La Basilicata, una terra amata da cineasti e poeti, sta resistendo strenuamente alle mode ed al turismo d'assalto. Parlando davanti ad una birra con amici, in una bollente domenica di giugno, di fronte alla scusa di una quasi necessità di dover "testare" le moto da utilizzare a fine anno in Patagonia, con una uscita di qualche giorno, butto lì la bomba, che si abbatte sul tavolo seminando lo scompiglio geografico: "Dolomiti lucane!!" La concorrenza è spietata: si parla di Umbria, Toscana, Corsica, Grecia......ma ci pensavo da un pò di tempo e mi sono ricordato dell'esperienza per Motociclismo con Mario qualche anno fa. Ho ritrovato negli archivi anche l'articolo che il mio amico giornalista mi aveva girato, a testimoniare l'intenzione di pubblicare il viaggio in un post sul blog mai realizzato per la solita, irreversibile incostanza distratta, un pò meridionale ma molto personale. Ho riletto l'articolo, scritto benissimo, ma Mario Piccirillo è una penna sopraffina!! Ho semplicemente sostituito l'anno menzionato all'inizio con una data di un futuro molto prossimo, che lo rende attualissimo ed un pò di auspicio, ma anche un pò per nascondere l'inesorabile trascorrere degli anni.
Da leggere tutto di un fiato!!
Eppure l’orologio funziona. Il
contachilometri del CBF non si è impallato. E la Gazzetta del Mezzogiorno dice
la verità: 2 luglio 2017. Non è un film montato alla rinfusa, anche se la
Scozia confina con la Palestina, e dietro quella valle c’è il Brasile ma per
arrivarci bisogna salire in Giappone e riscendere tra la polvere della
Giordania. E’ cinema sì, ma non fantascienza. E’ la Lucania, o come dicevano
tutti Basilicata, che si è nascosta tra
i risvolti di una cartina piegata male. Un riassunto di mondo semi-sconosciuto,
dove i chilometri sono un concetto slegato dalla strada, dove il tempo si è
fermato ed è ripartito in prima, a filo di gas. Un cortocircuito
spazio-temporale. Che corri a fare se ne nessuno ti insegue. I tornanti si
avvitano in un eterno cavatappi, e la moto si stende in una piega che pare infinita.
Non saprete più andar dritti dopo aver girato qui, dove il verbo “girare” ha
solo il significato hollywoodiano. Scoprirete che era dietro casa la Passione
di Cristo, che si è fermato ad Eboli nel romanzo di Carlo Levi, ma in realtà
era arrivato con registi e cineprese fino a Craco. E il piccolo Michele urlava
“Io non ho paura” infilato in un fosso del Vulture. Ci vuole una pazienza
religiosa per resistere alla fatica di questi luoghi. Rimasti vergini nella
polvere e nella povertà, tradotti ai nostri occhi miopi dalla finzione in mondi
lontani. E invece la Basilicata è qui, a portata di autostrada. Talmente vera
da sembrare intoccabile, in una teca di cristallo. Per questo non siamo sicuri
che tornandoci ritroveremmo la porta d’accesso di questa dimensione parallela.
Certo Matera è Patrimonio dell’Umanità Unesco dal 1993, i suoi Sassi sono un
diamante assolato. E’ una questione di abitudine alla sorpresa, per questo il
giro è consigliabile che parta da qui. Con i quaranta gradi che rimbalzano sul
tufo bianco, e l’aria che ribolle alla vista, sembra quasi un miraggio. Ma,
lasciate le moto ad ardere al sole, a piedi si può passare tra il Sasso Caveoso
e il Sasso Barisano, visitando le chiese rupestri, con le pareti affrescate e
le atmosfere turche, facendosi abbagliare dal panorama che si scorge dalla
chiesa della Madonna dell’Idris, interamente scavata nella roccia del monte
Errone. Lì di fronte, sulla Murgia Timone, Mel Gibson ci aveva sistemato la croce
del suo Cristo passionario. Dagli anni 50 questi buchi nella montagna sono
stati lasciati – a forza – dagli abitanti, trasferiti per legge nei nuovi
quartieri. Niente più stalle organizzate, decise lo Stato. Ora bed and
breakfast e ristorantini. “La mia idea – diceva Pasolini, che qui ci ha
ambientato “Il vangelo secondo Matteo” – che le cose quanto più sono piccole e
umili, tanto più sono grandi e belle nella loro miseria, a Matera ha trovato
uno scossone estetico”. La bellezza stordisce come le ombre della sua storia. E
per riprendersi c’è bisogno di una giornata intera da dedicare ai vicoli
antichi come al centro del Piano, partendo magari da Piazza Vittorio Veneto. Ma,
è bene ricordarlo, le unità di misura qui sono elastiche, e se avete calcolato
l’itinerario coi tempi del resto del mondo farete meglio ad anticiparvi un po’.
