DAL CASTELLO AGLI EREMI
Vi ricordate il film ”non ci resta che
piangere” con Benigni e Troisi? Bene, la locanda- castello dei Sorci, dove la
vicenda cinematografica ha inizio, sarà anche la base di partenza di questo
suggestivo itinerario che sfruttando la fama della sua cucina ci permetterà di
conoscere questo angolo della Toscana ricco di eremi e strade assolutamente
degne di considerazione.
ITINERARIO-
Anghiari, Caprese Michelangelo,Chiusi Della Verna,
Bibbiena, Poppi, Camaldoli, Verghereto, Pieve S. Stefano, Anghiari.
Trasformato in fattoria, oggi il Castello di Sorci
ospita uno dei ristoranti più tipici d'Italia, molto conosciuto per i
personaggi che regolarmente lo frequentano (attori di cinema, presentatori
televisivi, cantanti, giornalisti, scrittori... qualche fotografo!!!). Chi non
ricorda che le sue stanze hanno fornito l’ispirazione della sceneggiatura del
film “Non ci resta che piangere”
di e con Roberto Benigni e Massimo Troisi, all’epoca ospiti del
castellano di Sorci. Nelle sere estive, sotto il cielo stellato, ancora a
qualcuno sembra di sentire lo sferragliante rumore dell'armatura di Baldaccio,
il cui fantasma anima la vita
del suo antico castello. Probabilmente la maggior parte di voi ha visto il
film, ma chi era questo Baldaccio? L’argomento è approfondito in uno dei box ma
questi era un valoroso condottiero, al quale il suo paese, Anghiari, ha
dedicato la piazza principale, uomo capace e coraggioso, definito dal Machiavelli:
“uomo di guerra eccellentissimo,
perché in quelli tempi non era alcuno in Italia che di virtù di corpo e d’animo
lo superasse; ed aveva intra le fanterie perché di quelle sempre era stato
capo, tanta reputazione che ogni uomo estimava con quello in ogni impresa e a
ogni sua volontà converrebbono”. Però che posto! Come abbia potuto sfuggirmi
fino ad ora è un vero mistero. Bah, recuperiamo il tempo perduto. Peccato che
non sia possibile dormirvi, poi che sarebbe un validissimo punto base sia per
questo itinerario che per altri che questa splendida zona potrebbe offrire. Le
occasioni di alloggio comunque non mancano, con validissima alternative che
sono riportate nell’apposita sezione. Va da sé che tanto successo cominci a mostrare anche aspetti negativi:
week end super affollati (non dimentichiamo che il locale riesce a smaltire
anche 1000 coperti) dove senza prenotare è praticamente impossibile sperare di
mangiare e una qualità dei pasti che forse comincia a perdere di brio. Menù
fisso, cita un cartello all’ingresso. Bisogna solo sedersi ed attendere che le
portate siano servite.
Prezzi? 19€ tutto compreso, vino dolce e vin santo inclusi.
Sono solo, ma mi difendo
terminando quasi completamente anche la bottiglia di vino dolce e la mattina
dopo i segni sono evidenti in un certo rallentamento di riflessi e processi
mentali. Ci pensa la strada a risvegliare le mie attenzioni. Infatti subito
dopo Anghiari, la stretta provinciale che sale verso l’alpe di Catenaia e la
città natale di Michelangelo Buonarroti, mi ricorda che oggi sarà giornata di
pieghe. Il pittoresco paese ospita, manco a dirlo, nel castello trecentesco
sopra l’abitato l’interessante museo michelangelesco, che custodisce calchi e
produzioni fotografiche delle opere dell’artista. Da qui si possono seguire 2 strade. La prima,
più breve direttamente verso la Verna ed il suo eremo, l’altra verso Pieve S.
Stefano per salirvi dal valico dello Spino. E’ un ordine, scegliete la seconda.
Il percorso, che è anche quello di una famosa crono scalata che si svolge in
primavera inoltrata, è una vera gioia per la guida. Se siete ormai in trance
agonistica arriverete alle porte di Bibbiena, e ciò non può che voler dire che
avete saltato la sosta al santuario della Verna edificato da San Francresco nel
1214. Qui il santo 10 anni dopo vi ricevette le stimmate ed oltre ad essere
meta di pellegrinaggi è situato in bella posizione su di una vetta calcarea.
