suoi abitanti). Il
sottoscritto invece, con un paio di equipaggi, decide di evitare il suo
traffico, percorrendo una strada solitaria più a sud, su un altopiano
desertico, punteggiato di cactus giganti, per arrivare quasi fuori tempo
massimo a Toluca, punto di riconsegna delle moto.
“quando vuoi partire?” Bernd Kraut, che suona poco
latino, responsabile post vendita per Bmw in Messico mi chiede quando voglio
partire!!! E’ il 12 gennaio. Sono rimasto solo da quasi una settimana, arrivato
nel paese da più di tre settimane e mi chiede quando voglio partire!!! Questo
paese m’incanta, non ho parole, sono estasiato. Voglio perdermi sugli altipiani
coperti da cactus giganti, percorrere la costa spingendomi a sud verso
l’equatore, salire su crateri vulcanici e invece no, bloccato ad aspettare
qualche ricambio e 2 accessori. Persino il responsabile dell’albergo dove
alloggio partecipa alle mie tribolazioni concedendomi un 10% di sconto sulle
tariffe applicate. E’ stata complicata: problemi in dogana per il ritiro
dell’equipaggio, attesa dei ricambi, una lentezza che viene prima
metabolizzata, poi compresa, infine giustificata. Sono ormai nell’ingranaggio.
Saranno al fine altri 5 giorni di attesa prima di poter intraprendere il
viaggio, quello vero.
La prima parte dell’itinerario è ormai pronta, da tempo.
Sono poche cose, pochi giorni per poi inventare, al momento, senza fretta o
pressioni. Apri il rubinetto e zac, l’itinerario scorre via, tranquillo. Una sensazione
ormai conosciuta ma che lascia un’inebriante, appagante senso di libertà.
I primi spunti vengono dati da Taxco, capitale
dell’argento e Zihuatanejo, conosciuta sulle pagine del libro di Stephen King
“stagioni diverse” da cui è stato tratto il film “Le ali della libertà”.
Taxco dipinta da guide e conoscenti come una delle città
coloniali più belle del Messico, si rivela a prima impressione, un po’
deludente: sporca, con un traffico infernale di maggioloni-taxi e remisos che
sfrecciano caoticamente per le ripide vie di questa cittadina incastonata alla
sua montagna.
Poi, con calma, concedendosi una passeggiata per le sue
erte stradine acciottolate, in debito di ossigeno, cominciano ad aprirsi scorci
suggestivi: qua una piazzetta, lì un vicolo, bei palazzi coloniali, senza
dimenticare il favoloso, piacevolmente ombroso Zocalo, dominato dalla
fantastica chiesa di Santa Prisca, datata 1578, un vero capolavoro dello stile
churriguerresco. Facciata barocca impressionante di pietra rosa e interno non
da meno con le pale dell’altare finemente scolpite e decorate.
Per raggiungere la costa decido di seguire le strade 51 e
134. Fino a Ciudad Altamirano, nonostante un tempo decisamente pessimo, tutto
procede liscio.
Il tempo peggiora ancora e sotto una pioggia torrenziale
percorrerò 200km che intuisco eccezionali per la qualità dei panorami ma con
una strada davvero infernale: buche, ghiaia, pietre, frane che invadono la
carreggiata, un vero disastro. Davvero allucinanti i frequenti cartelli che
segnalano il divieto assoluto di sorpassare in presenza della striscia
continua!! Io faccio fatica a vedere la strada che spesso scompare sotto un
infido ghiaino brufoloso!! 5 ore, con il simpatico interludio di 2 controlli
militari dettati più da una curiosità inquisitoria nei confronti di un mezzo
alquanto insolito per ammissione delle stesse persone che mi obbligano alla
sosta. Sarò sommerso di domande a raffica: a cosa serve il manometro, perché il
casco si apre così, quanti cilindri ha la moto, dove tengo i documenti ed il
passaporto, che viene trattato come qualcosa di prezioso e sconosciuto, cosa
porto nella maletta dx, poi in quella sx.