Venti chilometri sono un’ora di moto, non di meno. Ma in un’ora lucana ci
stanno boschi, laghi, campi di grano, lande desolate, case diroccate, torri normanne,
asfalto e pozzanghere, d’inverno la neve. E una teoria di curve da togliere il
fiato. Da Matera prendiamo l’Appia, la statale 7, verso Miglionico. Una strada
sospesa a 500 metri d’altezza: pare di stare in equilibrio sulla cresta di
un’onda. Una valle a destra e una a sinistra, il lago artificiale di San
Giuliano, con la sua riserva naturale di 1000 ettari, appena sotto. “Guarda la
strada, guarda la strada”, ti ripeti per non farti incantare dal panorama e
andar dritto al millesimo tornante. Si passa per Acerenza, poi la cartina non
serve: c’è l’imponente castello del Malconsiglio che fa da stella polare con le
sue sei torri normanne. Miglionico è il set del “Demonio” di Brunello Rondi, e
della sua storia di esorcismi e malocchio, di streghe e credenze popolari:
1963, qui l’antropologia si faceva sull’attualità, altrochè. E anche se
l’orologio non si ferma (controlliamo ogni mezzora per sicurezza…) sappiamo che
le lancette non dicono tutta la verità. La deviazione sulla provinciale 209 che
ci imponiamo per Irsina è un distributore automatico di emozioni. Un viottolo
strappato alla natura che taglia col suo asfalto incerto il ritmo dei campi di
cereali. Colline appena accennate, con i colori in alternanza perfetta, come se
sulla terra ci avessero adagiato una tigre. E Irsina domina la valle dalla
rupe, con la cattedrale padrona. Ha appena piovuto, e la gente del posto scende
in campagna a raccogliere lumache saporite, mentre le signore si siedono
sull’uscio di casa a vendere le verdure dell’orto. Capisci subito perché
Michele Placido l’ha scelta per girarci “Del perduto amore” nel 1998. Basta
piazzare una macchina d’epoca in centro, ed ecco l’Italia degli anni 50,
monopolio della Democrazia Cristiana, con i comunisti di paese, e la storie da
Peppone e Don Camillo. Dormiamo in un B&B e mangiamo in una pizzeria
involontariamente vintage. Sono cambiati solo i nomi, ma tutto è rimasto
coniugato al passato. Il centro storico è stupendo, il panorama quasi violento,
ma non c’è nessuno che ti impedisca di rovinare tutto con gli infissi di alluminio
trasandato a due metri dalla cattedrale (del ‘200) che ospita la statua di
Sant’Eufemia, opera del Mantegna (a settembre andrà in mostra al Louvre…). “Sono
arrivati gli inglesi”, ci spiegano: hanno cominciato ad acquistare case a due
lire. Come per la Toscana (il Chiantishire…), poi l’Umbria e la Sicilia. Vedono
lungo “gli inglesi”, un posto così tra qualche anno varrà il triplo. Il mattino
dopo, un po’ colonizzati nell’animo, ripartiamo e puntiamo Tricarico. La strada
l’attraversiamo in moto con la descrizione di Rocco Scotellaro: “M’accompagna lo zirlio dei grilli, e il suono
del campano al collo d’un’inquieta capretta. Il vento mi fascia, di
sottilissimi nastri d’argento, e là, nell’ombra delle nubi sperduto, giace in
frantumi un paesetto lucano”. Ma nubi non ce ne sono, e il paese natale del
poeta-politico è accecato dal sole, con la luce che fa risaltare la somma di
stili architettonici e testimonianze storiche. Prendiamo di nuovo l’Appia, con
l’asfalto appena rifatto tra i boschi: una goduria. Si passa il valico di
Cupolicchio a 1.024 metri, ed è tutto un querceto che scende fino alla base
delle Dolomiti Lucane. Si sale ed ecco un altro confine trasparente: siamo in
Trentino? No, a Pietrapertosa. Il paese più alto della regione: 1088 metri. Tra
guglie e speroni “alpini”. Di fronte c’è Castelmezzano. La strada per
arrivarci, sotto Pietrapertosa, è chiusa. Due chance: o si allunga
clamorosamente girando attorno alla montagna, oppure… si vola. Detto, fatto.