Siete tornati indietro? Ne valeva la pena. Bibbiena e Poppi sono centri sorti
nella valle dell’Arno: il primo è un centro industriale, il secondo è un
simpatico borgo medioevale dominato da una rocca visibile a km di distanza. Ed
è proprio da Poppi che parte probabilmente la strada più spettacolare per
Camaldoli. Alcune guide definiscono la foresta entro la quale è racchiuso il
complesso monastico, straordinaria, e non esagerano affatto!!Oggi tutelato nel
parco nazionale queste terre furono regalate a S. Romualdo dal conte Maldolo di
Arezzo (da qui il nome Ca’Maldoli). 2 le strutture: l’eremo ed il monastero. Il
primo più in alto, sarà il primo ad essere raggiunto dall’itinerario. La luce
che filtra nel bosco, sembra rievocare le perlustrazioni di un Romualdo, ormai
non più giovane, che rimane affascinato da questa foresta per valutarne
positivamente la comodità dei sentieri e dei torrenti, la vicinanza dei campi
coltivati e la possibilità del totale isolamento. Nel corso della sua vita, il
santo aveva compiuto decine di scelte simili, in Italia ed all’estero, per
collocare e dare sistemazione ai discepoli che il suo passaggio suscitava
ovunque, ma questa è sicuramente una delle più felici.
La storia narra che una
volta scelto il luogo, vi edificò 5 celle ove stabilì 5 fratelli e costruì più
in basso una casa, vi mise un monaco con 3 conversi per ricevere gli ospiti,
affinché l’eremo rimanesse sempre nascosto e lontano dai rumori del mondo. Sicuramente
una soluzione originale, unica nel monachesimo occidentale.Assai interessanti
sono anche i prodotti esposti nelle farmacie del complesso, le cui attività
iniziarono nel lontano 1048 supportate da un ospedale. Un paio di incendi con
relative riedificazioni hanno portato alla struttura odierna che risale al
1513. Per scendere verso la ss71 del fantastico passo dei Mandrioli, ci sono 2
possibilità una direttamente dal monastero, l’altra risalendo per la
ripidissima strada che conduce nuovamente all’eremo per poi prendere a dx su di
una panoramica strada in parte sterrata ma facile.
Grandi soddisfazioni di guida!
Una volta scesi a valle è
possibile evitare la superstrada che incombe sul panorama con inquietanti e
continui cavalcavia, andando a dx prima di Bagno di Romagna per la vecchia ss3.
La strada è sporca, scivolosa, ma splendidamente desolata per poi migliorare e
permettere un bell’ingresso in Sansepolcro.Da qui siamo vicini ad Anghiari, da
dove arriveremo transitando nella valle dove si svolse la celebre battaglia del
1440, che ispirò Leonardo da Vinci e che vide prevalere i fiorentini sulle
milizie viscontee.
Siamo alla fine. Manca all’appello solo il fantasma di Baldaccio, che
leggenda vuole si aggiri certe notti per le sale del castello!
IL CASTELLO DEI SORCI
C’è una tradizione orale ben radicata, da queste parti,
secondo la quale quelli di
Sorci si sarebbero scontrati con quelli
del castello dei Gatti. La baruffa sarebbe stata dura, ma non sanguinosa. E
quelli di Sorci, naturalmente avrebbero avuto la meglio. “I Sorci – di conseguenza, si dice – qui hanno sconfitto i Gatti!” Il castello dei Gatti dovrebbe essere
stato poco dopo Speltaglia, oltre la statale. Ma per quanto abbiano cercato
non si è trovata alcuna traccia di questa località o di una famiglia con
questo cognome. Solo la striscia bassa della Valle di Sovara è talvolta indicata
nelle mappe come Val de’ gatti.
Ma il toponimo non dovrebbe salire molto indietro nel tempo se già nei
documenti se-settecenteschi non se ne trova menzione. Da ciò si potrebbe
dedurre che la storia altro non è che una tarda invenzione suggerita a
posteriori dalla fantasia popolare che ha interpretato il nome di Sorci come il
plurale di sorcio, topo. Il filologo Nino Boriosi, infatti,
confortato anche da un codice fiorentino del XIV secolo, sostiene che l’etimo
di Sorci è diverso. Secondo lo studioso, deriverebbe da sorco, una parola proveniente dal germanico sorku, che vuol dire brughiera,
scopeto. Sorci, pertanto sarebbe ad indicare il luogo delle scope. E le scope di macchia, per l’appunto,
facevano, e fanno parte della vegetazione locale, come confermano vari
documenti e come si nota tuttora nei residui querceti circostanti. Il Castello dei Sorci è stato abitato
da grandi e potenti famiglie tra il 1200 e il 1530: I TARLATI di Pietramala
(1234-1388), I BALDACCIO (1388-1441) e I PICHI (1443-1650). Il Castello dei Sorci, nato come segno
di dominio, fu punto di contesa e di resistenza durante il Basso MedioEvo
e il periodo delle Signorie; distrutto più volte e più volte ricostruito, visse
la storia di un Capitano di Ventura, come il famoso Baldaccio , che forse
aspirava a passarvi in pace i suoi ultimi anni di vita. Poi, mentre gli altri
castelletti della valle declinavano, trovò con i Pichi una collocazione più pacifica,
anche se pur sempre orgogliosa. Con
loro si definì quella che fu poi la sua fisionomia di azienda agricola,
continuata anche da altri, con diversa fortuna, fino all’ultimo scorcio del XX
secolo. Infatti nel 1970 subentrò Primetto Barelli dopo due anni di
pratiche burocratiche, veniva dalle Marche e si era sposato a
Città di Castello con una giovane del posto, Gabriella. Barelli voleva fare
l’agricoltore, ma ha fatto qualcosa di più: riaprire i Sorci alla vita, con
un’intuizione geniale e la vitalità espansiva del suo temperamento. Primetto ha
raccolto l’eredità di azienda agricola, nel momento in cui l’agricoltura
tradizionale perdeva alcuni connotati nella ricerca di nuovi tipi di
imprenditorialità. Non è solo un
espediente di mercato: è anche un fatto di cultura. Ma la cultura resta attiva
se si alimenta col sentimento di un impegno.