No, decisamente qui non passa molta gente, tanto meno in
moto!!
Arriverò a Zihuatanejo ormai a sera. La fantastica baia,
sogno realizzato di Tim Robbins, è ormai geneticamente corrotta, devastata
dall’influenza dei gringos: una colata di cemento! Ammirare la baia dalla
strada, una volta panoramica, che abbraccia amorevolmente questo piccolo golfo
è un sogno che appartiene al passato.
Il Messico, quello vero, autentico, chiama, ma Pie de la
Cuesta, Acapulco, la stessa Puerto Escondido sembra renderlo alquanto lontano,
appartenente ad un altro luogo, forse un altro paese, sicuramente un altro
tempo. Ci vorranno circa 1.000km per vedere che forse non tutto è perduto:
Puerto Angel, con le fantastiche spiagge di Zipolite, San Agustinillo e
Mazunte. Tutto fantastico, selvaggio, sicuramente spartano, molto spartano, ma
che mare!!
I giorni di viaggio possono essere immaginati
percorrendo, macinando senza esitazioni o indecisioni diverse centinaia di
chilometri oppure….decido di partire da Puerto Escondido la mattina. Sto
caricando la moto e conosco Antonio, messicano del Chiapas, trapiantato a New
Orleans, fuggito dal Messico per problemi politici della moglie; il padre,
professore universitario, ucciso dalle forze governative. In breve tempo cerca
di aggiornarmi sulla pestifera, cancerogena influenza statunitense sul centro America.
La sua scarsissima considerazione sul popolo americano, sui suoi governanti,
sulle sue decisioni politiche in campo internazionale, sul modo di imporre una
cultura che di fatto non ha niente di culturale per mancanza di contenuti,
concetti, rispetto, è resa ancora più aspra dalla consapevolezza di essere
ospite forzato proprio nel posto che meno ama. Ci salutiamo, sono quasi pronto,
il caldo sta aumentando ma Francois, canadese del Quebec, intavola, giustamente
è un surfista, una discussione su un suo viaggio con una Honda 250 con tavola
al seguito in Costa Rica.
Auguri di buon viaggio e per una buona stagione di onde e
sono per strada, ma non faccio neanche in tempo a lasciare la città. La sera
prima mi ero messo in testa di fare una foto all’immensa, enorme bandiera che
domina la baia. La luce è vincente ma il vessillo è all’interno di una base
militare. Passo, ci ripenso, torno indietro e chiedo il permesso di accesso con
il mezzo. Inizia l’infinito filtro burocratico militare per l’autorizzazione. Alla
fine mi ritrovo seduto con altre persone: due sono da più di 2 ore in attesa di
vedere i loro figli, 4 sono dei ragazzi venuti ad invitare i militari ad un
corso di computer. I due ragazzi mi tempestano di domande sul loro sport
preferito, mettendo a nudo le mie lacune in fatto di calcio. Le ragazze invece,
una delle quali davvero carina, sono più interessate, fortunatamente, alla
qualità del mio viaggio ed alle impressioni ed esperienze di queste prime 5
settimane in giro per il loro paese. Alla fine scambi d’indirizzi ma
naturalmente, niente foto, la zona è stata dichiarata off-limits per stampa
italiana con moto al seguito.
Puerto Angel con le sue spiagge limitrofe è la prossima
meta. Entro dal punto più a nord e percorro la costiera chiedendo qua e là per
sistemazioni e pasti. Zipolite viene definita la spiaggia più bella del
Messico, anche se credo le poco distanti San Agustinillo e Mazunte non abbiano
niente da invidiare. Arrivo nella via principale e davanti ad una taqueria vedo
una GS80 rossa, targata FI.
Scendo: “donde estas el dueno de la moto?”
L’unico avventore: “soy yo”
“e che cazzo ci fai qui?”
In meno di mezz’ora sono seduto al tavolo con 6 italiani.
