Questo angolo di Maremma, al confine tra Lazio e Toscana,
offre scorci suggestivi percorrendo le sue strade collinari ondulate, visitando
i suoi borghi edificati sul tufo, per arrivare a Saturnia che, con le sue
terme, garantisce la possibilità di ritemprarsi nelle sue calde acque sulfuree.
Cultura, relax, belle strade e buona cucina. Cosa chiedere di più ad una sana,
spensierata, ritemprante attività moto turistica?
ITINERARIO- Orvieto, Bagnoreggio, Civita
di Bagnoreggio, Bolsena, Gradoli, La Rotta, Pitigliano, Sorano, Sovana, parco
archeologico “città del tufo”, Pitigliano, Manciano, Montemerano, Saturnia
“Sia maledetta Maremma e
chi la ama
sempre mi piange il cuore quando ci vai
dalla paura che non torni mai”.
Le parole di questa canzone toscana dell‘800 lasciano ben intendere lo spirito con cui si sentivano ed immaginavano queste terre. Da sempre intesa per chi non la abitava come una landa che richiamava pericoli ed incertezze di lunghi viaggi fatti da pastori, mietitori e carbonai, che qui giungevano fin dal lontano Appennino.
sempre mi piange il cuore quando ci vai
dalla paura che non torni mai”.
Le parole di questa canzone toscana dell‘800 lasciano ben intendere lo spirito con cui si sentivano ed immaginavano queste terre. Da sempre intesa per chi non la abitava come una landa che richiamava pericoli ed incertezze di lunghi viaggi fatti da pastori, mietitori e carbonai, che qui giungevano fin dal lontano Appennino.
Itinerario che in poco
meno di 150km abbraccia 3 regioni, Lazio, Umbria, Toscana e che ha inizio da
Orvieto. Dall’alto di questo blocco ellittico di tufo sul quale è stata
edificata la città, si godono straordinarie vedute panoramiche; inoltre
l’indiscussa bellezza del centro che si erge al centro della valle del Paglia,
è motivo di interesse per una visita.
Ultima considerazione, il
casello autostradale dell’A1, arteria di primaria importanza nelle
comunicazioni peninsulari, è lì ad un tiro di schioppo.
Anche i più distratti e
frettolosi, dovranno concedere un minimo d’attenzione allo splendido duomo,
capolavoro dell’architettura gotica italiana, sorto per celebrare il miracolo
eucaristico di Bolsena, costruito a partire dal 1290, su probabile progetto di
Arnolfo di Cambio e completato da Lorenzo Maitani.
Da qui è subito Lazio,
percorrendo una strada secondaria che ci condurrà a Bagnoreggio, l’antica
Balneum Regis, nome che deriva dalle acque termali della zona, ma ormai famosa
perché vicina alla frazione di Civita, borgo minacciato da piccole ma continue
frane che erodono lo sperone tufaceo su cui sorge e che hanno contribuito a
darle il nome di “città che muore”.
L’accesso è consentito da
un ponte pedonale alto sulla campagna circostante, dato che la stessa sprofondò
alla fine del XVII secolo.
Il borgo, in fase di
restauro, grazie anche a cospicui interventi economici da parte di privati è
assai suggestivo, aggettivo che inflazioneremo spesso in questo articolo, e
giusto preludio al resto dell’itinerario, che si lancerà alla scoperta di
questi paesi che poggiano edificati su blocchi di tufo. Una volta terminata la
visita di questo restaurato borgo medioevale, si dovrà tornare indietro verso
Bagnoreggio e prendere per Bolsena.
Arrivati alla ss71, dx, e
dopo pochi km, andiamo a sx.
La strada è bella, ma
attenzione a non distrarsi troppo una volta che comparirà alla vista il lago
omonimo, secondo per estensione, nel centro Italia, al solo Trasimeno. Il colpo
d’occhio, soprattutto nelle belle giornate è davvero notevole.
La cittadina fu un
importante centro etrusco grazie alla sua posizione privilegiata sulla
consolare Cassia, posta esattamente a metà strada tra Roma e Siena.
