Si può giungere ai confini estremi dell’Europa, seguendo una via alternativa a quella più logica, usuale e frequentata? La risposta è affermativa: spingersi al nord transitando dalla Carelia, in Russia, percorrendo quasi 13000 km, attraversando 13 Stati, in un fantastico viaggio di 5 settimane rincorrendo “il sole di mezzanotte”.
“Siete già sulla Murmanskaya!” L’uomo alla fermata del tram con un gesto di
una perentorietà staliniana, ci da finalmente una certezza.
All’ennesimo tentativo ci siamo!
Il fatto di essere sulla strada giusta ci lascia uno strano senso
d’euforia. Tentare di attraversare San Pietroburgo dopo la visita alla stupenda
reggia di Peterhoff, non rappresenta niente d’impossibile, avventuroso, o tanto
meno pericoloso, ma sicuramente preparatevi a perdere tempo, tanto tempo. La
segnaletica, naturalmente in cirillico, è praticamente inesistente, ed in una
città di circa 5 milioni di abitanti, con un sistema viario in pessimo stato,
vi trasformerà inevitabilmente in degli esploratori in una giungla di cemento
degradato. Eppure, 3 giorni prima eravamo stati molto più fortunati, ma solo
perché arrivando da Novogorod, davvero altra cosa con i suoi blandi ritmi da
provincia e lo splendido Cremlino adagiato sulla sponda dx del fiume Volhov, ci
eravamo trovati, senza volerlo, già sulla direzione giusta, ed anche perché i
Prospekt, questi immensi vialoni che costituiscono le arterie principali del
traffico della ex capitale dell’immenso, ex impero sovietico, confluiscono
quasi tutti verso il suo cuore. San Pietroburgo, Pietrogrado, Leningrado, per
poi ridiventare nuovamente San Pietroburgo. Necessità storiche e volontà
politiche hanno fatto sì che la più giovane metropoli europea (appena 300 anni)
cambiasse 4 volte il suo nome.
“ Città astratta e premeditata” come la definì Dostoevskij, sicuramente
anche lo stesso suo ideatore, lo zar Pietro I° il Grande, non poteva immaginare
di riuscire a creare in una zona di paludi quella che viene riconosciuta come
la Venezia del nord. Un fascino consolidato, nonostante problemi sociali ed
economici, da ben 8 cattedrali, architetture a cui tanto hanno contribuito lo
stile e l’ingegno italiano, palazzi reali, e l’Ermitage, gigantesco nella sua
spettacolarità, che già da solo varrebbe il viaggio, od una semplice visita. Percorriamo
gli ultimi km cittadini attraversando la solita (per la realtà russa) periferia
impersonale fatta di palazzi formicaio in quartieri dormitorio e, dopo
l’ennesimo posto di blocco della polizia, un cartello con la fatidica scritta
Murmansk km 1387, ci fa capire che sarà un lungo trasferimento, sebbene la luce
a disposizione sia di fatto perpetua anche già a questa latitudine.
Fino a Petrozavosdk, adagiata su un lago dal nome impronunciabile, che
dovrebbe suonare all’incirca come Oneoga, ma con temperature invernali da far
impallidire anche le celle frigorifere per la congelazione delle carni, il
traffico è intensissimo, con la strada che continua a mantenersi seriamente
disastrata. Gli orologi c’informano che è tardi, le condizioni ambientali
accendono di riflessi irreali il lago. Decidiamo di dare un’occhiata al centro.
La città appare tranquilla con una bella gioventù per le vie del centro che
diradano verso la sponda del lago. Siamo fermi ad un semaforo, quando veniamo
affiancati da una coppia a bordo di una vecchia Diniepr, che della struttura
originale ha mantenuto solo il motore: Lion, il proprietario ha sostituito
tutto nel tentativo di rendere il mezzo una specie di cruiser. Solite
discussioni motociclistiche su destinazioni, km, mezzi usati, e la fatidica
domanda viene pronunciata: “dove pensate di fermarvi per la notte?”
E’ un invito indiretto poiché hanno un amico, Edward, motociclista con la
solita, immancabile, diffusissima Diniepr, ma stavolta trasformata in una sorta
di GS, che potrebbe metterci a disposizione un suo appartamento in cui non vive
più da tempo.
Lo osservo: “Ma come fa a saperlo?”
“Lo informo adesso!” Detto, fatto.