Luca è qui da 18 anni, ha un ristorante e si è trasferito
con la famiglia. Sandro lavora vendendo prodotti artigianali, Marco invece in
un bar, gli altri stanno semplicemente svernando. Terminerò la giornata
spaparanzato al sole nella spiaggia di Mazunte. Meno di 90km!! E tutto in un
solo giorno! Proprio una percorrenza da raid!
L’ingresso in Guatemala sembra svolgersi senza
particolari problematiche ma spero continuiate la lettura per capire che forse
mi sbagliavo!!
Le strade guatemalteche ed i paesaggi che le avvolgono
possono essere descritte con diversi affascinanti aggettivi. Ma, uno su tutti,
credo, dona loro giusto merito: vertiginose.
Audaci nella loro realizzazione, stupendamente
panoramiche, si tuffano o si arrampicano per consentire in brevissimo tempo di
raggiungere la destinazione stabilita, sia essa il fondo di un’inaccessibile
valle o il cocuzzolo di un impervio passo.
Visiterò l’arcobaleno umano di Chichicastenago, la
splendida valle Ixil, il deludente lago di Atitlàn, la fantasticamente
coloniale Antigua, probabilmente la più bella tra le città viste insieme a San
Criustobal de las Casas, fino al rifiuto in frontiera.
Al mio ingresso nel paese il simpatico funzionario di La
Mesilla, un punto di confine, di fatto pedonale (unico veicolo tra un oceano di
pedoni) fidandosi dei documenti presentati mi rilascia il documento temporaneo
per la circolazione copiando i dati del telaio e motore direttamente dal
libretto di circolazione. Al momento di lasciare il paese decido di transitare
dal desolato villaggio di Valle Nuevo. Parto di mattina ed arrivo a mezza
giornata al confine. Primo controllo per il mezzo, dopo aver evitato e
rintuzzato l’assalto di un manipolo di scalmanati che si offrono di aiutarmi
nel disbrigo delle pratiche doganali.
La
signora, assai gentile, prende tutte le carte e chiede di controllare la moto:
passaporto, libretto di circolazione, foglio di importazione temporanea della
moto, delega autenticata per condurre il mezzo, necessaria quando non è di
proprietà, controllo numero telaio sul veicolo.
”C'e qualcosa che non và”. Mi dice.
Penso tra me e me: “anche le donne chiedono la
propina!!!” ripensando all’ingresso nel paese dove, al controllo passaporti mi
avevano richiesto 30 pesos, poco più di un paio di Euro, non dovuti e
naturalmente non pagati.
Mi dice che non corrispondono i numeri di telaio, le dico che è impossibile: mi conduce da un funzionario della dogana che viene anche lui a controllare il telaio e..... cazzo è vero i numeri sono diversi: al terz’ultimo numero c’è un 3 al posto di un 8!!! Porca troia!!
Mi dice che non corrispondono i numeri di telaio, le dico che è impossibile: mi conduce da un funzionario della dogana che viene anche lui a controllare il telaio e..... cazzo è vero i numeri sono diversi: al terz’ultimo numero c’è un 3 al posto di un 8!!! Porca troia!!
Non
credo ai miei occhi, hanno sbagliato a copiare il numero di telaio sul libretto
di circolazione. Fra l'altro, non avendo controllato lo chassis all'ingresso
del paese, mi ritrovo ora in Guatemala appunto, con dei documenti che mi
autorizzano alla guida di un mezzo che non ho. Pazzesco!!!!!
Naturalmente Valle Nuevo è uno dei posti di confine meno transitati, come al
solito scelgo sempre i migliori. Impossibile telefonare.
Dopo un rapido sferraglio di meningi decido di rientrare ad Antigua dove
contatterò immediatamente Bmw Messico, che mi confermerà, magra consolazione,
l’errore.
Aspetterò 5 giorni l’arrivo delle carte sostitutive.