Imbracati a pancia in giù, in meno di un minuto ci mandano letteralmente a quel
paese – Castelmezzano - via cavo. Il “Volo dell’Angelo” lo chiamano, e per 30
euro fai la teleferica umana, ti guardi il bel borgo dirimpettaio, e torni,
sempre per via aerea. Quasi ora di pranzo, rimessi piedi e gomme a terra, segniamo
la meta culinaria: Accettura. Dove “Non si sevizia un paperino”, almeno sul set
di Lucio Fulci (1972, protagonista Florinda Bolkan), ma si mangia da dio. Ci
arriviamo ubriachi di pieghe, passando per un bosco rigoglioso e fresco, ideale
per i picnic. Ci fermiamo da Pezzolla, trattoria presidio di Slow Food. “Zia
Isa” e suo figlio Mario ci preparano un piatto di “manate” (pasta) fatte in
casa e una costata di manzo podolico, mentre raccontano del “maggio di
Accettura”, quando con rito pastorale si sposano simbolicamente l’abete a
l’agrifoglio. La moto ci invita – invidiosa – a riprendere il viaggio. Tanto da
disidratarsi, anche lei, nelle infinite giravolte della 103 che tocca Gorgoglione,
Guardia Perticara, e Corleto Perticara, dove facciamo rifornimento: sulla via
ci sono i segni dei temporali estivi, tanto “sporco” antiaderente e il
sottobosco che cerca di ingoiare l’asfalto. Questa è la Basilicata selvaggia,
dove puoi parcheggiare al centro della carreggiata e aspettare che arrivi qualcuno
per ore. E’ un posto intimo di “Italia come doveva essere un tempo”, secondo la
citazione di Francis Ford Coppola. Anche se ora ci sono le pale per l’energia
eolica, che soffiano modernità sull’orizzonte. Ai margini della foresta di
faggi, appena superata Grumentum con i suoi insediamenti risalenti alla seconda
guerra punica, ci aspetta un acquazzone tropicale (portate sempre un
antipioggia da queste parti!) che ci accompagna fino a Moliterno. Nelle nubi il
maestoso castello normanno inchiodato al cielo grigio incute quasi timore, e ci
indica la via verso il Tirreno. Passando per… la Scozia. 23 km di prati verde
scuro rasati dai greggi di pecore, qualche mucca addormentata in strada, la
guida a sinistra perché la carreggiata è troppo piccola per contenere anche una
destra! La provinciale 26 sgretola di colpo gli incubi dell’italiano
autostradale. Una piacevole cantilena di tornanti fino a Lagonegro, alle pendici
del monte Sirino. Famosa incredibilmente solo per l’uscita della Salerno-Reggio
Calabria, quando il centro medievale meriterebbe un capitolo a parte. E’ pur
sempre il paese dove sarebbe morta e sepolta Monna Lisa nel 1506. Ma sono
leggende, e questa è una terra di streghe. Come per un incantesimo lì davanti a
noi c’è il Brasile. Ci avviciniamo al mare passando per Rivello, beviamo alla
fontanella del lago Serino e guardiamo il Cristo del Corcovado italiano. Il
Redentore di Maratea è “solo” 22 metri, un po’ più basso di quello di Rio. Ma è
il rappresentante della Basilicata sul mare. Che si è aperta uno spazio sul
Golfo di Policastro tra Campania e Calabria e ci ha infilato il Paradiso. Sotto
il paesino ricco e colorato di Maratea 30 km di cale e spiaggette, di mare
cristallino, grotte e isolette. E’ il sogno di ogni mototurista questo nastro
di statale 18 arrossito nel tramonto. Dondolandosi al ritmo delle curve, dopo
aver attraversato mezzo mondo in appena 357 km. Di solito la fantasia viaggia
così…o il cinema. E alla Basilicata mancano solo i titoli di coda.
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