Alle 2 del mattino stiamo ancora discutendo e bevendo birre, e la cosa
andrebbe ancora avanti per ore se non fosse la moglie di Lion, Natalia, come da
buona tradizione russa, a rivestirsi di personalità e a mandare tutti a letto
preoccupata del fatto che l’indomani ci attenda una vera e propria abbuffata di
km. Naturalmente i postumi della serata si ripercuotono sull’orario di
partenza, ma una volta imboccata la M18 direzione nord, appare subito chiaro
che le cose sono cambiate, il traffico è diminuito, qualche camion e pochissime
macchine, con questo nastro d’asfalto (appare anche in condizioni migliori) che
si srotola in una foresta di pini per centinaia di km. Persino i distributori
di benzina, nonostante le scarsissime informazioni a disposizione, si
susseguono con una certa frequenza. Spuntino nei pressi di Letha, a base
d’insalata russa di pesce e tartine al salmone, per ripartire sotto un tiepido
sole. Dopo pochissimo, incontriamo l’ennesima pompa di benzina. Abbiamo mezzo
serbatoio, ci osserviamo in una tacita, silenziosa constatazione, di quanto
fossero inesatte le informazioni che avevamo in merito alla capillarità dei
rifornimenti in Carelia e ripartiamo. 60 km, ed arriviamo al bivio di Kem.
Il paese e la benzina distano 25 km.
La deviazione non ci attira, guidiamo per qualche km e chiediamo
informazioni all’autista di un autobus fermo per un guasto.
Mario fa sfoggio del suo incredibile vocabolario russo di ben 20 parole.
“dice che non ricorda bene ma ce ne dovrebbe essere uno fra circa 50 km”
40, 50, 60 km!!!!
all’ennesimo cantiere stradale ci fermiamo
e scopriamo che non solo non ci sono distributori, ma che il prossimo è
a ben 100 km!!!
Fregati! In mezzo al niente con il cantiere che utilizza solo motori
diesel, ed un traffico di 1 o 2 macchine ogni mezz’ora.
Tanica, tubo, messi gentilmente a disposizione dagli operai e cominciamo
l’attesa di qualche volenteroso distributore ambulante di benzina. Al terzo
tentativo possiamo provare la nostra bioscopia benzinesca su di una Opel
Kadett, apparentemente in buono stato di salute. I nuovi serbatoi hanno però
una specie di retino che impedisce questo tipo di chirurgia diagnostica. Ci
serve una Zigulì, non le caramelle, ma le Lada che fortunatamente rappresentano
un buon 70-80% del parco circolante russo. Altre 5 macchine e troviamo i primi
5 litri, ma il nostro benefattore non può darcene di più poiché gliene restano
solo 7. Risate, scambio di battute, un Euro per ricordo e riinizia l’attesa.
Mezz’ora e siamo nuovamente in viaggio. L’attraversamento del Circolo Polare
Artico avviene con un fantastico sole di mezzanotte. La monotonia della strada,
assume i connotati e le luci da grandi latitudini. Inspiegabilmente dopo gli
asfalti voragine nel sud, la qualità va migliorando man mano che si procede
verso nord. Certo siamo lontani da standard occidentali, ma ci si può distrarre
più facilmente. Anche i controlli della polizia con i loro radar diventano più
rari.
Dovremmo fermarci, ma proseguiamo, suggestionati dalla “luce eterna”, fino
a quando Mario non nota del fumo, mi fermo e….sono completamente imbrattato di
liquido refrigerante, un sasso deve aver bucato il radiatore dell’acqua. Che
fare? È ormai tardissimo, e di arrivare a Murmansk, 450.000 abitanti, nessuna
informazione in merito, non se ne parla neanche. Decido, nonostante Mario non
sia d’accordo, di bivaccare per strada.
Domani si vedrà!
Dopo neanche 4 ore di sonno, delle voci mi svegliano. Anatholy e Vladimyr
stanno andando in città per lavoro, con un camioncino. A gesti spiego la mia
situazione. Loro mi confermano che l’unica possibilità per la riparazione, è
assolutamente Murmansk. Naturalmente si offrono di aiutarmi caricando me e la
moto sul furgone e conducendoci dapprima al primo bar per offrirci la colazione
e poi al concessionario Volvo, dove, dopo aver smontato il pezzo infortunato,
ed averlo lavato, un meccanico dell’officina si offre di effettuare la
riparazione con la pasta saldante a freddo che abbiamo trovato in città. Io
probabilmente sarei stato meno preciso distribuendo la pasta sulla parte
lesionata, lui effettua un lavoro di fino incidendo la parte e schiacciandola
con una pinza prima di saldarla. Un’ora di attesa, rimontiamo il tutto sempre
sotto lo sguardo vigile dei meccanici dell’officina che a turno, ogni tanto,
escono a controllare che il lavoro sia fatto a regola d’arte e nel primo
pomeriggio siamo nuovamente in grado di riprendere il viaggio, la riparazione
tiene.
Sono tutti lì ad osservarci, chiediamo quanto dobbiamo per il lavoro, il
proprietario guarda il meccanico e lui a gesti mi fa capire che abbiamo fatto
tutto noi.
“Buon viaggio!!” e ci regala anche 2
litri di liquido refrigerante, per le emergenze.