Comunque a parte errori di trascrizione, chi se la passa peggio sono
sicuramente i camionisti. Più avanti, attendendo l’ingresso in Nicaragua
conoscerò Carlos, partito da Panama 7 giorni prima: neanche 2.000km!!!!! mi
dice che se tutto gli va bene per il meglio, l’indomani nel pomeriggio potrà
entrare in Honduras. Qui, indubbiamente il tempo assume un valore particolare.
E’ comunque divertente se non ci si fa assalire da frenesie particolari.
A questo punto, tornando a noi, l’itinerario diventa una
biscia impazzita a stento trattenuta dalla cartina stradale o meglio dai
confini. Cambierò programmi più di una volta. Ho letto da qualche parte che è
impossibile quantificare in quale percentuale il caso influisca sulla nostra
esistenza.
C’è chi si illude di poter sempre decidere il proprio
destino e chi invece si rassegna a considerarlo l’unico artefice delle
“traversie terrene e delle rare gioie”.
Alla fine mi spingerò a nord per la zona di Coban,
inizialmente, ingiustamente, ignorata da qualsiasi interesse, nel tentativo di
avvicinarmi prepotentemente, con furia burocratica, ai documenti che dovrebbero
consentirmi, mai condizionale fu più appropriato, di riprendere liberamente il
viaggio.
L’entrata nel Peten per questa strada, è tutta
un’incognita: domando più volte, ma ne traggo informazioni alquanto
discordanti. La strada va dal terribile al quasi completamente asfaltata. Sarà
una passeggiata, strada come al solito spettacolare, buon asfalto,
traghettamento carontico di un fiume e ingresso polveroso in santa Elena e
Flores. Da qui solo 70km a Tikal. Già Tikal. Niente è come Tikal puntualizza
una delle mie guide!! Nel niente arboreo della foresta tropicale che neanche i
confini nazionali riescono a limitare nella sua estensione, si innalzano questi
spettacolari funghi piramidali alti quasi 50 metri.
Sono nella città più affascinante e misteriosa del
continente americano. Tikal!
Dall’alto delle sue costruzioni accessibili ai
visitatori, siano esse l’audacissima passerella della piramide 5 o la
semplicemente ripida della 4, i problemi, i documenti, il gruppo da contattare,
le distanze, magicamente diventano di secondaria importanza.
Sono solo, incasinato, burocraticamente recluso nel
paese, ma tranquillo, rilassato, in pace con me stesso. La giornata mi vedrà
salire 3 volte sul tempio 4, la miglior vista del complesso (ma anche dal 5 il
panorama non è niente male), in diverse ore del giorno: all’alba coperto da una
lugubre, affascinante nebbia tropicale; a metà giornata per il solito tema
delle foto ed al tramonto per vedere il cielo tingersi di rosa. Verrò cacciato
a causa delle chiusura del complesso, da una guardia del parco, con la quale
percorrerò nel silenzioso buio dalla foresta tropicale, squarciato solo dai
richiami delle scimmie urlatrici, i 30 minuti di sentiero che ci separano
dall’uscita.
Sì, niente è come Tikal!!
Granada, Nicaragua. Non è Antigua, questo è certo, ma è
pur sempre une delle più belle città del centro America: sufficientemente
coloniale, una dozzina di chiese, affascinanti anche se alquanto decadenti,
rilassante. Cerco di riprendere il passo giusto dopo mega trasferimenti nel
tentativo di recuperare il tempo perduto. Sono in compagnia di Daniel e
Ricardo, con i quali viaggerò per qualche giorno e la scelta è unanime: “ce
quedamo aqui!”.
Sarà una giornata di passeggiate per le vie del centro
storico alla ricerca dello scatto che tarda ad arrivare. Queste non sono le
Ande, le luci sono diverse. Una delle cose che è superlativa è la povertà. Io
sono in condizioni disastrose, non sono un grosso frequentatore di lavanderie
ed in viaggi del genere i risultati sono abbastanza evidenti: nel mio
abbigliamento motociclistico, non ho un buon odore e l’aspetto lascia molto a
desiderare, ma le persone con cui mi fermo spesso a parlare, il più delle volte
non hanno scarpe, ma in compenso vestiti strappati e tanta fame.