Una volta sul lago, lo
percorreremo in senso antiorario sulla ss consolare Cassia, fino ad imboccare
la ss 489 che seguiremo per poco più di 6km dove incroceremo la ss 74 che ci
scorterà fino a Pitigliano. Questo è senza alcuna ombra di dubbio il modo
migliore per farsi sorprendere dal paese che, arroccato su un rosso masso
tufaceo strapiombante su 3 lati, ci apparirà dopo 2 curve secche con
grandissima suggestione scenografica. Il paese oltre ad avere un passato
storico di notevole rilevanza è bellissimo. Le sue fortune cominciarono nel
XIII secolo, quando per matrimonio con l’ultima Aldobrandeschi vi s’insediarono
gli Orsini, facendone la nuova sede comitale ed il fulcro dell’organizzazione
territoriale, a scapito di Sovana. Concedersi una passeggiata entrando dalla porta
medioevale, fiancheggiando l’imponente acquedotto fino ad arrivare al grandioso
palazzo Orsini è praticamente obbligatorio.
Da qui si entrerà nel
borgo, organizzato lungo tre assi maggiori traversati da vicoli ortogonali, che
si conducono con belle vedute sugli strapiombi laterali.
Difficile ripartire, ma
non è finita qui, credeteci.
Di forte suggestione
anche l’arrivo a Sorano con le sue case torri a picco sulla valle.
Il borgo si
contraddistingue per un vasto insediamento rupestre di epoca etrusca e per la
monumentale fortezza Orsini, inespugnato fortilizio tra il 1200 ed 1500,
attraversato da lunghi camminamenti sotterranei e munito di ingegnosi impianti
difensivi.
L’erosione della base
tufacea, ha costretto anche in tempi recenti all’abbandono di alcuni rioni del
paese: attualmente, sono in corso interventi di consolidamento che si
inseriscono in un più ampio piano di valorizzazione e recupero.
Si è capito che la
caratteristica principale della zona è il tufo e la possibilità da parte
dell’uomo di edificarvi interi villaggi.
L’area è stata istituita
a parco archeologico. La principale caratteristica è la ricchezza d’opere che
risalgono all’età del bronzo, detta civiltà di Villanova, all’epoca etrusca,
sino alle vestigia medioevali e rinascimentali. Gran parte dei monumenti,
soprattutto etruschi, è situato nel rigoglioso habitat boschivo di profonde
gole vulcaniche.
Sovana è il più integro
borgo medioevale della Maremma collinare, grazie al suo originale impianto
urbanistico, dove spiccano il duomo e la chiesa di Santa Maria, entrambe in
stile gotico romano. Intorno al paese sono ubicate una decina di vaste
necropoli etrusche, attraversate da ciclopiche vie cave e ricche di rifiniti
monumenti di età ellenistica, tra cui spiccano la tomba Ildebranda e la tomba
della Sirena. Nella zona di Sovana una volta arrivati al parcheggio per le
tombe potrete percorrere anche una stradina poco oltre la biglietteria: si
guiderà per una strada letteralmente scavata tra alte pareti di tufo che non
conduce da nessuna parte, una galleria dove ad un certo tratto anche la luce
scompare. Attenzione solo se ha piovuto, dato che il terreno argilloso diventa
assai viscido. Una volta tornati indietro e visitate le tombe si tornerà a
Pitigliano seguendo un’altra, panoramica, stradina secondaria.
L’itinerario continua, ci
stiamo avvicinando alla meta, ma le sorprese non sono finite, riprendiamo la ss
74 fino a Manciano, dominata anch’essa da una rocca costruita dai senesi nel XV
secolo e da dove si gode uno splendido panorama sull’Amiata e verso il mare,
fino all’isola del Giglio.
Le indicazioni per le
terme sono ormai sempre più chiare e visibili. Lambiremo Montemerano,
completamente medioevale, chiuso da 2 cerchie murarie, delle quali la più
esterna, in buona parte risalente al 400 conserva alcune porte e 2 torri.
L’arrivo a Saturnia
avverrà transitando dalle terme, prima le pubbliche, aperte al pubblico, poi le
private inglobate nello splendido, lussuoso, esclusivo hotel “terme di
Saturnia”.
Il paese è un piccolo
centro sorto su di un piccolo colle circondato da rupi di travertino, una
specie di bastione naturale.