BALDACCIO
Il valoroso condottiero, al quale il paese di Anghiari
ha dedicato la piazza principale, fu uomo capace e coraggioso. Nelle sue Storie
Fiorentine (6°, VI), così il Machiavelli lo definisce: “uomo di guerra eccellentissimo, perché in quelli tempi non era alcuno
in Italia che di virtù di corpo e d’animo lo superasse; ed aveva intra le
fanterie perché di quelle sempre era stato capo, tanta reputazione che ogni uomo
estimava con quello in ogni impresa e a ogni sua volontà converrebbono”. Figlio
di Piero di Vagnone Bruni, Baldaccio nacque a Ranco, presso Anghiari intorno al
1400. A vent’anni già si distingueva per la sua poderosa banda di armati con la
quale compiva rapine e saccheggi. Condannato a morte due volte, nel 1420 e
nel1425, riuscì sempre a sfuggire alla cattura. Fra il 1424 e il 1434 fu al
soldo di Carlo Malatesta, della repubblica Fiorentina e del Duca di Milano. In
questa occasione conquistò Castel del Rio e Spinello. Ritornò poi al soldo dei
Fiorentini che nel 1437 gli concessero la cittadinanza. Poco dopo il suo
matrimonio con Annalena Malatesta (16 febbraio 1439), Baldaccio fu catturato
dal Piccinino e condotto a Bologna. Ma alla fine dello stesso anno lo troviamo
al servizio del Conte Guidantonio d’Urbino, alleato dei Visconti, per il
quale conquista Tavoleto e nel marzo del 1440 massacra un'ingente numero di Malatestiani.
Ritornato al soldo dei Fiorentini, occupa Fighine di Chiusi ed il castello di
Suvereto appartenente agli Appiano di Piombino. Il 23 aprile 1441 passa al
servizio del Papa Eugenio IV contro Francesco Piccinino e conduce una
vittoriosa campagna in Romagna. Nel giugno è ancora a Firenze: tenta
inutilmente di conquistare Piombino mentre le sue fanterie scorrazzano e
saccheggiano i dintorni suscitando vive proteste presso Firenze. Quando era capitano generale delle
fanterie dello stato fiorentino, Baldaccio denunciò Bartolomeo Orlandini per
aver abbandonato il castello di Marradi davanti alle truppe del Piccinino.
Diventato Gonfaloniere di Giustizia, l’Orlandini si vendicò dell’affronto
subìto con una spietatezza che fa rabbrividire. Il 6 settembre 1441, convocò
Baldaccio a Palazzo Vecchio e lo fece uccidere a tradimento. “Fu assalito e ferito e gettato a terra
dalle finestre nel cortile e subito così, quasi morto, gli feciono tagliare la
testa a piè dell’uscio del capitano, su la piazza, e stettevi il corpo alquante
hore..”. Il corpo di
Baldaccio Bruni fu sepolto nel chiostro di Santo Spirito in Firenze. La vedova
Annalena Malatesta, dopo la morte prematura del figlio Galeotto, vendette tutti
i suoi averi e trasformò la sua casa d’Oltrarno in un monastero che da lei
prese il nome.Il fattaccio commosse tutta Firenze e lo stesso papa Eugenio IV
provò dolore e sdegno per quell’efferato delitto, malamente ricoperto
dall’accusa di tradimento, con la quale si uccideva due volte il valoroso
Baldaccio d’Anghiari.
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