Roberto: lustrascarpe, 17 anni, a vederlo mostra meno,
osservandolo il giudizio è opposto. Lo conosco la mattina all’arrivo, lo
rincontro la sera nella plaza central. 7 fratelli, vive a Masaya, ad una
ventina di km, con la nonna e la sorella di 18 anni. Orfano di madre. Il padre,
e qui comincia il bello, vive a 2 quadre dal centro, ma non ha mai potuto
sopportarlo e non vuole vederlo. Torna a casa una volta alla settimana, dorme
sotto i portici.
Quando può, una signora lo ospita per 20 Cordoba (circa
€1). Dormendo all’aperto deve lasciare in custodia le sue cose (10 Cordoba)
perché almeno un paio di volte a settimana viene assaltato.
Dice che le notti sono fredde (!!) e sta pensando di
vendere i suoi lucidi per tornarsene a casa. Anche dividendo tutto per 2, ne
risulta un quadro davvero angosciante! Do un’occhiata in giro e vedo una decina
di Roberto!!
Arrivo sul puente de Las Americas a notte inoltrata, ma
solo il giorno dopo, scattando le foto di rito da un punto privilegiato,
trovato come sempre per puro caso e visitando le chiuse di Miraflores e di
Gatun, realizzerò di essere arrivato al punto di dover invertire la rotta. Certo,
per arrivare alle foreste impenetrabili del Darièn dove la interamericana
soccombe alla natura interrompendosi di fronte ad un invalicabile muro arboreo,
mancano ancora 300km, ma non ne vale la pena, naturalmente dal mio punto di
vista, visto il caldo sempre più insopportabile e l’appiattimento totale del
paesaggio. Molto meglio rivolgere le proprie attenzioni al nord del paese,
visitando il castello di San Lorenzo, capolavoro d’ingegneria militare, che
domina la foce del rio Chagres, maggior affluente di quello splendido ponte
acquatico che è il canale di Panama ed alla interessantissima zona caraibica di
Portobelo.
Risalirò a nord dalla zona di Boca del Toro, sempre
sull’oceano Atlantico, un arcipelago ad una quarantina di chilometri dal
confine con il Costa Rica. Il nome pare gli sia stato dato da Cristoforo
Colombo che, entrando dalla sua parte più settentrionale, aveva individuato una
strana somiglianza taurina, oltre a rimanere colpito dal rumore dello sciacquio
delle onde sugli scogli delle isole che gli ricordavano il lamento di questi
animali. Gli effetti della lontananza da casa! Verità o leggenda? Mah! Fatto
sta che le odierne tecnologie satellitari pare diano ragione all’esploratore
genovese: la forma è davvero quella del muso di un toro!!
Torniamo a noi. Da David, più di 400km a nord di Panama
Città, parte una splendida, recentemente asfaltata strada, che audacemente
valica la sierra per picchiare velocemente verso l’oceano. Da qui si può
raggiungere il confine poco transitato di Sixaola. Come al solito le
informazioni raccolte per strada sono alquanto variegate: asfaltata, bella,
nebbiosa, infernale, suggestiva, ventosa, pericolosa, spettacolare. 200km per
poter coprire tutti i possibili giudizi sul sistema viario centro americano.
Quasi tutti ci parlano di nebbie e di forti venti, ma non
sono particolarmente preoccupato, la Patagonia o le lande islandesi sono assai
lontane. La giornata inizia con aria tersa, una strada ben asfaltata che, come
lascia l’interamericana sale rapidamente e ripidamente offrendo alle spalle
suggestive vedute fino all’oceano Pacifico. Di fronte le cime coperte da
candide nuvole si avvicinano. Vento!