Leggenda: “si narra che
il dio Saturno, per punire gli uomini che pensavano solo alla guerra, un giorno
scaglio un fulmine sulla Terra, facendo zampillare dal cratere di un vulcano,
un’acqua sulfurea che tutto avvolse. Da quel grembo accogliente gli uomini
rinacquero più saggi e felici.” Ciò accadeva nel cuore della Maremma toscana,
dove quell’acqua zampilla ancora, a 37° e con un ritmo di 800 litri al secondo.
Le sue proprietà derivano dalla composizione sulfureo carbonica delle sue
acque, arricchite di rare sostanze minerali e vegetali.
Da sempre è famosa per le
sue terme di acqua sulfurea calda al cui fascino non scamperemo neanche noi,
moto turisti del nuovo millennio.
Avete con voi asciugamani
e ciabatte? Bene andiamo ad immergerci. Il luogo è quasi sempre affollato anche
se logicamente la ressa si fa meno asfissiante nei periodi di bassa stagione e
lontano dai week end.
BOX
Sovana è ferma nel suo remoto
passato, solitaria, su di un pianoro tra 2 gole, in una campagna serena.
Nell’alto medioevo era il centro, spostato qui da Roselle già etrusca,
dell’immenso dominio feudale degli Aldobrandeschi. La non lontana necropoli
etrusca (il nucleo principale è del IV-III sec. a.C.) è un significativo
esempio di un fenomeno monumentale ben vasto, quello delle “città dei morti” su
pareti di roccia. Gli abitati si ponevano negli altipiani; dalle balze scoscese
che li delimitavano, spianato il sasso, si sbozzavano architettonicamente le
dimore dei defunti. La tendenza si manifestò nell’entroterra di Cerveteri (VI-V
sec. a.C.) e dilagò verso Tarquinia e Vulci (nel Lazio settentrionale e nella
Toscana meridionale si contano così numerose di tali necropoli, nei territori
di Sutri, San Giuliano, Blera, Norchia, Castel D’Asso, Tuscania).
Pitigliano è una vista
improvvisa: case fitte orlano un bastione di tufo che emerge spoglio dalla
verde forra del torrente. Quando una parte della contea aldobrandesca passò per
matrimonio agli Orsini (fine XIII sec.), Pitigliano ne divenne la roccaforte e
vi riparò anche una parte degli abitanti di Sovana, mortificata dalla malaria
ed infine presa da Siena. La lingua di tufo di Pitigliano è isolata dai fossi
Lente e Meleta, affluenti di sx della Fiora. È la “terra”, ambiente come fuori
dal tempo, di vie sinuose e vicoli, impianto medioevale ed inserti di gusto
rinascimentale e manieristico, gradinate, scale esterne di accesso alle case,
portali, altane, di un dignitoso lessico minore. L’unico lato attaccabile è
difeso dalla rocca-palazzo degli Orsini, cui pose mano Giuliano da Sangallo. Vi
fu per secoli anche una colonia ebraica ricordata dai resti della sinagoga e
dal forno degli Azzimi. Da Scarlino, gli ebrei emigrarono verso diverse destinazioni
intorno alla fine del ’700 ma ebbero modo di radicarsi maggiormente a Sorano ed
in particolar modo a Pitigliano dove nel 1576 vivevano 6 nuclei famigliari, che
andarono ad aumentare in seguito all’espulsione da Firenze del 1595 ed alla
distruzione di Castro del 1649. Intanto nell’anno della creazione 5358 (1598
del calendario cristiano) Ieudà, figlio di Scebbetai fondò la sinagoga e
malgrado le discriminazioni, andò aumentando man mano il prestigio ed il potere
economico degli ebrei pitiglianesi che, oltre al banco, esercitavano attività
di commercio ed artigianali. La visita al tempio israelitico di Pietro
Leopoldo, nel 1773, legittimò ufficialmente la comunità, favorendone
l’ulteriore sviluppo, che raggiunse l’apice nella seconda metà dell’800, quando
Pitigliano fu soprannominata “piccola Gerusalemme”. Questi borghi,
rappresentano un’incisiva pagina di storia della solitaria maremma interna.