Arrivo ad un posto di controllo ed un poliziotto mi dice
che sono 3 giorni che la brisa, come la chiamano qui, è stata demasiada fuerte.
Brisa, non so perché mi ricorda le tiepide brezze dei nostri mari. Non sono
ancora preoccupato, anche se le nuvole e la cima della cuesta de Diablo, bel
nome per un passo, si avvicinano. Vento!!
Un paio di curve ed improvvisamente scopro il significato
di brisa demasiada fuerte. Questa non è brezza, ma un vento, un cazzo di vento,
improvviso, violento, aggressivo, cattivo, che a raffiche cerca di sbattermi a
terra ripetutamente. Devo spingere e forte sul manubrio per cercare di rimanere
sulla carreggiata. “puta que la pariò, qual fuerte quen es!!” Un paio di km di
pura adrenalina, salendo sulla cuesta, ma una volta in cima, fortunatamente il
vento si abbassa di intensità, permettendomi una discesa bagnata, immerso in
una lussureggiante, rigogliosa, fitta vegetazione tropicale. Che strada!! A
parte il vento, la pioggia e la nebbia potrei eleggerla a migliore di tutto il
viaggio e ce ne sono state di entusiasmanti.
Il Costa Rica è sicuramente lo stato turisticamente e
socialmente meglio attrezzato di tutto il centro America. La costa caraibica
non è sicuramente inferiore a quella del Pacifico. Degne di attenzioni Puerto
Viejo de Talamanca e Cahuita, nell’omonimo parco nazionale.
Ma il paese ha tanto da offrire. Spingendosi all’interno,
verso la capitale, inizia la zona montuosa vulcanica. Strade panoramiche
perfettamente asfaltate conducono ai punti di maggiore attrazione turistica: i
vulcani Poas e Iratzu, spettacolari!!!
L’interamericana è l’arteria viaria, il fulcro nevralgico
dei trasporti centro americani. Non può essere definita un’autostrada, neanche
una strada a scorrimento veloce, anzi a volte è una normalissima strada a 2
corsie, dove bisogna prestare attenzione alle profonde buche che testimoniano
una scarsissima manutenzione. Ma quello che sto vedendo dopo aver attraversato
Chinandega, Nicaragua, per percorrere gli ultimi 80km che mi separano dal
confine con l’Honduras ha davvero dell’inspiegabile. Devo aver sbagliato
strada!
L’asfalto è scomparso, svanito per lasciare spazio ad uno
sterratone pieno di buche e toule ondule. No, non ho sbagliato, il traffico non
è diminuito e la solita quantità monumentale di camion mi avvolge, facendo
scomparire la strada o quel che ne resta, in pesanti nuvole di polvere bianca,
nonostante viaggi ad una velocità nettamente superiore. All’ennesima buca sento
uno strano, forte rumore e capisco che c’è qualcosa che non và.
Ho spaccato il parafango di plastica che prima di
perdersi in questa landa desolata ha compiuto la sua ultima buona azione,
facendomi saltare la catena. Sono nel niente assoluto, sullo sfondo due vulcani
fumanti. Rifletto su quanti ne ho visti negli ultimi 10 giorni ed ho
decisamente perso il conto. Un paio di camionisti passano lanciandomi cenni di
saluto, come se stessi lì, fermo ad ammirare il paesaggio, immergendomi in
cumulonembi di polvere.
Aggredisco il problema come se fosse di ordine ciclistico
ed al secondo tentativo la catena è nuovamente nella sua sede naturale. Saranno
ancora buche, dossi, polvere e vibrazioni fino ad 8 chilometri dal confine.
Anche l’Honduras offrirà belle strade, asfaltate e non,
con bei panorami. A parte questo, i quattro giorni qui trascorsi, nonostante
un cielo grigio, piatto, nuvoloso,
probabilmente hanno rappresentato la migliore varietà di strade per una pratica
motociclistica, divertente, appagante e gustosa. Intanto non fa caldo, si
viaggia mediamente tra i 1000 ed i 2000 metri di altitudine, le strade non sono
male, il traffico scarso.
Unico problema: la quasi assoluta mancanza di veicoli
rende i camion prepotentemente protagonisti di qualsiasi manovra stradale. Poco
importa che la strada sia in salita o ci sia una curva cieca, sono grossi,
abbastanza veloci e se ne strafottono di tutto il resto. I primi tre giorni, mi
troverò 5 volte faccia a faccia con
questi bestioni, 4 volte evitandoli attaccandomi ai freni ed una volta con una
digressione fuori dalla carreggiata, tanto da indurmi a modificare notevolmente
la traiettoria di viaggio verso il ciglio della strada.
L’ultimo giorno è dedicato a Copan. Il tempo continua ad
essere tristemente incolore, ma alle 12.00 sono all’interno del sito
archeologico, percorrendolo in lungo e largo per avere un’idea delle
possibilità di scatto. Sono pronto all’azione, l’indice è caldo, manca solo il
sole. La chiusura è alle 17.00.
Tikal è verticale, qui lo sviluppo è orizzontale con la
scalinata dei geroglifici che è fantastica: peccato che sia coperta da un
tendone per proteggerla dalle intemperie. Anche le stele della plaza grande sono
assai interessanti e rare per il mondo maya.
Pochi turisti, atmosfera tranquilla, decido di allungarmi sul prato ai
piedi di un immenso albero.
“uscirà sto benedetto sole!!” penso.
Trascorrerò più di 2 ore dormendo e sognando ad occhi
aperti, lo sguardo al cielo, irrimediabilmente grigio, coperto da rami
giganteschi. Il parco è quasi deserto. Mi ritrovo sdraiato con un paio di
guardiani.
Uscirò all’orario di chiusura rigenerato, senza nessuno
scatto all’attivo!!
Il Belize è famoso oltre che per le sue ridotte
dimensioni per la sua barriera corallina tra le più estese e belle del pianeta.
Cayes, si leggono kiiz, sono il fiore
all’occhiello di questo ennesimo stato-regione centro americano. Sono isole,
quindi diamo per scontato mare e barche per raggiungerle, ma esiste una
piacevole eccezione: Placencia, una lingua di terra o poco più, collegata al
continente da una sottilissima striscia di sabbia.
45 chilometri di sterrato in pessime condizioni,
probabilmente ancora peggiori nella stagione delle piogge. Siamo agli sgoccioli
del viaggio. Sarà il torpore assoluto, una specie di oblio del far niente a
meno di 10 giorni dalla partenza.
Sole, palme, spiagge bianche, mare turchese, passeggiate.
Sono stanco, cazzo!
Mi fermerò 1 giorno di più del previsto rimanendo
scoperto con l’assicurazione e rischiando dure sanzioni evitate per un soffio e
spendendo mezza giornata scorazzando su pianali di pick up alla ricerca di
qualcuno in grado di fornirmi la copertura assicurativa. Ed alla fine sarà
ancora Messico, ancora Chiapas, ancora San Cristobal De las Casas, per la terza
volta. Il tempo stringe. Sosta breve ma
meritata. Negli ultimi tre giorni percorrerò 2200km, senza scattare foto,
donandomi alcune delle strade più belle dell’intero viaggio e concedendomi un
bagno, l’ultimo, sullo spiaggione di Mazunte. Solo guida, per strade
secondarie. Migliaia di curve e poco più!!
Ed una volta arrivato nella capitale messicana?
Le ultime cose, sempre le stesse: riconsegna dei documenti,
preparazione delle casse con una parte dell’equipaggio da inviare in Italia,
conferma del biglietto di ritorno. Ultima, la più dolorosa, la
riconsegna-abbandono del mezzo: 20.108km, 3 mesi, 24 controlli doganali, 2
treni di gomme, neanche un rabbocco d’olio, un paio di migliaia di km in
fuoristrada, assicurazioni scadute, documenti sbagliati.
Difficile dirsi addio.